Interessantissima l’esperienza di Claudia, che condivide non solo la sua esperienza di mamma non madrelingua che usa il metodo OPOL, ma anche quella dei suoi tre bambini, ognuno dei quali ha un’esperienza diversa di bilinguismo.
Anche io, mamma di tre maschietti, vorrei complimentarmi con te per la tua iniziativa e, penso di poter parlare anche a nome di altre mamme che stanno cercando di trasmettere l’amore per le lingue (nel mio caso l’inglese) ai loro figli, ringraziarti.
Anche io non sono una native speaker, anche io ho pochi punti di riferimento madrelingua (nel mio caso fortunato si tratta di una famiglia disponibile nonchè della mia collega di lavoro) e ogni tanto mi sembra di vivere in una realtà (Fossano, cittadina di 25000 abitanti, atmosfera non certo da Portobello Road) che non mi aiuta….ma quando vedo i progressi linguistici del mio bimbo più piccolo, che ha appena compiuto due anni, o degli altri due, 4 e 6 anni, che capiscono ormai anche i discorsi più complessi, capisco che sto facendo la cosa giusta…So che ogni tanto ci si sente soli, ma non è così e me ne sono resa conto proprio trovando questo blog.
Avere una buona/ottima padronanza dell’inglese non è come essere madrelingua, questo è un dato oggettivo, ma i risultati arrivano comunque. Costa solo un po’ più di fatica, questo sì! Personalmente, cerco di esporre i miei bambini alla lingua inglese anche leggendo libri di fiabe e guardando dvd e cartoni insieme a loro (su Sky ce ne sono di bellissimi, per varie fasce di età). Non mi faccio scoraggiare se i due più grandi producono poco in inglese e molto in italiano, è normale data la comunità in cui vivono, la keyword che tengo in mente quotidianamente è CONSISTENCY!
Ho sempre amato l’inglese, ma quando è nato Riccardo, quasi sette anni fa, forse era ancora presto, e la scelta di parlargli in lingua è stata messa in standby. Mi limitavo a leggergli fiabe, a guardare insieme a lui qualche cartone o a cantargli filastrocche. Quando Riccardo aveva 23 mesi, è nato suo fratello Gianmarco, e quello era il momento giusto. Ormai Riccardo aveva una buona padronanza dell’italiano e così, anche grazie all’incoraggiamento di mio marito (è una scelta radicale, dietro alla quale ci devono essere consapevolezza e serenità!) abbiamo deciso di usare il metodo OPOL. Ho cercato di accompagnare Riccardo nel suo percorso di apprendimento, che è avvenuto in modo sorprendentemente rapido, e mentre parlavo al piccolo Gianmarco esclusivamente in inglese, per circa un annetto ho usato inglese ed italiano con Riccardo, traducevo, cercavo di rendere il tutto il più naturale possibile. Nel giro di poco, Riccardo ha imparato i nomi degli oggetti che lo circondavano, la sintassi, i suoni della nuova lingua…è sorprendente l’elasticità della mente dei bambini ed è un vero peccato che alla scuola primaria non si sfrutti abbastanza questa loro fertilità, ma questo è un altro discorso!
Nel giro di un anno, quindi, ho abbandonato del tutto l’italiano e venivo perfettamente capìta. Due anni fa è nato Davide, che ora parlotta che è un piacere. Potrei parlare dei progressi linguistici dei miei figli nei dettagli, ma mi sembra un po’ eccessivo. La situazioni linguistica in casa mia ora è questa: italiano tra me e mio marito; italiano tra lui e i bimbi; inglese io ai bimbi. E loro? vi chiederete!
