Fatto il primo weekend di seminario sull’ Intelligenza Emotiva. Si chiamava seminario sul clown, ma veramente era un seminario sull’Intelligenza Emotiva, che oggi e’ una componente essenziale per ottenere qualsiasi risultato. Visto che per lo piu’ non andiamo in giro con la clava a far valere le nostre ragioni (anche se c’e’ ancora qualche primitivo che va in giro con le mazzette di soldi -uomini- o gli attributi fisici esposti -donne) l’Intelligenza Emotiva viene ad assumere un ruolo fondamentale. Nello specifico come genitori dovremmo aiutare i bambini a sviluppare la loro intelligenza emotiva, d’altro canto riusciremo ad educarli come vogliamo (per esempio bilingui) solo facendo buon uso della nostra Intelligenza Emotiva. Interessante notare che il concetto di Intelligenza Emotiva e’ ernormemente utilizzato sia in ambienti business, perche’ si e’ riconosciuto che spesso e’ alla base del successo professionale, si veda qui, che nel contesto familiare, si veda qui.
Torniamo al clown. Innanzitutto Nicola ci ha avvertiti, il lavoro sul clown non e’ un lavoro sequenziale, e’ un lavoro a puzzle. Si mettono li’ i pezzi, uno per uno, e poi alla fine, ad un certo punto, si vede il disegno tutto intero. Su questo gli do fiducia. Rimane la domanda pero’, che pezzi ho messo insieme in questo finesettimana? Che rilevanza hanno questi pezzi per Bilingue Per Gioco? Io genitore che sono preso da mille occupazioni e problemi, perche’ dovrei continuare a leggere questo post che mi pare, diciamocelo, piuttosto stravagante? Partiamo dall’ultima domanda:
Perche’ le tecniche di comunicazione di un clown sono rilevanti per me genitore di un bambino bilingue?
La risposta sta nella domanda. Perche’ si tratta di comunicazione, o meglio di ottimizzare la comunicazione. Il genitore di un bambino bilingue ha una sfida principale davanti a se’: Creare due mondi paralleli. Un mondo che funziona in una lingua, e un altro mondo che funziona in un’altra lingua. Non sono due mondi diversi, separati e incomunicanti, non devono essere due mondi fisici. Ma sempre sono due mondi caratterizzati da uno stato mentale diverso. Quando cambiamo lingua, entriamo in uno stato mentale diverso, ad ogni lingua associamo sensazioni, memorie ed esperienze diverse, questo stato mentale costituisce il mondo associato a quella lingua.
E il clown cosa fa se non trasportarci in un mondo diverso? Un mondo fantastico, in cui le regole normali vengono sovvertite. Questo significa che il genitore deve farsi clown per parlare una seconda lingua con i figli? Assolutamente no. Pero’ capire i trucchi della comunicazione di un clown, scegliere gli elementi che ci potranno essere utili, forse ci aiutera’ a raggiungere questo scopo in maniera piu’ efficace. In fin dei conti la grande maggioranza dei genitori bilingui lamenta questo problema: Mio figlio rifiuta di parlare XXXX. Avete mai visto un bambino rifiutare un clown? Non credo, e questo mi sembra un buon motivo per continuare a leggere.
Quali elementi della comunicazione del clown mi hanno particolarmente colpita in questo primo finesettimana e perche’ sono rilevanti per un’educazione bilingue?
Dal momento che si tratta di pezzi di un puzzle, ve li propongo come tali.
- Comunicazione, comunicazione, comunicazione. Comunicare non e’ facile. Siamo talmente presi dai nostri ruoli, dalle nostre maschere, dai nostri obiettivi, che comunicare diventa difficile, a volte impossibile. Il segreto per crescere un bambino bilingue non e’ parlare perfettamente la lingua ma saper comunicare col bambino, entrare in sintonia col bambino e portarlo in un mondo (stato mentale) diverso. Abbiamo gia’ detto che l’elemento fondamentale per la riuscita di questo progetto e’ la motivazione, e lo confermo, ma la motiovazione deve andare a braccetto con la comunicazione. Martellare una lingua finira’ per farla odiare, se motivazione e comunicazione vanno a braccetto il risultato sara’ potente.
