Carissima Letizia,
mi chiamo Marco, abito in provincia di Catania e sono il fortunato papà di due bimbi favolosamente impegnativi, N. nata nel Novembre 2005 ed A. nato ad Aprile 2010, per studi, preferenze ed esperienze la mia seconda lingua prevalente è il Francese ma per lavoro comunico via mail e telefono in Inglese.
Sin dai primi anni di vita di N. le ho sporadicamente (senza metodo) parlato e scherzato in inglese e francese e lei ha ben risposto alla cosa tanto che in inglese ha presto imparato a contare sino a 10, i colori, a dire il suo nome, la sua età e soprattutto “daddy I love you”. Incoraggiato da questi primi risultati in passato ho cercato di aumentare a modo mio la presenza dell’ Inglese parlandolo un po’ di più o facendole vedere qualche DVD della serie Disney Magic English che non ha gradito per niente. Quando continuavo a parlare in Inglese mi diceva che prima voleva imparare il Francese ed anche il Giapponese o Cinese, ma in questi casi ho risposto che è meglio iniziare con l’Inglese perché è diffuso in tutto il mondo e per lei che vuole andare in Cina a salvare i panda insieme al WWF è meglio conoscere l’Inglese che le permetterà di poter comunicare con tutti quelli che, provenendo da diversi paesi, parlano lingue diverse ma parlano anche Inglese.
L’anno scorso all’ultimo anno di asilo si è convinta ad iscriversi all’ora supplementare di Inglese (l’anno precedente aveva preferito iscriversi all’ora di danza) ma dopo aver frequentato le prime volte non ci è voluta più andare perché facevano sempre le stesse cose ( la maestra, avendo notato una certa predisposizione da parte della bambina, mi aveva detto che le prime lezioni sarebbero state un po’ ripetitive per dar modo a tutti di inserirsi al meglio), complici le varie febbri dell’anno non ho insistito più di tanto consapevole che un’ora la settimana non poteva giovarle chissà quanto.
Quest’estate in vacanza al mare abbiamo rivisto una bambina conosciuta tre anni prima e che nei due anni successivi alla nostra conoscenza ha vissuto in Svizzera frequentando l’asilo francese, rientrata in Italia la madre l’ ha fatta seguire da una madrelingua francese per mantenere viva la lingua e per l’estate ha chiamato una ragazza alla pari. Ho potuto constatare che questa bambina dell’età di mia figlia ha raggiunto un’ottima conoscenza del Francese. Entusiasmato da tutto ciò, al rientro dalle vacanze ho deciso di dedicarmi maggiormente all’apprendimento dell’ Inglese da parte di N. ed è stato allora che ho avuto la fortuna di imbattermi nel tuo blog.
Per non forzare la cosa e presentarla in maniera soft ho detto a N. che devo migliorare il mio Inglese (il che è vero) in modo da poter girare per il mondo in vacanza con la famiglia e che per fare ciò ho bisogno del suo aiuto. Ho comprato cinque libri su Amazon cercando di scegliere quelli che pensavo potessero suscitare maggiore interesse ma solo uno ha fatto veramente breccia, di tratta di “Elmo loves you” di Sesame Street e quello che è ancor più bello è che piace tanto anche al piccolo A. che appena lo vede dice: “Elmo, Elmo”. Partendo da questo sto gradualmente aumentando l’esposizione all’Inglese per entrambi e devo dire che in questo enorme mare delle lingue, goccia dopo goccia qualche goccia comincia a trasformarsi in “drop” e questo mi fa capire che posso continuare, per intenderci: si apre la porta di casa e tutti corrono verso di me gridando “daddy, daddy, daddy”, per la ninna di A. ho inventato un ritornello che sembra gradire “let’s sleep togheter with me” tanto che a volte a modo suo ripete togheter. Al piccolo piace chiudersi dentro il bagno e quando lo fa busso dicendo: “hello, can you open the door please? Poi apro e ridendo gli dico “Hello!!!” e li si scoppia a ridere. Bene, un pomeriggio mentre stavamo giocando e gli parlucchiavo in Inglese, ha chiuso la porta del salone e gli ho detto: “A., open the door”, si è girato di scatto e mi ha risposto con un secco: “NO” . Ok il “no” non cambia da italiano ad inglese ma ha subito capito cosa volevo da lui avendo riconosciuto la frase in un contesto simile ma diverso da quello delle altre volte e non mi sembra poco per un bimbo che ha 17 mesi ed al momento stenta qualche parola in italiano al contrario di sua sorella che ha iniziato a parlare a 9 mesi e non si è più fermata.
L’altro giorno N. mi chiama dalla sua stanza: “Daddyyy??” ed io rispondo “I’m coming”, A. comincia a dire “coming, coming, coming”, N. scoppia a ridere e dice a mamma Chiara: “Mamma, vuole parlare in English! perché non lo fai anche tu?” La mamma risponde che per il momento ascolta quello che diciamo e come leggo il libro di Elmo. Per mia moglie che al momento conosce poco Inglese, sto usando lo stesso metodo che uso per i bambini, ovvero la maniera soft e coinvolgente. Non le ho parlato nè del blog nè delle mie intenzioni, in questa fase iniziale è auditrice ed al momento opportuno la coinvolgerò a dovere. Ritengo che se gliene parlassi la cosa potrebbe diventare troppo strutturata per lei e forse anche per me, d’altronde vedo che anche lei è contenta delle piccole “drops” che si formano in casa e questo lo interpreto come tacito consenso.
