Avevo promesso di condividere sia le “buone” che le “cattive” notizie, ed eccoci qua. Il ritorno a casa non ha fatto molto bene al bilinguismo, anzi secondo me e’ il ritorno all’asilo che non ha fatto molto bene.
Solo un mesetto fa vi dicevo che A. era bilingue bilanciato, ora questo equilibrio si sta inclinando, ovviamente a favore dell’italiano. Il colpo piu’ duro e’ stato quando per la prima volta l’ho sentito dire macchina. Ma come… Per mesi non ha detto altro che car, ossessionato dalle car, e ora all’improvviso vuole la macchina! Ci sono rimasta male, ma so che e’ normale…
Semplicemente credo che andando all’asilo e passando meno tempo con me abbia meno esposizione all’Inglese, tutto qui. Ho in mente un paio di idee per aggiustare un po’ la situazione una delle quali e’ fare in modo che passiamo piu’ tempo da soli io e lui, perche’ quando ci sono altre persone comunque lui mi sente parlare anche Italiano. Poi ovviamente vorrei far partire quanto prima i Playgroup per bambini bilingui… Poi vorrei tanto una ragazza alla pari, ma al momento proprio non me la sento di sconvolgere ne’ la mia casa ne’ la mia vita, quindi per ora niente. E questo per quanto riguarda la strategia.
La tattica invece e’ molto semplice: far finta di niente, ossia OPOL. Se mi dice le cose in Italiano io gliele ripeto in Inglese.
A: Guarda
L: Look mummy
A: Guarda
L: look Mummy, look
A: Guarda guarda
L: Look mummy look
e cosi’ via…
Oppure
A: Macchina, macchina
L: oh you want the car? Mummy Car please
A: Macchina
L: Car. Mummy Car please
A: Please
L: yes, please, mummy car please
A: (si distrae e guarda da un’altra parte) Book
L: oh you want a book, sure! which book do you want?
dopo che gli ho dato il libro etc….
A: Car
L: ok, you want the car, here it is …….. e finalmente gli do la car
Lui non sembra stupirsi al fatto che io non agisca quando mi chiede le cose in italiano, al tempo stesso sa benissimo che lo capisco anche in italiano.
Nel frattempo ho ricominciato a leggergli un libro di fiabe, che avevo lasciato da parte per un po’ preferendo i libri illustrati, che in effetti sono molto piu’ belli, ma anche piu’ impegnativi. Ultimamente quando va a letto fa molte storie e io sono distrutta, quindi ho ripiegato sul libro di fiabe, che e’ meno inetrattivo e piu’ rilassante. Stasera mi ha chiesto di leggergliene due, anzi ha chiesto anche la terza (ancora). Insomma se non capisse non starebbe li’ ad ascoltarsele, eppure queste fiabe hanno parole anche complesse, parole che non hanno nulla che vedere con la vita quotidiana, mah!
Chi vivra’ vedra’…
Immagine tratta da A Journey Round My Skull
Gianna says
Beh, intanto buon compleanno!
Sulla faccenda della lingua preferita penso sia normale e forse dovrai fartene una ragione, come per me con lo svedese rispetto all’italiano per il mio Alexander, semplicemente perché é piú pratico per lui. Specie adesso con l’asilo vedo che sta passando anche lui a privilegiare il corrispettivo svedese anziché l’italiano. (al telefono: hallo anziché pronto). la mimica peró é tutta italica 🙂
Adesso che il Vikingo ha iniziato il suo corso d’italiano cominceremo a parlarlo piú spesso a casa tra noi adulti, e spero sia d’incentivo.
una cosa che ho notato con mio figlio é che ultimamente vuole vedere spesso certi video di youtube dello zecchino in italiano, e da quella volta ha cominciato ad emettere un sacco di suoni nuovi, tipo gli, li, glie (che in svedese non esistono). é incoraggiante!
