E’ molto frequente che i bambini bilingui non vogliano parlare la lingua in cui si sentono meno sicuri, con grande frustrazione dei genitori. Questo però è un fenomeno molto comune, di fronte al quale non bisogna assolutamente preoccuparsi ne’ tantomeno reagire con irritazione. Adesso vedremo i 7 motivi piu’ comuni per questo rifiuto e i 7 metodi piu’ efficaci per superarlo.
Innanzi tutto va chiarita la differenza tra bilinguismo attivo (di chi parla -e magari legge e scrive- due lingue), e bilinguismo passivo (di chi capisce una seconda lingua ma non la parla). Il bilinguismo passivo non va affatto sottovalutato, essere in grado di capire una seconda lingua è gia’ un ottimo traguardo, soprattutto in considerazione del fatto che spesso la seconda lingua diventa facilmente attiva nel giro di pochi giorni quando si creano le condizioni giuste, tipicamente un viaggio nel paese d’origine.
Comunque puo’ essere utile cercare di capire perchè cio’ accade e come si potrebbe cercare di stimolare il bambino.
Tante possibili ragioni per rifiutarsi di parlare una lingua:
- il bambino fa una scelta molto pragmatica, cioè si serve delle lingua che conosce meglio e in cui gli risulta piu’ semplice esprimersi, e dobbiamo ammettere che come ragionamento non fa una grinza…
- il bambino fa una scelta affettiva, cioè la decisione di parlare o meno una lingua diventa un modo per esternare sentimenti per una persona, magari mostrando di preferire la lingua parlata da una persona a cui è molto legato
- i bambini non vogliono sentirsi diversi, vogliono uniformarsi, e questo può portarli anche a rifiutare di parlare una lingua che li distingue dagli altri
- sempre perchè non vogliono sentirsi diversi, i bambini non vogliono essere messi in mostra come bilingui. Ripetute richieste di esibire le proprie doti linguistiche di fronte ad altri potrebbero ottenere l’effetto opposto e spingerli e chiudersi e rifiutare una delle due lingue
- puo’ succedere che una lingua abbia una connotazione meno prestigiosa di un’altra, o addirittura che possa identificare un gruppo sociale – per esempio gli immigrati – i bambini sono molto sensibili a queste cose già in tenera età
- forse la seconda lingua è entrata a far parte della vita del bambino di recente, per esempio perchè la famiglia si è trasferita. In questo caso ciò a cui si assiste piu’ che un rifiuto di parlare è un “periodo silenzioso”. Durante il periodo silenzioso i bambini sono superimpegnati nell’incamerare informazioni e imparare, piu’ o meno come fa un neonato che passa il primo anno della sua vita ad ascoltare e solo poi comincia a parlare. Questa è una fase dell’apprendimento normale e attivissima, anche se nulla traspare all’esterno i bambini sono impegnatissimi!
- se sono presenti persone che non parlano la seconda lingua i bambini potrebbero non volerle escludere, questo è un sentimento molto nobile che va apprezzato
Cosa fare per stimolare il bambino a parlare la seconda lingua?
- continuare a parlare nella seconda lingua! Ci sono tanti motivi diversi per cui un bambino potrebbe ostinarsi a non parlare, ma e’ sempre consigliabile non smettere di parlarla. Continuando a parlare nella lingua minoritaria si permette al bambino di continuare ad imparare questa lingua, anche se inizialmente solo in modo passivo. Come si è detto il passaggio da bilinguismo passivo a attivo può avvenire facilmente, basta che qualcosa o qualcuno lo inneschi, quando ciò avviene però il bambino inizia a parlare e ad esprimersi in modo anche complesso molto velocemente, perchè ha già a disposizione tutti gli strumenti per farlo.
- creare occasioni per frequentare altri bambini che parlino la stessa lingua con i quali possa giocare
- capire esattamente cosa spinge il bambino a rifiutare una lingua è essere già a metà dell’opera. Se è inibito dal fatto di non sapersi esprimere, si cercherà di esporlo di piu’ alla seconda lingua perchè impari piu’ in fretta, se è un problema di relazioni familiari, si cercheranno di sciogliere i nodi con i mezzi ritenuti piu’ opportuni, se si tratta di un problema di prestigio sociale, si cercherà di proporgli dei modelli di riferimento positivi nella lingua e cultura opportuna, se è un problema di opportunita’, si puo’ cercare di creare situazioni in cui è necessario parlare la seconda lingua, per esempio portandolo a trovare i nonni nel paese d’origine, etc. etc.