Visto il successo di Elmo ho procurato dei DVD di Sesame Street che hanno riscosso grande successo per i contenuti, i personaggi e le canzoni. Visto l’entusiasmo continuo di N. le ho detto: “mi sembrano molto meglio dei cartoni animati italiani, che ne pensi?” E lei: “ Si Papà, però quelli ce li guardiamo pure, perché mi piacciono!” e a malincuore ma senza palesarlo ho dovuto dirle di si.
Per concludere l’introduzione della mia famiglia e di quello che sto facendo ti racconto altri due episodi accaduti con N.:
Un pomeriggio stavamo giocando con il lego (cosa che facciamo spesso) ed allora ho cominciato a dirle i nomi degli oggetti e dei personaggi in Inglese e devo dire che la cosa è stata molto divertente per entrambi. Un’ altro pomeriggio eravamo al parco e mentre la spingevo sull’altalena ho cominciato dire “up and down on the swing” visto che la sera prima in un episodio di Sesame Street avevano affrontato il tema degli opposti. N., dopo avermi chiesto cosa volesse dire, ha cominciato a ripeterlo insieme a me sino a quando non le si è letteralmente asciugata la bocca.
Dopo questa dettagliata presentazione, che spero ti abbia fornito un quadro quanto più completo possibile, andiamo ai dubbi che mi assalgono:
Sto facendo bene? Proseguo così o sto sbagliando tutto? Dopo aver letto i tuoi consigli sto cercando di creare un metodo adatto alla mia famiglia solo che per tempo, stanchezza e temperamento di mia figlia non riesco a creare una routine da poter seguire giornalmente. Tempo e stanchezza sono variabili che posso e devo gestire io e che nel 90% dei casi vengono eliminati, ma l’osso duro resta N. La routine attuale è di tipo random, ovvero appena capisco che il momento è propizio vado con l’Inglese; se diversamente volessi proporre cartoni, gioco,cena o altro solo in lingua rischio di ricevere un secco no da mia figlia con conseguente irrigidimento verso l’ Inglese ed ovviamente non è quello che voglio. Che faccio?
Altro problema è: devo o non devo tradurre le parole/frasi in Italiano per come mi chiede N.? Le parlo in Inglese e lei mi chiede cosa voglio dire, guardiamo Sesame Street e mi chiede cosa stanno dicendo. Io per il momento traduco quando me lo chiede e poi glielo ripeto in Inglese, a volte ripete anche lei. Per quanto riguarda Sesame molte cose non le capisco neanche io e glielo dico tranquillamente ricordandole che devo migliorare il mio inglese e che a forza di rivederli capiremo sempre si più (per inciso la voce di Elmo è molto poco comprensibile tanto quanto quella di Paperino in Italiano…) . Spesso ho dubbi sulle parole e le cerco nel dizionario, poi mi chiedo cosa accade se le insegno qualche parola o forma sbagliata e me ne accorgo in seguito? È successo ad esempio con “fizzy water” che inizialmente avevo proposto come “frizzy” e dopo essermi accorto della cantonata non è stato semplice rimediare: “Papà, io continuo a dire frizzy” , ed io “Si ma io continuo a ridirti fizzy perché se poi hai sete ti portano l’acqua con i bigodini”. D’altronde ho sempre fatto lo stesso con l’Italiano precisandole che non si tratta mai di un rimprovero ma di una corretta informazione per poter comunicare efficacemente.
Ultima cosa: quando ritieni sia il caso d’introdurre anche il Francese? Per il Cinese/Giapponese non saprei proprio come fare.
Ringraziandoti nuovamente, pendo dalle tue labbra per tutto quello che mi dirai
Marco
Marco,
all’inizio ho pensato non posso pubblicare tuuuuuutta la lettera, è troppo lunga… E invece la pubblico tutta, ho tagliato giusto i complimenti. Perchè bisogna leggerla tutta per intuire, capire no, per capire bisogna vivere la tua famiglia, però mi sembra legittimo intuire che sei supermotivato, sai giocare con i tuoi figli, sai cogliere le loro emozioni, e quelle di tua moglie.
Con queste premesse io ti consiglierei di seguire il tuo istinto. Se il tuo istinto di papà ti dice che va bene così, continua così.
Ricordati, come già dissi a Maria Pia che bisogna sempre aver ben presenti quali sono le priorità. Se la tua priorità è che i tuoi figli abbiano una naturale curiosità per l’Inglese, amino giocare in Inglese, e strada facendo lo imparino anche, ecco direi che sei sulla strada giusta. Continua a percorrerla.