Alice says
ah ah ah l’ancora dopo le favole é senz’altro famigliare! Non si stufano mai! Secondo me potresti anche leggergli l’FT e di chiederebbe comunque di leggerne ancora tanto per farti restare lí con lui! 😉 Buona Giornata da una soleggiata Londra!
L. says
l’FT? e’ un’idea… buon punto pero’, che lui volesse solo che io restassi invece che interessarsi alla storia…
L.
claudia says
Ciao Letizia, io sono già passata attraverso la fase in cui sei “piombata” tu, e dico così proprio perché ci si ritrova di colpo, spesso dopo un periodo idilliaco in cui il nostro bambino sembra reagire in modo molto attivo ai nostri input linguistici come stava iniziando a fare il piccolo A., in un momento – che può durare a lungo, preparati!- in cui dobbiamo munirci di santa pazienza e accettare di affrontare la realtà che a volte spesso tendiamo a nascondere: viviamo in Italia.
Il mio secondo bimbo, Gianmarco, che ora ha quasi 5 anni, prima di cominciare l’asilo diceva un sacco di espressioni, parole, frasi e frasette in inglese, soprattutto dentro casa, interagendo con me o parlottando con suo fratello maggiore (che allora aveva appena 4 anni), il tutto ovviamente rapportato alla sua età. Insomma, non ti nascondo che era una gran soddisfazione!! Iniziato l’asilo, e continuando logicamente a frequentare nonni, amici di famiglia, amichetti etc etc italiani, è come se tutto si fosse non dico fermato, ma per lo meno rallentato notevolmente. Di colpo anche la sua “car” era solo e unicamente “macchina”, persino io non ero più “mummy” ma ero “mamma” (a livello di comprensione tutto però procedeva bene, le mie interazioni con lui si facevano più ricche e complesse e lui continuava a capire, ma parlava sempre più italiano). Passavano i mesi e vedevo che tutto l’inglese che aveva parlato sino ad allora veniva tranquillamente rimpiazzato dall’italiano, e anche parlando col fratello la lingua rimaneva solo una.
Gianmarco frequenta l’asilo tuttora, è al terzo anno, ma le cose sono diverse. Il fratello maggiore Riccardo è cresciuto e sta prendendo piena consapevolezza dei due sistemi linguistici e molte volte si lancia in frasi inglesi stimolando anche lui, io continuo imperterrita a parlare solo in inglese come già sai e con mio grande sollievo vedo che nulla è andato perso del suo bagaglio, che spesso riemerge, né a livello di vocabolario e strutture né tanto meno – aspetto da non trascurare- a livello della pronuncia, che resta sorprendentemente native-like!
Quello che voglio dirti è che ti capisco, ci sono dei momenti in cui mi sembra di combattere contro i mulini a vento, sento il bisogno mentale e fisico di isolarmi ogni tanto coi miei figli in modo da fare un po’ di full immersion senza che attorno tutti ‘sti italiani mi mettano i bastoni tra le ruote…e ogni tanto lo faccio proprio…ma tengo a mente un’espressione che mi ha colpito e che uso come termine di paragone con la mia esperienza: BOLLA LINGUISTICA, letta in “Il bambino bilingue” di B. Abdelilah-Bauer, libro che non consiglio assolutamente a chi si trova un po’ scoraggiato nel nostro campo poiché al capitolo 7, al paragrafo “Genitori monolingui – il bilinguismo sognato” relega tutti i genitori non native speaker sulla faccia della terra ad un patetico branco di poverini che disorientano i loro figli e vivono il loro quotidiano col dizionario in tasca dato il loro ridottissimo vocabolario, mettendo a repentaglio l’equilibrio della relazione genitore-figlio (MA COME SI PUò AVERE UN APPROCCIO COSì SUPERFICIALE E LIMITATO IN UN LIBRO SPECIALISTICO??? LA COSA MI HA FATTO ARRABBIARE NON POCO.)