- Saper ascoltare, accettare i tempi e i punti di vista del bambino, giocare e comunicare CON il bambino, non AL bambino. Questo e’ piu’ facile a dirsi che a farsi. Sappiamo tutti che ognuno ha un senso del tempo diverso, chi piu’ lento chi piu’ veloce, chi si stanca dopo 5 minuti chi perde il senso del tempo in un’attivita’. Un altro discorso pero’ e’ riuscire a percepire il senso del tempo altrui e adeguarsi. Lo sappiamo fare con i nostri bambini? Sappiamo rispettare i loro tempi e adeguarci? Non e’ facile. Noi ci sentiamo tanto investiti del nostro ruolo di formatori, spesso sentiamo la responsabilita’ di dover offrire stimoli ai bambini, al punto che non sappiamo piu’ distinguere se e quando hanno bisogno di stimoli o hanno solo bisogno di tempo. Il clown ascolta. Difficile da immaginare, noi andiamo al circo e vediamo delle persone con il naso rosso che fanno delle cose e ci fanno ridere. Eppure per farci ridere il clown deve prima entrare in sintonia con noi e con il proprio partner, e per farlo deve ascoltarci, ascoltare il proprio partner, ascoltare se’ stesso e dare corpo alle emozioni che il contesto gli suscita.
- Empatia. Capire che per portare un bambino con se’ in un mondo fantastico bisogna stabilire empatia, e l’empatia si instaura tra pari, perche’ l’empatia significa riconoscere nell’altro i propri sentimenti e paure.
- Rinunciare al controllo. Quanto piu’ una persona e’ in controllo meno viene voglia di comunicare con quella persona. Attenzione, questa per me e’ stata una rivelazione. Una persona in controllo e’ necessariamente rigida, non mi fa provare empatia, la percepisco come un muro. Una persona che invece si lascia andare, si espone, con i propri difetti e le debolezze, la sento vicina. Mi riconosco in alcune delle sue debolezze, entro in sintonia e mi viene voglia di ascoltarla e parlarle. Il clown in effetti cosa fa se non accentuare le nostre debolezze facendole sue? Metterci davanti i nostri timori e le nostre inadeguatezze ed esasperarle ad un punto tale da farci sentire addirittura migliori, perche’ per quanto imbranati siamo non saremo mai imbranati come un clown? Avrete gia’ avuto modo di osservare che gli adulti che “ci sanno fare con i bambini” sono adulti capaci di mettersi al livello dei bambini, di fare da specchio al loro sentimento di essere piccoli, incapaci, indifesi. Pensiamo a Jerry Lewis. Chi non ha amato Jerry Lewis? Talmente imbranato che anche ai bambini veniva voglia di dargli una mano?
- Autocritica, o autoconsapevolezza. Sapersi ascoltare, sapersi guardare dall’esterno e accettare che alcune cose le facciamo bene, in altre siamo imbranati, accettare la propria imbranataggine e’ un grande risultato e il primo passo per migliorare.
- Ruolo. Ma il genitore puo’ mettersi al livello del bambino? Non rischia di indebolire cosi’ la propria figura e ruolo di genitore? Non ne sono sicura, comunque e’ un’obiezione legittima che merita di essere almeno ponderata. Una cosa e’ certa pero’, nel mondo fantastico il genitore puo’ ricoprire un altro ruolo. Il gioco del pretend play, dei giochi di ruolo, del giochiamo “al dottore”, “alla scuola”, “facciamo che io sono il cane e tu sei il gatto”, etc. apre mille possibilita’, in cui il genitore puo’ smettere i panni di genitore e ricoprire qualsiasi altro ruolo. Quello del gioco di ruolo e’ un argomento interessantissimo e che andra’ approfondito con calma, per ora mi limito a seminare un piccolo concetto, uno spunto di riflessione.
- Rituale. I rituali servono ad entrare insieme in uno stato mentale comune. A questo seminario mi sono trovata con degli sconosciuti, una serie di esercizi (semplicissimi) ci aiutavano pero’ ad entrare in uno stesso stato mentale, ad abbassare le barriere e a permettere uno stato di comunicazione che sarebbe altrimenti impensabile tra degli sconosciuti. Credo che in alcuni casi il rituale possa essere molto utile anche in famiglia, soprattutto in quei casi in cui l’uso della seconda lingua e’ piu’ sporadico e richiede un vero e proprio ingresso in uno stato mentale differente. La prima forma di rituale e’ la ripetitivita’ del metodo scelto, associare sempre una lingua a determinati contesti e situazioni, come abbiamo visto in questo post, che ritengo fondamentale. Ma un rituale puo’ essere anche una cosa semplice come una canzoncina.
Immagine da A Journey Round My Skull
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