La routine è importante è vero, per due motivi:
1) motivare i genitori, che se no si perdono per strada, ma direi che non è il tuo caso, la tua motivazione è più che sufficinete e magari la routine nel tuo caso rischia di smorzarla
2) fare in modo che i bambini sappiano quando si parla cosa, ma questo lo puoi ottenere anche con un piccolo rituale, qualcosa che sancisca la transizione. Ora è il momento di proporre l’Inglese? Ok allora cantiamo questa canzone, diciamo la nostra filastrocca, tiriamo fuori il nostro pupazzo (di Elmo magari), o indossiamo una maglietta o che so io. Qualsiasi cosa. Se ti viene, ma direi che una canzoncina ci sta sempre.
Tradurre, mah… in genere non mi sembra una grande idea, ma se è la bambina a chiederlo… Certo se ampli l’esposizione e lei capisce più e più frasi e parole poi la traduzione te la chiede sempre meno, datti del tempo, rispondi alle sue richieste come ritieni giusto e cerca di crearle più occasione di esposizione. Hai provato gli audiolibri per esempio? Sesame Street effettivamente non è banale, prova Charlie and Lola, non credo che esista una bambina a cui non piace Charlie and Lola (e va bene anche per i maschi, sia chiaro, è fantastico per tutti! Lo confesso, io l’adoro!)
Per quanto guarda il francese, non lo so. Sono sincera, io sono dell’idea che un genitore da solo riesce a proporre bene una sola lingua minoritaria, io comunque con mio figlio per ora faccio così, potrei introdurre altre lingue, ma preferisco coltivare bene l’Inglese. Il tempo che hai a disposizione è sempre limitato, se cominci a frazionarlo…
Ti ho risposto? Spero di sì.
Ti faccio i miei complimenti, e per favore torna a scrivere qui su BpG, che ci servono testimonianze di papà come te!
Ciao,
Letizia
P.S.
L’acqua con i bigodini è fantastica. Ora comincio anch’io a dire che voglio l’acqua frizzy! Io ho sempre detto sparkling però…
Immagine: My Dad, su amazon.co.uk e My Dad su Amazon.it
A. says
Non mi sento di dare consigli a Marco, però volevo dire una cosa: che bello leggere una lettera così! Si vede l’entusiasmo per le lingue e insieme l’attenzione e il rispetto per i bambini, per i loro ritmi e le loro decisioni. Mi è capitato di leggere questo articolo di un papà, giornalista del New York Times (premio Pulitzer bla bla bla) : http://www.nytimes.com/2011/09/18/magazine/my-familys-experiment-in-extreme-schooling.html?_r=4&pagewanted=1&hp e sinceramente sono rimasta impressionata: in due parole (per chi non ha tempo o voglia di leggersi tutto l’articolo) lui e la moglie, in trasferta per alcuni anni a Mosca, hanno deciso di mandare i loro 3 figli in una scuola privata russa. Una scuola progressista, dice. Senza che sapessero una parola di russo. Risultato: inizio tragico, insonnia, difficoltà varie, poi alcuni mesi dopo inizia a migliorare, poi dopo la fine del secondo anno, nel terzo e nel quarto, la vita torna alla normalità, perché i 3 finalmente sono arrivati a un livello di russo da madrelingua. Mi sono chiesta: perché? Era davvero necessario buttarli in mare senza che sapessero nuotare, perché così imparano? Era necessario ignorare le loro paure, i loro disagi, il loro senso di incapacità solo per far imparare loro il russo da madrelingua in una scuola sperimentale? Soprattutto dopo aver letto questo articolo, che mi ha fatto rabbrividire, la posizione di Marco (e dei suoi figli) mi sembra assolutamente positiva: ok, Marco avrà i suoi dubbi (chi non ne ha?), ma almeno i dubbi se li pone, e soprattutto ha un atteggiamento di rispetto ASSOLUTO per i propri figli e per i loro sentimenti, anche per quello piccolo, che comunque a 17 mesi ha (giustamente, secondo il mio punto di vista) dei momenti in cui vuole collaborare e dei momenti in cui ha diritto di dire no. Secondo me questo è ancora più importante che trasmettere ai propri figli l’amore per le lingue: sapersi fermare quando tuo figlio/tua figlia non ha voglia o non è in grado di ascoltarti e di imparare, e dare loro tutti gli input possibili senza strafare, senza sovraccaricarli. Priorità, appunto. E secondo me questo metodo “random” di Marco ha il vantaggio di essere modellato sui suoi figli e adattato al momento; sono pronta a scommettere che l’interesse per l’inglese (e il francese, e le lingue in generale) di questo papà sarà contagioso, per tutta la famiglia.
Per Letizia, che chiedeva idee per BPG: perché non fai una serie di post (a cadenza mensile, trimestrale…) di update sulle “storie” delle famiglie raccontate in passato in questo blog, con link al post in cui appaiono per la prima volta? Credo sarebbe interessante (almeno per me!) vedere come, col passare del tempo, i bimbi crescono, le cose (situazioni, problemi, aspettative) cambiano e anche le prospettive da cui le vedevamo… Credo sia utile a volte guardarsi indietro per ridimensionare paure o problemi attuali. Sarebbe anche interessante (ancora, almeno per me!) sapere come procede con il bilinguismo di tuo figlio, è un po’ che non posti su questo… Grazie!