- in ogni caso, evitare sempre di forzare il bambino e metterlo sotto pressione. Il bilinguismo deve essere un fenomeno molto naturale, e ogni persona puo’ avere tempi e modi diversi, creare delle situazioni di disagio e mettere il bambino in difficolta’ non aiuta nessuno.
- armarsi di tanta pazienza, tanta comprensione, tanta determinazione. E avere tanta fiducia, il vostro bambino potrebbe non parlare come e quando vorreste, ma cio’ non toglie che vi capisce ed e’ bilingue, e al momento opportuno ve ne ringraziera’ di cuore.
- associare la lingua ad attivita’ che il bambino ama in particolar modo, come uno sport o un hobby
- condividere la propria esperienza con altre famiglie, per non arrivare a sentirsi isolati e scoraggiati quando in realta’ questo e’ un fenomeno davvero molto comune.
APPROFONDIMENTI
Questo e’ un tema molto delicato per tutte le famiglie bilingui, per approfondimenti leggete questi post:
- 5 metodi per aiutare il bambino a non mescolare le lingue
- 4 metodi per motivare i bambini in modo efficace
- L’importanza di un contesto sociale per la lingua minoritaria
- Pro e contro della Lode
Immagine da A Journey Round My Skull
barbaraland says
Nella mia esperienza non ho avuto episodi di completo rifiuto. Mia figlia ha sempre parlato entrambe le lingue con disinvoltura, forse perchè le ha imparate in tutta naturalezza, senza considerarlo un fatto straordinario. Sono d’accordo sul fatto che non bisogna forzare mai i bambini!!! soprattutto con il linguaggio. Come dico sempre, bisogna fornire al bambino una motivazione valida per parlare più lingue.
claudia says
La questione del rifiuto da parte del bambino di parlare la seconda lingua è un qualcosa di estremamente delicato. Letizia ha spiegato benissimo le varie ragioni che possono nascondersi dietro a tale atteggiamento da parte dei nostri figli, e a questo proposito vorrei portare la mia testimonianza, anche perchè – ora posso dirlo tranquillamente -, il problema si è del tutto risolto. Come ho già scritto in un altro commento, io ho cominciato a parlare inglese al più grande dei miei bambini, Riccardo, quando lui aveva 23 mesi ed è nato suo fratello Gianmarco. Per un paio d’anni tutto bene, poi c’è stato un periodo strano, di transizione, in cui ho notato una specie di chiusura da parte di Riccardo verso l’inglese, intorno ai 4 anni ha cominciato a dire “mamma, io sono italiano, io non parlo inglese, l’inglese fa schifo..l’inglese puzza (!)”. Ho capito che dietro a questo atteggiamento poteva anche esserci più di una ragione: sia il non volersi sentire diverso dai suoi coetanei, sia il fatto di non trovare un riscontro all’esterno (frequentavamo una famiglia inglese ma solo di rado), sia perchè suo fratello parlottava ancora troppo poco, in inglese e in italiano. Ovviamente Riccardo frequentava solo ambienti italiani, i nonni, l’asilo, i nostri amici ed i suoi amichetti… E’ stato un passaggio critico, nel quale è stato un bene per me il fatto che ci fosse il piccolo Gianmarco “di mezzo”…mi spiego meglio! Non potevo e non volevo lasciar cadere la cosa, anche se in certi momenti Riccardo me lo faceva pesare non poco, ho passato dei momenti di vero sconforto e mi sentivo combattuta, ma il fratellino è stato uno stimolo a non tornare sui miei passi. Stava appena cominciando a parlare e a distinguere i due sistemi linguistici, le due fonti principali (io e mio marito) e mi sarebbe davvero dispiaciuto cambiare lingua da un giorno all’altro. Sì, forse sono stata un po’ “cattivella” in certi momenti, anche se ho sempre cercato di rendere il tutto giocoso e “leggero” e se vedevo che Riccardo non ne voleva sapere di produrre in inglese, mi accontentavo che mi capisse. La svolta è arrivata nel momento in cui ho iscritto Ricky ad un corso one-to-one con una ragazza americana di nome Mauri, una persona dolcissima che ha vissuto