Comunque, dicevo, l’unica cosa buona di questo capitolo è secondo me l’idea di questa bolla linguistica, ossia, il rischio – secondo me neanche così concreto data la comunità in cui viviamo – di isolarsi coi propri figli in modo da privilegiare la lingua minoritaria che non trova stimoli al di fuori del rapporto genitore-figlio nel caso OPOL e genitori-figlio nel caso di L2@home. Tengo presente questa idea non perché la ritenga l’inevitabile baratro in cui potrebbero cadere tutte le famiglie come noi, come lascia supporre l’autrice, ma per ridimensionare invece la potenza della lingua comunitaria, nei nostri casi l’italiano, rispetto alla lingua dell’intimità coi miei bambini. Anche io come te devo ovviamente parlare italiano con gli altri di fronte ai mie figli, ma quello che ti suggerisco, come ho già espresso in un altro commento, è questo: quando tuo figlio comincerà a parlare di più, e ti sembrerà che parli quasi esclusivamente italiano, da soli o in presenza di terzi, -e succederà, vedrai- non lasciarti scoraggiare e continua a rivolgerti a lui solo in inglese. Io però evito di insistere su un aspetto molto sottile, forse fin troppo sottile all’apparenza, ma che penso sia importante. Ti faro degli esempi pratici: quando Gianmarco mi chiede qualcosa a tavola, tipo: “Mi dai l’acqua per favore?” io anziché ribattere, correggendolo, con quella che dovrebbe essere la domanda che lui avrebbe dovuto pormi, ovverosia “Mum, may I have some water, please?”, dimostro comunque di aver capito (tanto lo sa che capisco l’italiano, c’è poco da fare!!!!) ma mentre gli offro la bottiglia posso anche arrivare a dire tutte queste cose: “Sure, here you are. Ricky, would you like some water too?…I’ll have some, I’m thirsty.) Preciso che alla sera sono distrutta, odio la mia stessa voce, ma penso di aver trovato il modo che mi sembra meno “correttivo” e più “stimolante”. Tanto ho visto che non ripetono dopo la mia correzione, e se lo fanno, il loro tono è svogliato, e veramente mi sembra di farli stare al banco di scuola. Il mio modo di reagire al loro uso, ostinato in certi casi, dell’italiano in risposta al mio inglese, è diventato sempre più rilassato nel corso degli anni. Se non vogliono dirmi quella benedetta frase o domanda in inglese va bene, io rispondo loro con frasi che rafforzano strutture sintattiche e ampliano il vocabolario. E vedo che i miei sforzi stanno davvero dando i loro frutti, alla faccia dell’asilo e della scuola italiani!
Per cui, in una situazione simile alla tua con il mio bimbo più piccolo Davide, se lui mi dice “Mummy, acqua” non sto a dire “..water.” ma “Here’s your water!” senza batter ciglio e lascio che il semino cada nella terra. Ti assicuro che prima o poi germoglia.
Come vedi non potrei mai adottare la strategia di fingere di non capire quando mi chiedono le cose in italiano. La trovo un po’ crudele e a dirla fino in fondo, poco sensibile nei loro confronti. A presto!
Claudia
aaaa says
1) l’FT? che sarebbe fairy tale?
2) non è il mio caso (perché la mia lingua è quella dominante), ma se fossi in te non insisterei troppo: ti sta testando per vedere se insistendo riesce a farti agire quando ti parla in italiano (proprio perché sa benissimo che capisci l’ italiano!), e alle lunghe potrebbe andare a finire che per ostinazione si rifiuta di parlarti in inglese… Io cercherei subito una madrelingua (baby sitter o una ragazza alla pari). Anche, scusa se te lo dico, per l’accento (anche, e non solo). Personalmente, dai 6 anni in su io ho avuto una babysitter spagnola, che ha rinunciato a parlare in spagnolo in casa perché quandolo faceva con i miei fratelli “la prendevamo in giro”: noi sapevamo che lei parlava italiano, e l’abbiamo portata a parlare italiano anche con noi (sicuramente era più “facile” per noi capirla in italiano che in una lingua nuova fino a quel momento mai sentita).