Bilingue Per Gioco says
A.,
io non chiedevo idee per BpG, chiedevo chi voleva collaborare… Avrei idee per far lavorare anche 10 persone a tempo pieno… 😉
Hai ragione invece sul fatto che vi devo aggiornare sul nostro percorso, ci pensavo di recente perchè abbiamo passato la soglia 4 anni. Aspettati un post molto presto.
Ciao,
Letizia
A. says
Eh…. ma in quel post, tu chiedevi: “Hai un’altra idea? Proponila”, io ho proposto!
Una mano te la darei volentieri, ma io sono una di quelle persone che non sa fare niente, manco il caffe’…
Rossella says
Che bella testimonianza!!! Anche noi, più o meno per le stesse ragioni di tempo e stanchezza (durante la settimana passo solo tre ore con mia figlia) usiamo il metodo ‘random’ 🙂 Io e Vale siamo Charlie and Lola addicted… ci piace moltissimo, lei quando sente una parola che le piace la ripete entusiasta 🙂 Anche le canzoni hanno una forte presa su di lei, mi chiede sempre di accendere la musica… abbiamo preso qualche cd di nursery rhymes e li ascoltiamo fino alla nausea! Grazie mille per questa bellissima lettera, come detto… trasmette tutta l’attenzione e la dedizione verso i propri bambini 🙂
Almi says
E bravo papà Marco! Mi aggancio alla risposta di Letizia per dire che alla mia bimba di 5 anni non piacciono Charlie e Lola, mentre invece li adora il piccolo di 3 anni. Forse il malcontento è dovuto al fatto che non capisce quello che sente? O forse perché non accetta di imparare l’inglese???
Marco says
Letizia,
Grazie per avermi risposto e per gli incoraggiamenti, vedendo la cosa dall’esterno mi hai dato conferma che sono sulla buona strada (meno male!).
Confermo che il mio obiettivo è instillare ed alimentare la curiosità ed il conseguente amore per le lingue con tutto quello che ne potrà conseguire con gli anni. Al momento una routine o un rituale scadenzati sono poco applicabili ed in questi giorni, seguendo il mio istinto, ho introdotto qualche ritornello da me inventato per calmare A. quando è agitato e gli do il latte o gli cambio il pannolino. Con piacere li condivido:
“Milk milk where are you? Milk milk where are you? Milk milk we found you, milk milk we found you. Milk milk we drank you, milk milk we drank you!”
“Nappy, nappy, nappy, let’s change our nappy; nappy, nappy, nappy, let’s change our nappy, this is the dirty nappy, now we have a clean nappyyyy”
Riguardo la traduzione, per l’appunto è N. che me la chiede e come dici tu mi devo aspettare che queste richieste si smorzino. Di Charlie and Lola abbiamo visto un bel po’ di episodi e ho preso un libro “I am going to save a Panda!” Al momento li ho rimandati perché: il libro è ancora troppo complesso per N. e non desta l’interesse di A., gli episodi piacciono a N. ma non ad A. ed inoltre ogni episodio ha una storia con sequenza inizio-storia-fine. Siccome quando sono a casa devo gestirli contemporaneamente, Sesame Street centra l’obiettivo perché cattura l’attenzione di entrambi ed invece di seguire una storia dall’inizio alla fine affronta una tematica (numeri, lettere, opposti, etc.) che viene ripresa più volte ma in modi differenti: filmato, canzone, cartone, ritornelli, il tutto all’interno dello stesso episodio e se qualcosa sfugge puoi riprendere il filo del discorso con la sequenza successiva. A me piace anche perché è sempre presente (tra mostri, persone di colore o con difficoltà motorie) la tematica dell’ accettazione della diversità.
Con gli audiolibri non ho ancora provato ma vorrei cominciare da “We’re going on a bear hunt” affiancato dal libro sempre per poterli coinvolgere contemporaneamente. Che ne pensi?
A.,
Ti confermo il pieno rispetto per i ritmi dei piccoli e l’intenzione di non strafare per non sovraccaricarli in maniera controproducente, però vorrei precisare che il mio contesto è differente da quello della situazione da te riportata. Nel mio caso si tratta di introdurre una lingua secondaria in un contesto di lingua primaria, il giornalista americano da te citato si è trasferito in un contesto dove la lingua che era secondaria per la famiglia era primaria in tutto quello che li circondava. In una situazione simile trovo giusto inscrivere i figli alla scuola del luogo, dando però il massimo supporto da parte della famiglia. Nel mio post ho parlato di quella bambina trasferita in Svizzera ed inscritta all’asilo di lingua Francese, in due anni è diventata la sua seconda lingua fluente. Ora non voglio essere pessimista ma non credo che i miei piccoli in due anni raggiungeranno un livello simile con l’inglese, ma comunque poco è meglio di niente.
Rossella,
Maledetto tempo, maledetta stanchezza, meno male che ci siamo inventati il metodo “random”. Quanti anni ha tua figlia?