Per il momento i due più grandi sono in una fase di bilinguismo più che altro passivo, producono per lo più in italiano ma comprendono tutto ciò che dico loro e gran parte di ciò che sentono alla TV o da parlanti madrelingua; ogni tanto si lanciano in qualche discorso inglese (e io volo a mezz’aria); spesso buttano lì vocaboli inglesi in frasi italiane (ma in modo consapevole, è buffo ma hanno interiorizzato così bene certi termini inglesi che per loro restano più efficaci del traducente italiano!!). Io continuo a bombardarli in inglese in ogni situazione dentro e fuori casa (sia chiaro che non li forzo a produrre, ho provato la “linea dura” ma la trovo controproducente) e andiamo avanti così, loro crescono, io mi tengo aggiornata, il papà ormai ha quasi imparato la lingua senza accorgersene (!) e io mi sento di aver fatto la scelta più stimolante e entusiasmante della mia vita, che ci accompagnerà spero per sempre.
Continuo a imbattermi in persone che, non appena vedono la scelta che ho fatto, restano perplesse.
Per questi io:
A) sto facendo qualcosa di totalmente inutile, …siamo italiani…
B) sto sadicamente complicando la vita ai miei figli
C) entrambe le cose insieme
Ma io vado avanti perchè so che tante altre famiglie vivono quest’esperienza e rifarebbero le stesse scelte che ho fatto io! A volte dobbiamo solo farci un po’ di coraggio gli uni con gli altri perchè voi sapete che non è facile ed è un vero dispendio di energie mentali. Vorrei incoraggiare tutte quelle mamme/papà che si sentono un po’ a disagio a parlare la lingua di minoritaria in pubblico, rivolgendosi ai propri figli. Per me è stato così all’inizio, nel senso che ho scelto di parlare esclusivamente inglese ai miei tre bambini in un ambiente che di inglese non ha proprio nulla…e per di più da parlante non nativa…ma determinata a portare avanti questo progetto di vita.
Il disagio, se così lo si può chiamare, è stato soltanto iniziale, poi è bastato pensare questo: ma perchè devo rinunciare a parlare loro in inglese, rischiando pure di confonderli con tutto questo code-switching? C’è la nonna per casa? Arriva l’amica a trovarci? Siamo in panetteria? Va bene, io a loro continuo a rivolgermi in inglese, così come faccio quando siamo soli. Sia chiaro, per me è anche importante l’educazione, è doveroso da parte mia preoccuparmi di non far sentire il terzo interlocutore “escluso” dal discorso, e del resto anche a me è capitato di sussurrare più che di sbandierare frasi ad alta voce, ma nel corso degli anni ho elaborato tutta una serie di strategie diplomatiche per cui ormai in tutti gli ambienti in cui siamo vale sempre la stessa regola: la mamma parla italiano a tutti gli altri e inglese ai suoi tre bambini , e tutto funziona bene. Complicherei ulteriormente le cose a mio figlio Davide, che ora a due anni comincia bene a distinguere le fonti italiane (il papà e tutti gli altri) e le fonti inglesi (io, i programmi TV, l’amica madrelingua etc.) se mi sentisse parlare ai suoi fratelli un po’ in italiano, un po’ in inglese, insomma che minestrone… perchè poi? Per evitare un po’ di imbarazzo, diciamolo pure, generato più che altro dalla ristrettezza mentale del vicino di casa?!
Parlare sempre e solo ai bambini in lingua inglese mi ha portato tra l’altro a sentire sempre più mia questa seconda lingua, e loro stessi la interiorizzano così, in modo naturale, sanno che dalla mamma arriva questo e lo accettano tranquillamente, imparano senza accorgersene, e non è forse proprio qui che sta l’essenza della scelta che abbiamo fatto tutti noi? Dare ai nostri figli uno strumento, che poi nella vita decideranno loro se e come usare. E’ un dono che facciamo ai nostri bambini che sì, si basa certo anche sul nostro amore per la lingua straniera, ma non si limita certamente a questo. A presto, Claudia.