aaaa says
(sono sempre aaaa, rileggendo il mio post credo di essere stata troppo sintetica, quindi integro: )
non è il mio caso perché a mio figlio parlo italiano che è la lingua dominante (se non ci trasferiremo di nuovo), il padre inglese gli parla inglese: abbiamo deciso così, quindi non mi trovo nella situazione di dover “spingere” mio figlio a parlarmi inglese. Il problema, semmai, sarà del padre. Ma farò in modo che non sia troppo insistente, come scrivevo prima, il rischio è che il bambino si impunti e decida di non parlare più inglese. Riguardo alla mia esperienza come figlia messa a contatto con una persona madrelingua spagnola a 5-6 anni, posso dirti che è stato troppo tardi: lo spagnolo non l’ho imparato, come non l’hanno imparato i miei fratelli (2 e 4 anni più piccoli di me), probabilmente per un approccio sbagliato, e sicuramente perché era troppo tardi: avessimo iniziato quando ero più piccola, non avrei avuto scelta. Invece, purtroppo, ha prevalso l’italiano e la mia pigrizia. Spero sia più chiaro ora!
L. says
Claudia, aaaa,
diei che qui abbiamo delle opinioni piuttosto forti e antitetiche. Pero’ secondo me e’ bene ricordare che non esiste una soluzione che vada bene per tutti, la relazione genitore-bambino e’ per definizione strettamente personale e specifica come pure l’esperienza di bilinguismo.
Mi sembra piuttosto affrettato concludere che mio figlio mi stia testando, io non sarei di questo avviso anzi direi che di certo la situazione al momento tra di noi non e’ ancora di confronto, certo succedera’, certo non posso escludere che lui non arrivi a impuntarsi, ma ora non mi sembra. Quanto all’accento, questa e’ una storia su cui si puo’ parlare a lungo, e di cui parleremo, perche’ spesso in merito si hanno preconcetti molto forti. Comunque non vedo perche’ si debba dare per scontato che io (o un’altra persona) debba avere un forte accento italiano, e’ tutt’altro che ovvio. Anche questo e’ un fenomeno strettamente individuale, che dipende sia dalle esperienze di vita che dalla predisposizione individuale.
Quanto al libro della Bauer non mi risulta che sia stata fatta ricerca su questa forma di bilinguismo, e mi sono confrontata in merito con chi fa ricerca, quindi la Bauer probabilmente esprime piu’ che altro un’opinione, comprensibile anche se non necessariamente condivisibile. La realta’ e’ che sul fenomeno si sa poco o nulla e quindi non si puo’ escludere nulla e ognuno puo’ azzardare le sue teorie. Quanto alla bolla di cui parla, non l’ho mai pensata in questi termini ma non escludo che non ci sia del fondamento, certo io sono convinta del fatto che la lingua minoritaria abbia bisogno di un contesto sociale quanto piu’ vario possibile e non limitato ai genitori, e infatti credo che i playgroup coprano un ruolo fondamentale.
Infine per quanto riguarda il fatto di far finta di non capire cio’ che dice il bambino o meno, anche qui non ci sono regole che valgano per tutti, ci sono metodi e approcci diversi, e nessuno puo’ dire a qualcun altro quale metodo sia piu’ giusto. Ognuno deve scegliere per se’ e la propria famiglia, prendendo in considerazione molti fattori. http://bilinguepergioco.com/2009/01/25/lidea-della-settimana-come-aiutare-a-separare-due-lingue/
L’FT e’ il Financial Times, chiedo venia.
L.
gianna says
Riflettevo ancora su questa cosa del far finta di niente o addirittura del far finta di non capire se il bambino risponde nella lingua “sbagliata”.