A. says
Marco, da laureata in russo e da una che in Russia c’è stata prima sotto Gorbaciov (scambio di scuole, e ti assicuro che è stata un’esperienza visto che il nostro russo era zero e il nostro inglese da 5 ginnasio), poi durante l’università e infine più recentemente 4 anni fa (e se non c’era il piccoletto, ci sarei tornata ancora!), quindi pienamente cosciente delle difficoltà della lingua e della situazione locale, posso dirti che anch’io avrei mandato mio figlio a una scuola locale. (Pubblica, però!) Ma non è questo il punto. Stesso dicasi per le differenze di contesto tra il tuo caso e quello del giornalista citato, lingua maggioritaria e lingua minoritaria, non è questo quello su cui volevo focalizzare l’attenzione. Quello che mi ha colpito è stato il confronto tra l’atteggiamento del padre autore di quell’articolo e il tuo: pur in situazioni differenti, l’atteggiamento verso i figli e le loro difficoltà (oggettive o non oggettive) secondo me è stato totalmente opposto. Mi spiego: mentre tu mi sembri attento a perseguire un obiettivo (far imparare una lingua straniera) ma senza perdere di vista il benessere dei bambini, per quel giornalista, non si sa per quale motivo visto che si rendeva conto che i figli soffrivano e si dibattevano in una situazione difficile e assolutamente non necessaria) evidentemente l’obiettivo era prioritario rispetto al benessere dei figli.
Ho già raccontato in un commento su questo sito (al post Sono mamma ergo c’ho l’ansia) l’esperienza di una mia amica (coincidenza, anche lei russista!) emigrata in Svezia con 2 figli in età scolare e di come si sono integrati e hanno iniziato a parlare svedese in tempi relativamente brevi: ma la mia amica s’è guardata bene da metterli in una classe dove non capivano una parola di quello che si diceva! Corso di lingua l’anno prima, campo estivo appena arrivati (dove comunque le attività non erano legate alla conoscenza della lingua, e i bambini hanno potuto fare amicizia, migliorare la lingua e soprattutto giocare, divertirsi, magari far vedere che erano bravi come gli altri in uno sport o in un gioco), e solo poi scuola. Che, immagino, sarà stata per loro più difficile, all’inizio, della scuola da cui venivano e dove si parlava la loro lingua; ma comunque, mi rassicurava la mia amica, traumi non ce ne sono stati (ne’ insonnia, ne’ sentirsi stupidi, ecc ecc).
La tua situazione è diversa da questa, ed è diversa anche dalla mia (italiana emigrata, quindi l’italiano qui minoritario è quello che voglio passare a mio figlio). Quello che però trovo bellissimo è, come dicevo, l’attenzione e il rispetto che hai per i bambini mentre ti dai da fare per insegnare loro l’inglese (e a breve credo anche il francese). E quello lo ritrovo nel caso della mia amica, ma non del giornalista (che forse poteva farli studiare russo prima, o cambiare la scuola con una internazionale per il primo anno… o inventarsi qualcos’altro per rendere il passaggio più soft). Perché a volte, nel cercare di dare ai nostri figli tante cose (nuoto, una lingua, giochi…), ci dimentichiamo di fermarci un attimo e ascoltare quello che loro vogliono veramente. E che forse è importante ascoltare.
Marco says
A. , pienamente d’accordo con te, benessere dei figli e quindi della famiglia prima di tutto.
Tutto il resto, per il possibile viene da se.
giada says
marco, prova a digitare Andrea Bocelli and Elmo su you tube… vedrai che bella ninna nanna!
Carla says
why not two languages? direbbe la mia insegnante d’inglese!!!
prova a visitare questo sito: http://www.busyasabeeinparis.com/;
questa mamma alterna l’inglese, lo spagnolo e il francese ai suoi bambini che hanno appreso queste lingue in modo molto spontaneo!
Quindi se desideri trasmettergli queste due lingue why not? vedrai quante risate e che soddisfazione!!!
Marco says
Carla,
Grazie per l’incoraggiamento ed il link, ho dato una sbirciata veloce ed ho visto che ci sono molti spunti da poter tenere in considerazione. A mio sfavore è però il fatto che in casa lavoriamo entrambi, siamo entrambi madrelingua italiani e viviamo in italia, mentre la famiglia in questione ha uns situazione a tutto favore per il trilinguismo (cito dal sito):
“I’m an American born to a Peruvian dad and a Mexican mom, and born and raised in California. I’ve also lived in the state of Utah and abroad in Quito, Ecuador. My husband is French, but has lived abroad in Scotland and the U.S.A. Today we live in a pretty countryside suburb of Paris with our three multicultural and trilingual children! “
Daniela says
Ma che bella lettera!! ma che bel papà!! che coinvolgimento nelle attività dei bambini, nei loro giochi, nelle loro esperienze di crescita! fantastico
Arianna says
Ma quanto successo hai riscosso Marco! L’esperienza con i tuoi figli sembra davvero dolcissima e i risultati, che già vedi, potranno solo aumentare.
