Vorrei che questo blog potesse ospitare le tante storie di famiglie che in Italia stanno crescendo i propri bimbi nel bilinguismo, per cui tanto vale incominciare dalla mia storia, anzi dalla nostra…
A fine Luglio 2007 ho chiuso il mio appartamento di Londra e con una valigia e un pancione da 32 settimane mi sono imbarcata su un aereo per tornare in Italia. Qui, in una caldissima e splendente domenica di settembre (che caldo faceva in sala parto!) e’ nato A.
Erano molti anni che non vivevo in Italia, e pensavo che tornare sarebbe stato molto difficile, ma la realta’ e’ che la vita da mamma e’ completamente diversa dalla vita a cui ero abituata. Una vita in cui ha molto piu’ valore sapere che i nonni o le amiche sono sempre a portata di voce per darti una mano piuttosto che sapere che fuori dalla porta di casa c’e’ un brulicare di gente, concerti, spettacoli che tanto non avresti mai occasione di vedere…
Pero’… pero’… io ormai davo per scontato che la mia vita avesse una dimensione internazionale, che i miei amici vivano un po’ tutto il mondo, parlare almeno una se non piu’ lingue straniere ogni giorno… Tutto cio’ era ormai parte integrante della mia vita e della mia personalita’, una parte a cui non volevo ne’ potevo rinunciare, ma soprattutto una parte di me che volevo assolutamente trasmettere ad A.
OK a dirla tutta A. e’ internazionale di nascita e l’ideale per lui sarebbe stato crescere a contatto con entrambe le culture, ma visto che cio’ non e’ possibile, che fare?
Non avendo risposta a questa domanda, ho cominciato a cercarmela. Nei libri ovviamente, io le mie risposte le cerco sempre li’, giusto o sbagliato che sia… Il primo libro che ho letto, e’ stato anche il piu’ decisivo: The Bilingual Edge. Questo libro mi ha tolto ogni incertezza, mi ha convinta che non c’era nullo di sciocco nel pensare di crescere mio figlio bilingue in una lingua che non era la mia lingua madre!
Ora, in tutta onesta’ io l’inglese lo parlo, scrivo e leggo davvero bene, e parlo piuttosto bene anche altre lingue, eppure ero incerta, mi sentivo piu’ che inadeguata, presuntuosa. Certo sara’ capitato anche a qualcun’altro, no? Pero’ riflettendoci, non cerchiamo di trasmettere ai nostri fligli tutto cio’ che sappiamo? Camminare, leggere, giocare a tennis, che piu’ ne ha piu’ ne metta… Perche’ non trasmettere anche la conoscenza delle lingue? Non sarebbe bello risparmargli tutte quelle sciocche lezioni a colpi di The cat is under the table?
Insomma, mi sono convinta in fretta, una mattina mi sono svegliata e ho annunciato a tutti: da oggi la mamma parla solo Inglese. A. non aveva ancora quattro mesi.
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