Silvia says
Brava, Claudia! Le mamme come te sono per me un esempio ed uno stimolo ad andare avanti con questo “progetto di vita” (questa definizione mi piace tantissimo!!!). Anche io parlo non-native English ai miei due figli di 5 e 2 anni. Ancora però non ho raggiunto quel livello di totale serenità a parlare questa lingua in pubblico. Devo ammettere che con il primo figlio mi trattenevo molto di più. Dopo che è nata la seconda sono diventata molto più “disinibita”. Il risultato (ovvio) è che mio figlio più grande può essere definito un bilingue passivo, mentre la sorellina usa molti più termini inglesi di quanto non facesse lui alla sua età! Forse se avessi un terzo figlio riuscirei a raggiungere il tuo livello… :-))) Ma non credo che sarà possibile allargare ancora la mia famiglia!
Concordo con te quando dici che dobbiamo farci coraggio a vicenda. Molti comuni monolingui sono ancora lontani dal capire l’importanza della nostra scelta. Pensa che, nonostante viviamo in un’epoca in cui la Commissione Europea ha deciso che un’esperienza all’estero durante la carriera degli studi dei giovani debba diventare in futuro una regola piuttosto che l’eccezione, mi capita ancora di incontrare persone che affermano “se solo mio figlio si azzardasse a dirmi che vuole fare un’esperienza all’estero, tipo Erasmus, gli faccio smettere l’Università e lo mando a lavorare!” (commento fresco fresco di un mio amico col quale, lo scorso fine settimana, stavo parlando del futuro dei nostri figli). Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza. Silvia
Valeria says
Claudia, anche da me tanti complimenti e grazie per aver parlato della tua esperienza!
Ho due bimbi, uno di 2 anni, l’altro di 5 mesi e proprio adesso sto riflettendo su come iniziare anche io a interagire con loro in lingua inglese (che padroneggio bene, pur essendo non madrelingua e molto più “passiva ” che attiva). Mi interesserebbe tantissimo capire nella pratica come hai gestito il primo anno con Riccardo, cioè in che modo interagivi nelle due lingue, italiano e inglese, e che accorgimenti hai trovato per ridurre la confusione fra le due lingue in quel periodo. Il mio primo bimbo ha infatti la stessa età, proprio in questo periodo sta esplodendo il suo vocabolario italiano e cerca continuamente conferme sul suo vocabolario (italiano ovviamente)… ho iniziato da poco a parlargli in inglese in certi momenti (senza tradurre però) e sono rimasta un po’ perplessa su come comportarmi ogni volta che mi parla in italiano (con gli occhi che chiedono: si dice così vero mamma?). Mi piacerebbe davvero condividere latua esperienza in quel periodo! Valeria
Claudia says
Ciao Valeria, è per puro caso che leggo il tuo commento, scritto da poche settimane. Purtroppo per mancanza di tempo avevo smesso da molto di leggere Bilingue per Gioco, anche se vedo che si fa sempre più ricco e interessante. Ti rispondo con piacere e ti chiedo scusa per il ritardo!! Il primo anno di vita del mio secondo figlio, Gianmarco, è stato appunto il periodo in cui, per non creare disorientamento al più grande, Riccardo, ho dovuto passare dal parlare italiano al parlare totalmente in inglese “senza traumi”. E per fortuna, non ce ne sono stati!!
Il metodo…non so neanche io quale sia stato, ma la cosa che mi sembrava più sensata era proprio usare entrambe le lingue in tutte le situazioni quotidiane in cui Ricky mi stava vicino (quando cambiavamo insieme il fratellino appena nato, quando pranzavamo insieme, ai giardinetti, davanti alla tv -con programmi in inglese adatti alla sua età)…Ad esempio dicevo “vedi Ricky, è ora di cambiare il pannolino a Jimmy, now it’s time to change Jimmy’s nappy..hehe, stinky nappy!!” e lui registrava le nuove parole in modo efficace perchè ogni frase riguardava gli oggetti che indicavo e le azioni che facevamo. Sarebbe stato impensabile di colpo mettersi a parlare di situazioni a lui estranee, non avrebbe capito quasi nulla. Ti confesso che non ho mai parlato tanto quanto quell’anno, praticamente era tutto doppio!!!! Ma la facilità con cui i bimbi imparano è sorpendente, te lo garantisco, e io non sono certamente l’unica che te lo dirà! Ti auguro il meglio, non farti scoraggiare da chi ti guarderà come se fossi impazzita, porta avanti la tua scelta e tutto andrà bene!! Sono a tua disposizione per qualsiasi altra informazione.