per alcuni anni nella mia città e che ora è putroppo tornata a Dallas. Un’ora alla settimana Ricky giocava con lei, imparava canzoncine e giochini al computer, faceva lavoretti e altre cose divertenti, ovviamente il tutto soltanto in inglese ed è servito a sbloccarlo, a fargli vedere che questa lingua non era limitata dalle mura di casa nostra, non era un qualcosa che lo avrebbe isolato dagli altri. Sono passati più di tre anni da allora e oggi Riccardo è sempre più sciolto…non parla certo tutto il giorno in inglese, ci mancherebbe, ma quando, consapevolmente o meno, opta per questa seconda lingua si stupisce da solo di quello che riesce a esprimere. Ci sono stati alti e bassi, ma oggi va decisamente bene. Ho toccato con mano che forzare il bambino a parlare, nel senso di invitarlo troppe volte nel corso della giornata a produrre in lingua ciò che gli viene spontaneo in italiano – per le tante ragioni che sappiamo – è davvero controproducente, rende il tutto solo più frustrante. Se la comunicazione genitore/figlio è serena e fluida, prima o poi il bambino spontaneamente “si butta” a produrre, lo vedo ora quotidianamente e succede quando meno me lo aspetto. Dalle frasi che costruisce Riccardo mi rendo conto che ha davvero interiorizzato non solo tantissimi vocaboli ma anche strutture verbali che sì, ho sempre usato con lui fin da subito, ma di cui effettivamente non avevo la certezza che fossero state assimilate. L’altro giorno, per convincermi a stare nel lettone prima di addormentarsi (sa che se si esprime in inglese la mamma è più facile da corrompere…) mi ha detto “Come on mummy, I haven’t slept in your bed for a long long long time…please, please!” e io dentro di me “Cacchio – scusate la parola -ma allora funziona!!” Mica nessuno è andato a spiegarli la regola del Present Perfect Simple bla bla bla… A presto e un abbraccio a tutte le mamme di questo bellissimo blog. Claudia
L. says
Fantastico! Non c’e’ altro da dire.
L.
David says
Ciao, bellissimo argomento!
Che soddisfazione mi da’ mia figlia ogni volta che parla in italiano.
Anche solo un si’ o un no, o una parola semplice come “cagnolino” ripagano di tutto.
L’altro giorno siamo andati ad iscriverla all’asilo.
Pagata la retta, la direttrice mi fa: “ma che coincidenza! sara’ in classe con un altro bambino meta’ italiano!”(siamo in Giappone!)
che bello, spero proprio che fraternizzino!
Bilingue Per Gioco says
Che bello sapere che ci leggi dal Giappone! Quanto vorrei tornarci… Lo sai che quando ero a Tokyo ad un certo punto non sopportavo piu’ il riso, non e’ che non mi piacesse, e’ che proprio non ero abituata a mangiarne cosi’ tanto e non ce la facevo piu’. Proprio in quei giorni mi incontrai con un’amica di mio fratello che vive li’, e lei mi porto’ in un bacaro. I bacari sono i ristoranti tradizionali veneziani, dove si serve la cucina locale e soprattutto ombre (bicchiere di vino) con cicchetto (uno stuzzichino, buono pero’!). Beh, credimi, a Tokyo c’e’ un bacaro perfetto, in tutto e per tutto!
Tornando al bilinguismo, incontri degli ostacoli? Vieni guardato male se parli in italiano con tua figlia in pubblico?
Ciao,
L.
David says
SI’! anche a me il riso da’ abbastanza sui nervi, a volte! Fortunatamente mi faccio delle sane iniezioni di pasta nel fine settimana, mia moglie ed io cuciniamo entrambi bene!
Comunque ho notato che chi cresce in Italia ha piu’ tolleranza verso l’olio d’oliva, ovvero noi ne possiamo mettere a fiumi e non ci da’ mai fastidio, oppure il riso per noi non riempie come la pasta…lo digeriamo come niente.
io sono a Fukuoka, molto piu’ a sud.
Devo dire che tutti sono gentili e premurosi ma a volte avverto quell’atmosfera un po’ strana ogni volta che parlo con mia figlia in italiano. E’ un misto fra ammirazione e rimprovero, non saprei definire bene quale delle due (e sono certo che qui tutti mi capite!).