Siccome anch’io credo che mio figlio parlerá quasi esclusivamente svedese e non italiano, volevo capire cosa fare. Una famiglia di conoscenti ha effettivamente usato il metodo “pretendo che parli la lingua giusta”, e ha funzionato.
Invece una collega, quasi bilingue arabo-svedese, sconsiglia apertamente di fare cosí, perché il padre da piccola la obbligava a rispondergli in arabo (lui é tunisino), e lei é arrivata a sviluppare ostilitá verso questa lingua, che si é protratta anche in etá adulta. Credo che le osservazioni di Claudia siano molto pertinenti e interessanti su questo punto, e che si debba valutare cosa fare dal carattere del bambino: se é indipendente e un po’ ribelle probabilmente avrá un atteggiamento aperto di rifiuto se lo si costringe, tipo la mia collega.
Un altro punto che puó essere positivo o negativo, potrebbe essere lo “status” del Paese e della lingua di minoranza nel paese ospitante?
Mio figlio potrebbe rifiutarsi di parlare italiano perché percepisce che l’Italia e la sua cultura hanno un cattivo status nell’altro Paese? (e, volenti o nolenti, le recenti notizie di politica/societá italica all’estero non aiutano) In Svezia le cose vanno ancora bene, ma ad esempio in Germania sono molto comuni le battutine sarcastiche verso gli italiani su tutti i campi a parte forse il cibo (verificato da me, anche in ambienti accademici) e, anche se un bambino non é direttamente coinvolto, credo che capisca benissimo l’aria che tira e agisca di conseguenza.
Come comportarsi in questo caso per non scoraggiare il bambino a parlare la lingua con status minore? perché si possono frequentare altri italiani con bambini, ma poi i nostri figli sono immersi nel resto della societá “dominante” per la maggior parte del tempo (asilo/scuola, attivitá extrascolastiche, conoscenti/parenti del paese di maggioranza, televisione, ecc.) ed é con quella che hanno i rapporti piú importanti.
L. says
Gianna,
entrambi i punti sono secondo me validi, sia il carattere del bambino, e aggiungerei del genitore, che la status della lingua hanno un impatto notevole.
Come dicevo nel post linkato sopra si possono seguire diversi approcci, nessuno e piu’ giusto degli altri, e la scelta dipende molto dalla personalita’ del bambino, quella del genitore e dal rapporto genitore bambino. Anche perche’ la stessa tecnica di “non voler capire se non me lo dici nella lingua giusta” puo’ essere implementata in modi diversi, piu’ o meno autoritari, e il modo e’ importante. Se in una famiglia funziona e in un’altra porta al rifiuto dela lingua non e’ da escludere che in una famiglia sia stata implementata con piu’ garbo che in un’altra, anche se ovviamente e’ impossibile dirlo senza conoscere le persone coinvolte.
Quanto allo status, e’ estremamente importante, e si’ i bambini sono molto sensibili a questa cosa. Non puoi cambiare la societa’ che ti circonda, ma puoi influenzare le percezioni di tuo figlio. Vacanze e relazioni con i nonni sono ovviamente fondamentali, ma anche il modo in cui gli proponi la storia e la cultura italiana sono importanti. Che ne so ad un bambino appassionato di macchine si puo’ dare l’rogoglio della Ferrari (prendendola sul lngo tempo ovviamente), ad un bambino appassionato di sport si possono presentare atleti italiani, al piccolo scienziato figure importanti come Marconi, etc, oppure pittori, scrittori, registi, attori e cosi’ via. L’importante e’ insegnargli l’orgoglio di essere italiano.
L.