Inutile ripetere i consigli che già ti ha dato Letizia, ma da grande appassionata di Giappone e lingua giapponese (lo studio di una vita!) mi concentro su una delle cose che hai scritto: “Per il Cinese/Giapponese non saprei proprio come fare”
La risposta è appunto: non fare niente =)
Prima di tutto, contrariamente a quello che si può pensare, il cinese ed il giapponese sono due lingue diversissime. La pronuncia è come affiancare che so… italiano e norvegese, la scrittura, a parte gli ideogrammi che in giapponese sono sempre meno, è diversa, la grammatica idem ecc ecc
Quindi se e quando tua figlia esprimesse il desiderio di studiare una lingua orientale e è una o è l’altra. Niente impedisce di farle entrambe, ma magari non nello stesso tempo e meglio partire dal presupposto che impararle entrambe bene vuol dire non studiare altro nella vita!
L’inglese è la priorità, per parlare ai Panda direttamente in cinese c’è tempo =)
Marco says
Infatti Arianna, inglese come priorità ma ti chiedo un consiglio per il futuro. Se N. manifesterà intenzioni serie per una lingua orientale come potrei aiutarla a scegliere tra cinese e giapponese?
Tra inglese o francese ho saputo scegliere io (anche se il francese penso di tenerlo “just on hold” per il momento) visto che il primo è ormai basilare, nel caso di cinese o giapponese che considerazioni dovrei fare?
Arianna says
Se facciamo un’analisi molto razionale diciamo che:
il giapponese è più facile (un motivo fra tutti, ha due alfabati sillabici oltre gli ideogrammi, quindi esistono un tot numero di sillabe che si “combinano” tra di loro per creare le parole così come facciamo noi con le nostre lettere)
il cinese, se continua così, è più utile
Ognuna delle due lingue ha i suoi pro ed i suoi contro. Probabilmente. come in tutte le cose, sarà lei a scegliere in base alla sua passione. Il cinese è il giapponese non solo sono due lingue diverse, ma rispecchiano due culture molto diverse quindi se ci si appassiona all’una non è affatto detto che ci si appassioni all’altra. Immagino che sia lei a dover seguire le sue attitudini…
Il consiglio che ti posso dare adesso, in base alla mia esperienza è: se anche esprime il desiderio di cominciare a studiare il giapponese o il cinese, non vi buttate subito a capofitto. La cosa migliore da fare all’inizio è trovare un insegnante madrelingua che piano piano introduca la lingua. Se la passione dovesse aumentare e, una volta diventata grande dovesse continuare, ci sono due ottime facoltà di lingue orientali in Italia come Napoli e Venezia. Al di là dell’università, ora come ora, internet aiuta tanto a reperire materiale di vario genere. Basta iniziare “con lentezza” per capire se piace perché comunque sono lingue impegnative (per quanto la grammatica giapponese sia molto più semplice di quella italiana, rimane comunque una lingua totalmente diversa dalla nostra) e serve tanto tempo e tanta passione per vedere risultati. Quando arrivano però ti aprono le porte di un altro mondo, nel vero senso della parola!
Il consiglio che do sempre, una volta capita la passione per la lingua orientale è : parlare parlare parlare e viaggiare. Libri e “strada” devono obbligatoriamente andare di pari passo.
Spero di esserti stata utile!! =)
Marco says
Utilissima . Grazie
Marzia says
Dopo aver letto la lettera di Marco vorrei raccontarvi l’esperienza della mia famiglia. Io (37 anni) e mio marito (40 anni) siamo italiani, lui parla solo italiano, io adoro l’inglese e pur di parlarlo mi fermo a proporre (in inglese) il mio aiuto appena vedo un turista dubbioso guardare una piantina.
Non abbiamo mai fatto grandi esperienze di vita all’estero (a parte le vacanze, io ho lavorato 1 mese in Inghilterra).
Volevo che mio figlio G. sviluppasse lo stesso amore per la lingua perchè sono convinta che quando sarà un po’ più grande (ora non ha ancora 3 anni) parlare almeno l’inglese (oltre l’italiano) sarà necessario come sapersi allacciare le scarpe. Ma non voglio che lo impari per obbligo, voglio che impari ad amarlo semplicemente, che per osmosi gli entri nel cuore (e nel cervello) mentre cresce.
In casa non ho mai osato (forse sbagliando, forse ritenendolo troppo piccolo – ancora non mi ero imbattuta in BPG) “praticare” l’inglese, quest’anno però (dopo la scopreta di BPG) ho cominciato a comprare qualche libro (di quelli suggeriti da Letizia) da sfogliare insieme e l’ho iscritto alla materna inglese (insegnanti madrelingua dalle 9.00 alle 16.00 – frequenta da troppo poco per vederne gli effetti, ma ieri sera gli è scappato un “bye bye” mentre andavamo via da casa dei nonni e avrei pianto per la gioia!).
Anche G. è un bimbo un po’ ribelle e le sue prime parole in inglese me le ha dette quando meno me le aspettavo. Io gli leggevo i libri e glieli commentavo in inglese e lui sembrava non darmi retta guardando solo le figure ma una sera prima di addormentarsi se ne è uscito con un “the eyes under her hat” (frase tratta un libro) che mi ha fatto capire che poteva funzionare. Ora ogni tanto mi chiede “il libro dei bacini” (Counting kisses) e mentre lo sfoglia me lo racconta in italiano, io gli rispondo in inglese e so che lui mi ascolta anche se fa finta di nulla.