Valeria says
Ciao Claudia, grazie per la risposta e l’incoraggiamento!
penso che mi piacerebbe usare il tuo “metodo” anche nel nostro caso.
infatti mi sono resa conto che parlando in inglese al più grande senza tradurre in italiano (cosa che sto facendo solo alcuni giorni della settimana da circa un mese), lui sta iniziando a fare resistenza (tranne quando cantiamo le canzoncine che continua ad adorare). Una differenza sarà però che non so se arriverò ad OPOL (penso mi dispiacerebbe rinunciare completamente a trasmettere anche io la lingua italiana, le canzoncine che conoscevo da bambina etc). Rimando questa decisione a più in là quando sarò anche più cosciente sulla mia motivazione.
Mi piacerebbe approfittare della tua disponibilità per farti qualche domanda, sperando sia la sede adeguata…
– c’è qualcosa che ti ha fatto rendere conto, dopo il primo anno che era il “momento” in cui potevi abbandonare l’italiano anche con Riccardo?
– in quel primo anno, ricordi per caso come ti comportavi in momenti di difficoltà con Riccardo (capricci, risvegli in mezzo alla notte), riuscivi comunque a utilizzare entrambe le lingue?
– sempre in quella prima fase di transizione, tuo marito ha sempre parlato solo italiano o avolte interveniva con qualche parola in inglese?
per ora ho queste domande ma penso me ne verranno ancora in mente! grazie e complimenti per quello che sei riuscita a fare e stai ancora facendo! Valeria
Valeria says
mi è venuta in mente un’altra domanda:
– quanto tempo hai passato con i tuoi bimbi per arrivare al tuo (invidiabile!) risultato? Cioè, stavano con te tutto il giorno oppure lavoravi parte della giornata?
grazie ancora
Claudia says
eccomi! Rispondo alle prime due domande così: gradualmente, c’è stato sempre meno bisogno della frase italiana che traducesse a ricky quello che avrei poi detto in inglese. C’è da dire che sono stata logorroica, e forse lo sono ancora adesso, ma non mi pesa! Quando cambi il pannolino cinque o sei volte al giorno al più piccolo e bene o male Riccardo è sempre nei paraggi, quando vai ogni giorno ai giardinetti o guardi e riguardi il video che gli piace e lo commenti, un bambino di due anni non ci mette secoli per imparare. E’ vero che in quel periodo non lavoravo e mi dedicavo totalmente alla cura dei miei bambini, a parte qualche ora che Riccardo trascorreva volentieri dai nonni. Avendo due anni, non frequentava ancora neppure l’asilo, per cui sì, la quantità di tempo che passavamo insieme era notevole. Eliminare del tutto l’italiano è stato semplicemente un passaggio avvenuto per gradi, giorno dopo giorno.. A tre anni ha iniziato la scuola dell’infanzia, solo al mattino, e lì ho avvertito un momento di stasi, perchè il bambino era immerso in una nuova realtà fatta non più solo di nonni, ma anche di coetanei e maestre, tutti italiani! Però non mi sono arresa. Il tempo passava e io rimanevo l’unica parlante inglese nel suo mondo italiano, e per di più le uniche persone a cui IO parlavo inglese erano lui ed il fratellino piccolo! Ora Riccardo ha otto anni, Gianmarco sei e il terzo, Davide, tre. In loro, nel giro di questi anni, percepivo questo bilinguismo passivo, poichè capivano tutto ciò che dicevo loro, capivano le mie due amiche, un’inglese e un’americana, capivano i cartoni animati alla tv.. ogni tanto sì, usciva fuori qualche frasetta e spesso tante paroline qua è là all’interno di frasi italiane. Ma niente di più. La svolta è arrivata quando ha messo piede in casa nostra la ragazza alla pari, inglese, che