Ebbene si’, siamo stati noi a contagiare Nadia e la sua famiglia, e ne siamo tanto orgogliosi. A priori crescere un bambino bilingue puo’ sembrare difficile, anche se uno o entrambi i genitori sono madrelingua, e invece basta solo parlare! A volte per partire serve solo un po’ di incoraggiamento, non sentirsi soli, e come dice Nadia, non aver paura di sbagliare. Sono sicura che un domani Gioele ringraziera’ i suoi genitori per questa scelta. E se dovesse servire un incoraggiamento di quando in quando, ci siamo qua noi!
Prima che nascesse Gioele io volevo che crescesse bilingue, il papà è senegalese e anche se la sua lingua madre è il dialetto africano diola parla molto bene il francese; io ho vissuto un anno in Francia e uno in Burundi e anch’io parlo bene il francese o forse sarebbe meglio dire che lo parlavo perché dopo tanti anni sto dimenticando a una velocità supersonica!
Quando è nato Gioele il papà era riluttante a parlargli in francese, all’inizio diceva che era troppo piccolo e che non serviva (!!?? grr…) poi ha iniziato a dire che non gli veniva spontaneo (vive in Italia da 15 anni) e che non se la sentiva. Ho provato ad insistere un po’ elencandogli gli effetti positivi del bilinguismo, ma alla fine con mio grande dispiacere ho dovuto rinunciare. Io da sola proprio non me la sentivo di portare avanti questa impresa: non solo non sono madrelingua, ma sono molti anni che non parlo più il francese.
Questo fino a mercoledì 18 febbraio 2009 quando ci siamo incontrati con Letizia e A. al parco: quando ho sentito Letizia parlare in inglese con il suo bimbo che ha 17 mesi, proprio come Gioele, è scattato qualcosa in me. Mi sono detta: “ma è semplicissimo! Basta solo cominciare!”. La cosa mi ha entusiasmato e tornando a casa ho deciso: “strafalcioni o no, da ora con Gioele si parla solo in francese”!
Ho appeso alle pareti di casa dei biglietti con scritto “parlez moi en français s’il vous plait” e “il faut parler en français ne pas oublier”. Arrivato il papà gli ho dato la bella notizia e anche se con una certa diffidenza ha accettato la sfida.
Ebbene eccoci qua anche noi in questa avventura del bilinguismo. Per il momento non è facile, io mi sento un po’ strana a parlare a mio figlio una lingua che mi viene dalla testa e non dalle budella come la mia lingua madre e poi molte parole dell’ambito infantile non le conosco. Come si dice ciuccio in francese? e bavaglino? Beh, devo per forza ricorrere al dizionario, comunque non desisto, penso che con la pratica verrà tutto più naturale.
Il metodo per ora è che papà e mamma parlano solo in francese con Gioele e con un po’ di difficoltà anche fra di loro. Quello che succederà non lo so, lo scopriremo, ma per il momento abbiamo iniziato! C’est parti!
Ciao,
Nadia
Comunque il francese e’ una lingua tanto romantica, secondo me ci stanno guadagnando anche mamma e papa’…
L’8 Aprile 2009 Nadia aggiunge in un commento a Il primo incontro genitori bilingui fa sorgere tante domande:
Sono stata molto contenta dell’incontro con i genitori di sabato 21 marzo. Anch’io mi aspettavo di approfondire principalmente i temi metodologici, i come, quando e quanto esporre i bimbi alla seconda lingua e invece ci siamo accorte che c’era molto di cui parlare e riflettere sui perché (ben sintetizzati nell’articolo di Letizia).
Per me in particolare l’incontro con i genitori ha sollevato due ordini di problemi.
Il primo che parlando una lingua che non è la propria lingua madre la comunicazione diventi più frammentaria, meno immediata e il rapporto meno diretto e più artificioso. Sappiamo che attraverso la lingua madre ci si esprime meglio e in maniera più completa, è la lingua migliore per lo scambio affettivo e dei sentimenti, componenti queste imprescindibili nella comunicazione con i più piccoli.
Il secondo dubbio nasce dal fatto che si scelga di parlare in famiglia una lingua che non fa parte dell’identità principale dei genitori e non si riesca a trasmettere quindi una componente fondamentale delle radici culturali e tradizionali di cui il bambino ha bisogno per crearsi la propria identità.
Il mio caso è abbastanza particolare: io sono italiana di madrelingua dialetto veronese, parlo bene francese e spagnolo e meno bene l’inglese, il papà è senegalese parla bene il francese pur non essendo madrelingua e Gioele ha 18 mesi e da circa 1 mese abbiamo iniziato a parlargli in francese (prima solo in italiano). L’incontro di sabato ha rotto il vaso di pandora sulle motivazioni che ci hanno spinto non tanto alla scelta del bilinguismo, ma piuttosto sulla scelta della seconda lingua.
Riguardo il primo problema, la mia riflessione mi porta a sostenere che la mancanza di immediatezza, di completezza e di partecipazione effettiva che si trasmette con la lingua madre, possano essere compensate da altri elementi, quali il contatto fisico, le coccole, la gesticolazione, l’enfasi data alle parole, il gioco e la complicità che si crea tra bimbi e genitori. Su questo punto quindi mi sento abbastanza tranquilla nel parlare a Gioele una lingua che non conosco alla perfezione.
Faccio invece più fatica a darmi una risposta al secondo problema: quello dell’identità.
Nel nostro caso noi abbiamo escluso a priori i due dialetti (mio e del papà) che invece sono le lingue delle rispettive origini familiari.
Mi sono resa conto che la scelta di parlare a Gioele in francese è stata dettata da un ordine quasi unicamente pratico, ossia dal fatto che è l’unica lingua (a parte l’italiano) che sia io, sia il papà parliamo bene, però non è la lingua madre di nessuno dei due (anche se il francese è una delle due lingue ufficiali in Senegal). Su questo aspetto forse noi come famiglia abbiamo riflettuto poco. Quello che però mi sento di dire è che noi stiamo dando a Gioele uno strumento in più (la seconda lingua) e questo non significa a priori privarlo dell’identità trasmessa dai genitori. Per capirci, io credo di essere me stessa e quindi di trasmettere la mia propria identità e di contribuire alla costruzione dell’identità specifica di Gioele, anche se gli parlo in francese e non in dialetto veronese; e lo stesso vale per il papà.
L’argomento è complesso e mi rendo conto che ci devo riflettere ancora, mi farebbe piacere condividere le opinioni di altri genitori che si sono posti questo problema di lingua e identità.
Un saluto
Nadia
L. says
Nadia,
credo che il legame tra lingua e identita’ sia veramente importante e delicato, e spero avremo modo di approfondirlo. Nel tuo caso specifico pero’ io personalmente trovo che l’identita’ di Gioele possa essere davvero multipla, l’importante e’ che lui senta di potersi appropriare della sua identita’ senegalese tanto quanto di quella italiana.
Forse da questo punto di vista l’ideale sarebbe che lui imparasse la lingua del papa’. Ma se cio’ non e’ possibile o pratico, io credo che il francese sia comunque molto molto utile. Parlare francese per lui signifa avere la consapevolezza che il giorno che decidesse di andare a scoprire da dove viene avrebbe modo di comunicare con la “sua gente”, e trovo che questo sia davvero importante!
Letizia