La materna sopperisce alla poca esposizione alla lingua che riesco a fare a casa (lavorando a tempo pieno mi godo mio figlio 2 ore al giorno e se parlassi inglese mio marito si sentirebbe uno straniero in casa propria) ma ora vedo che anche mio marito (all’inizio molto scettico su tutta la “questione inglese”, per l’iscrizione alla materna ho dovuto tenere un sermone sulle opportunità che nostro figlio avrebbe avuto in futuro e fare ostracismo su tutte le altre strutture) apprezza e ogni tanto anche lui butta lì la parolina in inglese (il suo in realtà è un inglese scolastico mai praticato che suona forzato, non naturale).
Chiaramente anche il mio motodo è “random” e il mio inglese non è certo “native” ma se seguissi un metodo strutturato penso che G. farebbe molta più resistenza. Anch’io come papà Marco a volte traduco dall’inglese all’italiano su richiesta di G. e mi ponevo gli stessi dubbi sull’utilità di tale pratica. sapere che un dubbio è condiviso lo rende meno difficile da affrontare e ringrazio Letizia per la sua “lettura evolutiva della situazione”. Anch’io imparerò a creare un rito per passare dall’italiano all’inglese, in effetti mi rendo conto che a volte G rimane confuso dal mio cambio di lingua.
Grazie e ciao.
Marzia
Fabio says
Mi sembra molto bello vedere che non solo le madri si occupano di queste cose ma anche i papà.
Rispetto a te Marco, mi trovo in una situazione diversa vivendo all’estero in un paese francofono, ma abbiamo deciso insieme a mia moglie che io parlassi in inglese con la nostra piccolina.
L’ho fatto fin dalla sua nascita e ad oggi, dopo un anno e poco più, la bimba ancora non parla quindi è presto per capire l’impatto di questa decisione (inoltre lei viene esposta a tre lingue!) ma vedo che a volte comprende quello che le viene detto e agisce di conseguenza. E molto poco ma a me sembra già tanto.
Capisco i tuoi dubbi, per questo ti dico in bocca al lupo: il tuo approccio sembra equilibrato e pieno di buon senso!
Ciao
Fabio
Bilingue Per Gioco says
Due papà! Ora svengo…
🙂
L.
Marco says
Ciao Fabio,
In bocca al lupo anche a te e tienici aggiornati.
Dove vi trovate?
Milanese says
eccolo un caso molto simile al mio!
solo che mia figlia di anni ne ha 4 e forse ha qualche drop in più di N.
capisce poco anche di un cartone semplice come Charlie e Lola e che quindi o non lo vuole vedere o chiede “cos’ha detto?”.
capisco che aumentando l’esposizione capirà sempre di più…
ma come aumento l’esposizione se manco i semplici cartoni o canzoncine le capisce (al massimo le ripete a memoria senza capire a fondo) , e farle memorizzare parole è noioso ?
l’unica che mi viene in mente è leggere libri per bambini più piccoli in inglese e tradurli dall’italiano… ma anche qui… mi dice “leggiamone un altro”… in italiano, con trama più interessante… e comunque dovendo tradurre non so quanto abbia senso.
lo so che faccio sempre la stessa domanda… ma veramente non so come fare il salto di livello
Marco says
Ciao Milanese
Non avere fretta, non forzare la mano, asseconda tua figlia, dai tempo al tempo, prova ad inserire l’inglese in occasioni differenti per capire in quali casi è accolto meglio. Non proporre di memorizzare, deve nascere da lei il desiderio di sapere come si dice qualcosa in inglese. Hai provato Peppa Pig?
milanese says
Peppa Pig?
se io vedessi Peppa Pig che so in francese, lingua che non conosco, capirei il filo del discorso credo, e poco più. ma ho 40 anni e il francese ha qualche assonanza con l’italiano.
non è che se lo guardassi 3 volte capirei di più… e mi passerebbe pure la voglia di vederlo…
Bilingue Per Gioco says
Sarò sincera, se tu sei così dubbiosa e pessimista forse è meglio lasciar perdere, non ci sarebbe nè gioia nè spontaneità…
Tutto deve partire da noi.