Ora che mia figlia Hina mischia le lingue e dice Papa’, parco he ikou! (papa’ andiamo al parco), oppure quando dice alla sorellina NON SI FA!Yamete! (smettila) in pubblico, me la correggono. Ad esempio le dicono, non si dice Parco, si dice Kouen!
Comunque continuo imperterrito a parlarle solo in italiano.
ps: A Tokyo hanno fra i ristoranti italiani piu’ buoni che ho mai provato ma ci capito poco.
sono fortunato perche’ qui la specialita’ e’ la trippa…e io sono di Roma!
Bilingue Per Gioco says
La trippa in Giappone! Altro che sushi e simili delicatezze!
Che bella la tua storia, mi piace immaginare la tua bambina, anzi le tue bambine.
L.
Mary says
We’ve been lucky so far, although as our son is only 2 and a half I suppose there’s a long way to go! I would appreciate some advice though relating to point 4 – what can I respond to those who say ‘o che bello il bimbo che sa 2 lingue, dai dimmi qualcosa in inglese!’. Something along the lines of an Italian version of ‘he’s not a performing monkey’ but in Italian and, erm, polite. Any suggestions?
Bilingue Per Gioco says
Prova con “Il bambino parla Inglese solo con chi sa l’Inglese, del resto ha ragione no? “, vediamo se si stanno zitti…
L.
Mary says
I’ll have to be very careful to get the intonation right! Don’t know if I dare!
By the way I just found your blog today and love it, so many things I’ve thought ‘wouldn’t it be nice to…’ and you’ve done them! Tanto di cappello.
Bilingue Per Gioco says
Mary, well, let’s put it this way, you have three options:
1) they make a fool of your child
2) you make a fool of yourself
3) you and your child make a fool of them
I think it worth going from 1 to 3 even if that means having to pass by 2 a few times…
Grazie!
L.
gianna says
Per fortuna che mi ricordavo di questo post e l’ho ripescato.
Il quattrenne figlio maggiore sta rifiutando la mia povera lingua madre, e io sono un pelo rattristata.
Devo mettere questo post nei bookmarks.
Bilingue Per Gioco says
Gianna,
rifiuta di sentirla o di parlarla? Se rifiuta di parlarla ci vuole un misto di pazienza e strategia, se rifiuta di sentirla opterei per la fermezza: è la mia lingua, punto.
L.
gianna says
Ciao, (scusa il ritardo, ma il nuovo bambino2 mangia anche lui le mie notti), allora: il primogenito non puó rifiutare di sentirla, perché con lui l’italiano parlo, e basta, e non ci sono vie di scampo.
Lui ha dichiarato molte volte ultimamente che ‘non la vuole parlare’. Poi i fatti lo smentiscono, ma l’atteggiamento é quello. Probabilmente sente che le sue competenze nel parlare lo svedese sono maggiori, cosí come lo svedese gli é piú utile. Spero che in futuro, con calma, si sbrocchi un po’ e consideri un utilissimo privilegio il fatto di poter parlare una seconda lingua.
Massima says
My son is 3 years old, I am Italian and my husband American and we speak English in the house ( I also speak only in Italian to him) . We live in France and he speaks very good Italian and English.
Although my son had a full time French nanny for 3 years ( he loved her) this year he joined the public French school and he keeps talking In Italian to everybody. Any explanation ??? 🙁
Giulia says
Mia figlia di 4 anni mi parla a fatica in italiano.
Io in casa, le parlo solo in tedesco, mentre mio marito le parla in russo.
Lei fa un pò un misto tra le 2 lingue (russo e tedesco), e quando parla fuori casa con qualcuno, nessuno la capisce, se non ci sono io che dico in russo alla persona quello che mia figlia ha detto.
Sua sorella, invece che ha 6 anni, va a scuola, dove parla solo russo.
Quando in casa le 2 sorelle giocano, sento che fanno un misto tra russo e tedesco, ma non per sbaglio!
O meglio la sorella di 4 anni le parla in un misto tra le 2 lingue, e la sorella maggiore segue quello che dice lei, per cui fa un misto anche lei.
L’italiano lo parlano con i nonni, e non hanno una padronanza perfetta ovviamente.
Abitiamo in Russia, a San Pietroburgo.
Un saluto.
Ekaterina