non capiva una parola di italiano. E’ arrivata qui e dopo poche ore i miei figli sembravano tre bimbi nati in Inghilterra. Davide e Gianmarco con qualche limite nei discorsi, ma capaci di farsi capire al primo colpo, Riccardo, sicuro e corretto. Io e mio marito abbiamo avuto la ricompensa a tutti i nostri sforzi. La ragazza alla pari (esperienza stupenda con una persona altrettanto stupenda) è stata con noi più di sei mesi. Ora è andata via da un po’ ma ha innescato un meccanismo prezioso per cui i miei figli ora continuano a parlare italiano in geneale e quasi sempre anche con me, ma spesso e volentieri parlottano anche in inglese, specialmente il piccolino viene da me e mi dice le sue frasette dolci in inglese! La chiave di tutto questo è stata la determinazione. Non ti nascondo che ci sono stati dei periodi anche lunghi mesi in cui mi sembrava di avere il mondo contro (non mio marito certo, ma spesso la gente, gli estranei, certi parenti, i vicini perplessi, le situazioni stesse, che sembravano dirmi: ma cosa gli parli inglese a fare che tanto loro continuano a parlare italiano??). Forse ho anche versato qualche lacrima. Intanto la sera li addormento leggendo loro i libri di fiabe che ci ha regalato la nostra ragazza alla pari Alice, loro li sanno a memoria tanto sono belli e a me sembra di toccare il cielo con un dito! Scrivimi presto!
Claudia says
Ho dimenticato di rispondere ad una tua domanda importante: mio marito non ha mai parlato loro in inglese, anche perchè all’inizio non sapeva quasi nulla della lingua, si può dire che l’ha imparata sentendomi blaterare in casa, ahah! Comunque abbiamo voluto fare le cose in modo netto, io solo inglese, lui solo italiano, senza eccezioni. Penso sia meno confusionario per i bimbi, almeno quelli molto piccoli.
Sul fatto del sentire la mancanza dell’italiano, capisco cosa intendi, ti dispiacerebbe non poter più trasmettere la tua lingua madre.. Io sono consapevole di questo. Sono una a cui non piace delegare, ma in questo caso, per realizzare tutto questo, ho dovuto scegliere. Devi capire fino in fondo quanto tu sia disposta a mettere da parte la tua lingua per far posto all’inglese, e quanto tu riesca a sentire tua la lingua inglese stessa. ci saranno momenti “di verifica”, ovvero situazioni in cui dovrai parlare, sussurrare o “gridare” cose ai tuoi bambini. Quella sarà un po’ la prova del nove. Se ce la farai a gestire in inglese le coccole e le sgridate, allora ce la farai sempre!
Valeria says
Ciao Claudia
sono tornata su questo post per ringraziarti.
Ho fatto mio il tuo metodo “logorroico” di parlare in due lingue al più grande. Penso che siano bastati effettivamente meno di tre mesi per “dimenticarmi” quasi sempre di tradurgli in italiano… perchè tanto ero abbastanza tranquilla che l’inglese lo capiva lo stesso
A distanza di 5 mesi da quando ti scrivevo, sono davvero sorpresa di quanto capisca e utilizzi la nuova lingua e al tempo stesso rileggo quanto mi avevi raccontato con molta più consapevolezza!
Personalmente, però, nonostante ora lo potrei tranquillamente fare, non riesco a passare al 100% (OPOL), mi attesto su un buon 85%… il mio punto debole non sono tanto le situazioni all’esterno, ma piuttosto i discorsi “intensi”, come appunto le sgridate… in cui molto spesso finisco per ribadire i concetti anche in italiano, altrimenti mi rimane proprio l’impressione di non aver trasmesso bene una cosa magari “importante”… vedremo comunque come andrà avanti nel tempo e grazie per gli auguri che ricambio!