Si possono distinguere tre principali fenomeni di bilinguismo:
- la famiglia bilingue, in cui alcuni membri della famiglia sono di diversa madrelingua
- le minoranze etniche e/o le lingue regionali
- l’apprendimento precoce di una o piu’ lingue straniere
Lo preciso perche’ sembra che spesso si mescolino un po’ tutte le cose sotto l’ombrello comune del bilinguismo, mentre invece sono fenomeni veramente distinti, sia dal punto di vista dell’esperienza personale che da quello dell’esperienza sociale. Vale a dire che ognuno di questi fenomeni vede protagonisti dei gruppi sociali diversi e presenta dei problemi specifici, quindi se si vuole intervenire per favorire il bilinguismo bisogna prima chiarire di quale tipo di bilinguismo si tratta e poi fare degli interventi specifici. Esempi:
Famiglia bilingue:
I soggetti coinvolti in questa esperienza di bilinguismo sono primariamente i genitori, la famiglia allargata, i pediatri; per favorire questo tipo di bilinguismo bisognera’ informare genitori e pediatri e dare supporto ai genitori. Il ruolo del pediatra e’ molto piu’ importante di quanto non si possa pensare, spessissimo sono i pediatri stessi a sconsigliare il bilinguismo, perche’ non ne sanno nulla e scelgono l’approccio piu’ conservatore. Altre volte basterebbe una parola del pediatra per offrire qualche spunto di riflessione o un po’ di fiducia ai genitori che non si sentono all’altezza di un progetto di bilinguismo, ma quella parola non arriva e il bambino viene privato di una lingua, e anche della propria identita’.
Minoranze etniche:
Questo fenomeno puo’ sembrare simile al precedente, si tratta comunque di una famiglia in cui si parlano due lingue, ma non lo e’, perche’ mentre il primo viene vissuto come un’esperienza personale, questo viene vissuto come un’esperienza collettiva, quindi sociale, quindi politica. La lingua e l’identita’ delle persone diventano il campo di battaglia di interessi ben diversi, le forze sociali e politiche esercitano una tale pressione sulle famiglie e gli individui da condizionarne o radicalmente alterarne l’identita’ e quindi le scelte linguistiche. Quando si vogliono incoraggiare queste forme di bilinguismo non basta parlare con famiglie e dottori, bisogna coinvolgere anche le forze politiche, creare un dibattito su lingua e identita’, confrontarsi con la memoria storica di eventi che hanno lasciato ferite ancora aperte, dare spazio e voce ai timori di entrambe le parti. Come ben sappiamo queste situazioni sono un ginepraio, spesso focolare di ostilita’ piu’ o meno aperte, ma ignorare la componente politica rende qualsiasi tipo di ragionamento sterile.
Apprendimento precoce di una o pu’ lingue straniere:
Innanzi tutto bisogna chiarire che anche questa e’ una forma di bilinguismo, anche se differente dalla prima. Bilingue e’ chi capisce, e magari parla, legge o addirittura scrive due lingue, indipendentemente dal fatto che entrambe le lingue siano per il bambino una lingua madre o meno. Il discorso pero’ si complica, perche’ da un lato e’ importante riconoscere che questa e’ una forma di bilinguismo, dall’altro e’ importante tenerla distinta da quella del bilinguismo=due lingue madre, perche’ ci sono differenze che possono essere molto importanti, sia dal punto di vista della padronanza della lingua che dal punto di vista culturale. Questa forma di bilinguismo viene ancora considerata esclusivita’ del sistema scolastico, cioe’ la seconda lingua si impara a scuola, che sia la scuola normale o i corsi di lingue. In realta’, come i lettori di questo blog ben sanno (e sapranno ancora meglio presto), questa e’ una ipotesi tutta da rivedere, perche’ sono sempre piu’ numerosi i genitori che prendono in mano la gestione dell’apprendimento di una lingua straniera dei figli.
Tutto cio’ sembra abbastanza coerente e ovvio? Non trovate? Ma non credo lo sia, per nulla. Altrimenti non si spiegherebbe perche’ alla recente conferenza on Early Language Learning della Comunita Europea non fosse presente un solo pediatra. O come mai, sebbene fossero presenti molti genitori, quasi nessuno tra questi e’ venuto in veste di genitore (ma piuttosto in veste di professore, di insegnante, etc.) cosicche’ il punto di vista delle famiglie era teoricamente assente dal dibattito (dico teoricamente, perche’ invece nella pratica credo si poter dire di averlo fatto sentire forte e chiaro, ma i miei interventi non erano certo da programma). O ancora non si spiega perche’ tanta confusione tra famiglia bilingue e apprendimento precoce delle lingue, al punto che spesso non si sapeva bene di cosa si parlava.