L.
milanese says
no, mi devo essere spiegata male, sono dubbiosa su COME procedere, non sul SE procedere.
e sono un po’ sfiduciata perchè mi sembra di non saper organizzarmi, sprecando la mia conoscenza e passione per la lingue, la sua spontanea ricettività e le risorse che ho la fortuna di avere…
milanese says
sono bloccata e anche un po’ sfiduciata.
non vedo come passare dai drop al poterle parlare in inglese.
e il periodo d’oro dell’apprendimento sta scorrendo.
d’altra parte ho remore a inserire la baby sitter madrelingua o mandarla qualche ora alla scuola estiva bilingue o andare in vacanza nei villaggi con l’animazione internazionale.
penso a me… lavoro tutto l’anno e in estate… vado in un villaggio in cui mi parlano in … rumeno?
insomma, sono dubbiosa… qualsiasi consiglio è ben accetto
milanese says
eccomi di ritorno
maggiore esposizione, sempre maggiore comprensione, ok, ha senso.
ma i “buchi” intanto glieli devo tappare io?
facciamo l’esempio con Peppa Pig. 5 minuti di cartone semplice semplice.
se glielo faccio vedere e le chiedo alla fine se vuole chiedermi qualcosa che non ha capito, non mi dice nulla, ma io SO che non può aver capito tutte le frasi… le ha desunte dal video e dal contesto, certo, ma non le ha capite, quindi non le padroneggia abbastanza da capirle se gliele dico fuori da contesto cartone.
tipo “are you coming with me?” … lo “vede” dal cartone che cosa significa; il giorno dopo che ha visto il cartone, però, gliel’ho detto io a senso e non mi ha capito…e gliel’ho ripetuto in italiano
che faccio: nei momenti successivi al cartone rinforzo le frasi chiave del cartone? come? dicendoglielo in inglese e poi in italiano qundo mi dice di non capire?
o guardo il cartone prima e queste frasi chiave gliele inserisco nella nostra vita?
quello che devo capire è come procedere… poi partooooooooooooo.
grazie a chiunque mi dia il “la”
Elisa says
Ciao,
capisco i tuoi dubbi che anche io ho vissuto in passato e vivo tutt’ora in parte. Da un lato c’è la volontà di introdurre la seconda lingua e la convinzione che questa scelta debba essere portata avanti, dall’altra c’è la consapevolezza che non possiamo forzare la mano o “obbligare” i nostri figli a sorbirsi l’Inglese anche quando non lo capiscono o non lo vogliono capire/parlare. Ammetto che, in alcuni casi, io ho un po’ forzato la mano, quando mia figlia, che ora ha 5 anni, un anno fa mi rispondeva “Italiano” non appena cercavo di parlarle Inglese, ogni tanto ho fatto finta di niente e ho continuato e certe volte è andata bene. Dai e dai, dall’inizio di quest’anno accetta tranquillamente che io le parli in Inglese senza batter ciglio. Ti preciso che nel nostro percorso di bilinguismo ci sono altre due componenti importanti: asilo bilingue e tata filippina parlante Inglese. Se posso darti un consiglio a livello personale, dovresti effettivamente metterla in un contesto in cui non ci sono alternative all’Inglese e quindi deve per forza sforzarsi di capire ed eventualmente esprimersi in quella lingua. Perchè hai remore nei confronti della baby-sitter madrelingua? L’ideale (potendosela permettere) potrebbe proprio essere una ragazza madrelingua che la fa giocare due volte a settimana, le fa leggere libri, le canta canzoni, la porta a passeggio. Qualcuno insomma che si presenti come persona che parla solo Inglese e che allo stesso tempo svolga con lei attività divertenti e stimolanti in un contesto possibilmente individuale. Potresti partire dopo le vacanze, da settembre. Penso tu sia di Milano (giusto?) come me, non credo sia difficile trovare una studentessa disponibile. E altrimenti perchè non i Playgroup di Bilignue per Gioco che partono a Milano? L’associazione dell’esperienza piacevole all’Inglese dovrebbe sortire i suoi effetti e forse solleverebbe te dalla pressione di essere l’unico soggetto responsabile dell’apprendimento da parte di tua figlia dell’Inglese e affrontare il tutto piu’ serenamente. Una volta presa confidenza con la lingua, potrai continuare tu con le stesse attività/giochi/canzoni: penso sarà piu’ semplice.
In bocca al lupo!
Elisa
milanese says
eppure si muove!
che capisse di più lo avevo intuito.
ogni tanto l’ho anche sentita canticchiare…e ha una pronuncia migliore della mia!
parlare mai, non l’avevo ancora sentita… sì, ripete le frasi dei libri o dei cartoni… ma di linguaggio suo spontaneo neanche l’ombra…
qualche giorno fa il suo “biscuit fly in juice” è stato quasi emozionante, tanto quanto il suo “papà” a 7 mesi.
a me è venuto spontaneo dire qualcosa tipo “gorgeous, your biscuit is flying into the water”…
so proud!
l’estate insieme ha portato i suoi frutti.
durante l’anno scolastico, purtroppo, tra lavoro e scuola, il tempo e la freschezza serali mancano, ma qualcosa stiamo facendo comunque, senza pressione, divertendoci, tante canzoni, tanto format, tanto mimo.
sono partita tardi, le ho fatto approcciare la lingua come L2 e non L1, ma sto recuperando il terreno.
basta ancora poco e posso pensare di immergerla in contesti monolingue a cuor sereno.
grazie a tutte per il sostegno
milanese says
è passato 1 anno e più. c’è stata costanza, maggiore organizzazione, esposizione il più possibile… e ora è in grado di conversare con la babysitter… a quasi 6 anni
avessi cominciato prima!!!
Marco says
Brava Milanese, la costanza premia sempre anche se a volte sembra che i frutti tardino ad arrivare