Babar says
Ciao, io sintetizzando quello che ho scritto altrove) sono italo giapponese, vivo in Giappone e ho due bimbe di 1 e 3 anni (e uno in arrivo). La piu’ grande parla prevalentemente giapponese ma capisce l’italiano, che usa nelle situazioni di gioco con me. Io non riuscirei a far finta di non aver capito, preferisco rispondere in italiano anche quando lei parla o risponde in giapponese. Qualche volta si adegua e mi parla in italiano, altre no, ma non voglio crearle ostilita’ verso la lingua. Penso che dovremmo essere sempre rilassati, altrimenti il bimbo percepisce la tensione e si chiude, io noto piu’ progressi quando parlo senza starci troppo a pensare.
Elena says
Ciao,
io sto faticosamente cercando il modo di introdurre ai miei bambini l’inglese con continuità. Sia io che mio marito siamo italiani, ma abbiamo vissuto in USA e Canada per qualche anno ed entrambi parliamo un buon inglese. Abbiamo tre bambini, ed il più grande dei tre (J., che adesso ha quasi 8 anni) ha vissuto con noi un anno a Toronto quando aveva 2 anni (la sorellina ed il fratellino più piccoli non erano ancora arrivati!!). Fin dal nostro ritorno in Italia, che ormai risale a 5 anni fa, ho cercato di mantenere il bilinguismo acquisito da J. durante l’anno passato in Canada sia parlando con lui in inglese sia proponendogli libri, canzoni e DVD in inglese…. ma sono durata davvero poco, l’unica cosa che sono riuscita a mantenere con un po’ di continuità sono canzoni e DVD in lingua originale. Ah, se solo Bilingue per gioco ci fosse stato già allora, forse le cose sarebbero andate diversamente…. comunque, come dicevo, da quando ho scoperto questo blog sono più che motivata a riprovarci, e devo ammettere che nonostante il mio impegno in passato non sia stato così costante, mi accorgo che J. adesso ha ancora una buona comprensione dell’inglese e dimostra anche volontà di imparare di nuovo a parlarlo come un tempo, anche se ovviamente ha poco vocabolario e fa fatica a costruire le frasi con una sintassi corretta. Insomma, è come se avesse avuto da piccolo una specie di “imprinting” della lingua, con lui quindi la strada da percorrere non sembrerebbe così difficoltosa.
La cosa più difficile è però coinvolgere i più piccolini in questo progetto! Quando parlo in inglese, il più piccolo (M., 3 anni e mezzo) si arrabbia con me e non ne vuole sapere, mentre la sorellina C. (5 anni) non si arrabbia più ma risolve il problema chiedendo a suo fratello più grande di tradurre in italiano per lei… Mi viene quasi da ridere: io dico qualcosa in inglese e all’istante gli occhietti dei piccolini cercano in modo interrogativo il fratello più grande…! Avete qualche suggerimento in proposito?
Anch’io comunque ancora non riesco a forzare la mano con i più piccoli, e mi limito a rispondere in inglese a domande poste in italiano, sperando appunto che il semino prima o poi germogli. Vedremo..
Elena
L. says
Elena,
il semino germogliera’ sicuramente, ci vuole molta pazienza. E infatti ti chiedo di pazientare ancora un pochino, sto preparando del materiale che credo sara’ un buon punto di partenza per riflettere su alternative e “strategie”. Pensavo di cavarmela con qualche post, ma mi sono resa conto, anche grazie alle vostre domande e ai vostri commenti, che e’ meglio avere delle riflessioni esaustive su questo argomento cosi’ delicato.
L.
L. says
Devo aggiungere un appunto in risposta al commento di Alice.
Alice, avevi ragione.
Stasera A. ha trovato un libricino in Spagnolo (l’ha trovato per casa, non per strada), voleva che lo leggessi e io gliel’ho letto. In spagnolo. Lingua che non aveva mai sentito prima. Se l’e’ ascoltato come se fosse la sua fiaba preferita. Poi mi ha chiesto di rileggerglielo e io gliel’ho riletto, sempre in Spagnolo. E lui sempre li’ immobile e rapito.
Non so bene che conclusioni trarne, ci devo riflettere…
L.