C’e’ ancora molto da fare perche’ il dibattito sul bilinguismo diventi articolato e completo, e soprattutto aiuti ogni bambino a trovare il tipo di supporto che gli serve.
Foto da A Journey Round My Skull
SaRaksha says
La parte del tuo post riferita alle minoranze etniche mi ha ricordato una parte della mia tesi (sul recupero di una cultura del sud de Cile). E’ verissimo: spesso i figli di genitori appartenenti a minoranze etniche non imparano o imparano male la lingua dei genitori per motivi di accettazione e riconoscimento sociale/vergogna/inferiorità. Altri, invece, la imparano proprio come simbolo e strumento di autoaffermazione. La percezione dell’utilità e del riconoscimento sociale di una lingua è fondamentale nel suo apprendimento e nel rapporto fra le due (o più) lingue che si parlano, influisce nella decisione di usare una o l’altra nelle diverse situazioni e, quindi, ne determina il livello di conoscenza.
Bello il tuo blog!
L. says
Benvenuta SaRaksha,
visto che hai approfondito l’argomento se ne vuoi parlare piu’ in dettaglio mi farebbe piacere. Per esempio forse hai degli spunti su cos’e’ l’utilita’ e il riconoscimento sociale di una lingua, come vengono influenzate queste percezioni sia a livello sociale che a livello individuale/familiare.
A presto,
L.
SaRaksha says
Dunque dunque, eccomi qui. Ho toccato l’argomento nella tesi che ho fatto non come tema principale, ma come conseguenza da tenere in considerazione, quindi quello che ho appreso è puramente osservazione, niente di sperimentale.
Nel caso particolare studiavo dei progetti di recupero della cultura e lingua Mapuche in alcune comunità del sud del Cile (Regione IX – Araucania, tanto per contestualizzare).
Ho messo a confronto due progetti: uno più legato all’apprendimento formale (quindi alla scuola) in cui era coinvolto uno studio universitario, e uno più legato all’educazione non formale, legato ad una ONG. Per capirci:
Progetto 1: finalmente in Cile viene approvata una legge che consente l’insegnamento delle lingue indigene nelle scuole di campagna –> programmi e progetti piloti seguiti dall’Università nelle scuole.
Progetto 2: una ONG cerca di creare occasioni di incontro e passaggio della cultura ai bambini ma al di fuori dell’ambiente scolastico, ovvero all’interno della comunità.
Per lungo tempo, soprattutto durante il regime, agli indigeni era proibito parlare la loro lingua nelle scuole, parlare Mapuche era considerato da ignoranti, e questo, unito ovviamente ai preconcetti che gli indigeni fossero in qualche modo inferiori, ha contribuito moltissimo alla perdita (in alcune comunità quasi totale) della lingua. I genitori non la insegnavano più ai figli per proteggerli, in qualche modo, dallo scherno e dai pregiudizi de resto della popolazione (insegnandogli poi uno spagnolo ovviamente diverso dal resto della popolazione cilena, ma questo è un altro discorso). Il fatto che le lingue siano ora riconosciute ufficialmente e, quindi, insegnate, è stato riconoscimento enorme. Poco a poco le popolazioni indigene stanno capendo che la loro cultura è un valore, e così, poco a poco, cercano di apprenderla.
In alcuni casi è persa irrimediabilmente: se la comunità in cui vivi non la parla più da anni come linguaggio di scambio quotidiano, non c’è probabilmente abbastanza stimolo per salvarla veramente. Ma dove non tutto era già perduto, dove una buona parte della popolazione adulta e anziana la parla ancora, lì c’è speranza.
Notavo, poi, che benchè la scuola potesse fare poco a livello di insegnamento pratico (anche per il fatto che quelle lingue sono normalmente non scritte, quindi si adattano male ad un insegnamento formale), aveva aiutato molto a livello psicologico le popolazioni, anche se la lingua veniva trasmessa meglio a livello di famiglia e di comunità.
Progetto 1: importante a livello psicologico e di riconoscimento sociale, indispensabile perchè le popolazioni volessero mantenere la propria cultura.
Progetto 2: importante più a livello pratico, di conservazione effettiva di lingua e tradizioni.
I miei dati purtroppo risalgono a tre anni fa. Magari, con un po’ di calma, guardo se c’è qualcosa di nuovo (tipo: percentuali in crescita di parlanti lingue indigene).