Riflettendo sulle “vacanze” che sono appena finite c’e’ un elemento che continua a ritornarmi in mente in modo fastidioso, e il cui significato non mi si e’ chiarito fino a quando non ho deciso di scriverci un post, questo post.
Come gia’ e’ successo quest’estate, le vacanze hanno temporaneamente mandato in tilt il bilinguismo. Quest’estate avevo riflettutto che cio’ fosse dovuto al fatto di dover interagire con un contesto sociale completamente diverso. Durante le vacanze di Natale pero’ sono stata quasi sempre ed esclusivamente in famiglia. (Potrei scrivere un intero blog su cosa cio’ significhi per me, ma lasciamo perdere, limitiamoci a cosa cio’ significa per il bilinguismo, anche perche’ le frustrazioni da ridatemi-una-vita le racconta meglio Machedavvero, e ogni tanto mi faccio un giro da lei per ridere di me…)
Dicevamo, un pasticcio! Del tipo: A. vieni dalla mamma, no come to mummy. What do you want? Smettila di piangere e chiedi per favore, say please, R. please stop it, leave it, leave it R.! ah ma tu non mi capisci vero? R. lascialo per piacere! Arghhh… non ne azzeccavo una, ma soprattutto quando parlavo con A. era tutto un saltare da una lingua all’altra.
IO.
Io che ho fatto di OPOL (One Person One Language) il MIO mantra (mio, nel senso che ho deciso che e’ il metodo giusto per noi e lo adotto religiosamente).
IO che non faccio altro che ripetere l’importanza di applicare un metodo con coerenza e raccontarvi quanto sia diventata coerente grazie a Bilingue per Gioco.
IO sono andata in palla.
Che se vogliamo e’ una buona notizia, ci mostra che nessuno ha la risposta in tasca e facciamo tutti errori, quindi rilassiamoci, facciamo del nostro meglio e andiamo avanti.
Pero’ riflettiamoci pure.
Perche’ sono andata in palla?
Secondo me per 1 motivo sostanziale: L’annullamento della routine.
Non il cambiamento per se’ di gesti, di orari, di persone, di abitudini, ma il fatto che i gesti, le persone, le azioni non corrispondevano alla mia immagine mentale. Ci sono tutta una serie di cose che io faccio senza piu’ nemmeno pensarci, ma se devo cominciare a pensarci mi confondo, perdo l’automatismo e mi lascio trascinare dal contesto, che ovviamente parla solo italiano.
Quindi?
Punto primo, le vacanze sono sempre meno vacanze e ora ci dobbiamo aggiungere anche questa cosa che non mi posso rilassare un attimo se no mando per aria tutto cio’ che ho messo in piedi finora…
Punto secondo, ma se il cambiamento di routine manda in crisi me, ci pensate (e qui e’ la rivelazione che e’ scesa su di me) cosa fa ad un bambino? Io sono motivata, consapevole, e organizzata nel gestire il mio approccio alle lingue, cio’ nonostante uno scostamento dal tran tran abituale mi mette tutto in discussione. E un bambino? Un bambino che non ha nessuna motivazione ne’ interesse? (perche’ ormai e’ chiaro vero che i bambini non decidono coscientemente di parlare le lingue?) Che cosa succede ad un bambino se sperimenta questi cambiamenti di routine o ancora peggio un’assenza di routine? Succede che non sa piu’ cosa aspettarsi, cosa si parla quando e perche’, a cosa servono le lingue. E nella mancanza di regole magari decide di farsene una lui, o lei. Se poi decide che la sua regola e’ che basta una sola lingua per farsi capire c’e’ poco di cui stupirsi.
Insomma tutto questo lungo giro per comunicare una cosa semplice: la routine serve, a tutti. E’ veramente una componente essenziale per la famiglia bilingue. E per capirlo dovete solo osservare come reagite voi quando la vostra routine linguistica viene sconvolta. Se domani in ufficio parlassero tutti Francese, o anche inglese, toh!, che fareste?
La vostra routine e’ solida? Funziona?
Alzate la mano se avete risposto Hmm non lo so…
Bene ora abbassate la mano, prendete foglio e penna e descrivete la vostra routine.
Se non sapete cosa scrivere forse ne potete dedurre che non avete ancora riflettuto molto sulla questione della routine ed e’ il caso che cominciate a farlo.
Se invece siete riusciti a descrivere la vostra routine linguistica ora pensate, in quali casi fate delle eccezioni? Con che frequenza si verificano queste eccezioni? Se si verificano tutti i giorni, forse potete rifletterci un altro po’, e provare a decidere come gestire le eccezioni e stabilire una routine piu’ solida.
Chiudo con un messaggio positivo. Il fenomeno e’ stato fastidioso per me, che ho dovuto concentrarmi per fare cio’ che in genere ritengo normale, ma non ha avuto conseguenze. Non ci sono segni che le vacanze abbiano avuto un effetto negativo sullo sviluppo linguistico di A., che ultimamente si e’ messo anche a tradurre spontaneamente.
Immagine da A Journey Round My Skull (vi era mancato almeno un po’?)
elena says
eh! come ti capisco, anche noi abbiamo dovuto fare una pausa, per fortuna mia figlia non ha dimenticato nulla, forse ci ha fatto anche bene staccare un po’, ma concordo con te nel dire che le routines per il bilinguismo funzionano nei periodi in cui le tabelle di marcia quotidiane vengono rispettate anche nelle altre attività
buona giornata Elena
gianna says
Ciao e buon anno! pensa invece che per me queste tre settimane di pausa hanno prodotto l’effetto opposto: finalmente ho potuto passare molto tempo col mio Mezzovikingo e parlargli molto in italiano. Questa mattina l’ho lasciato all’asilo e pensavo, tra le altre cose: chissá se tutte le parole italiane che ha imparato ed usato durante le ferie resteranno, o verranno spazzate via dalle molte ore svedesi della sua ritrovata routine ‘feriale’….
Sí, perché adesso sembra che stia imparando a dire nuove parole ogni giorno, e in entrambe le lingue, addirittura mettendole assieme nelle sue prime frasi. Spero proprio che non perda tutto di nuovo.
Yael says
Anche per me, come per Gianna, e’ stato un periodo molto “produttivo” e il tempo prolungato che ho trascorso insieme a G. ha rafforzato molto il suo ebraico che sta ancora “alla-pari” con l’italiano. Per noi, uscire dalla routine ha i suoi lati negativi (come un continuo flusso di gente in casa e il conseguente aumento dei capricci), ma per quello che riguarda la lingua, e’ stato alla fine un passo in avanti.
Per quello che riguarda le eccezioni, con me sono pochissimi, da contare sulle dita di una mano (l’ultimo arrivato e’ “auguri”). Sono anche molto rigida sulle canzoni che canto rigorosamente in ebraico. La routine e’ per il momento solida…
Sabine says
Io vivo le vacanze come un incubo e un sogno: incubo perchè mi affanno (invano) di mantenere valide le routine di cura (ritmi sonno/veglia, orario e tipologia dei pasti) e basso il livello dei capricci e sogno perchè passo molto più tempo con Gio che quindi è molto più esposto al francese di quanto avvenga di solito. Anzi, passando del tempo con cuginetti di età varie (da 9 mesi a 12 anni) durante le vacanze trascino tutti (con un certo successo) all’uso del francese. Certo, magari ci metto un po’ di più ad ottenere comprensione e risposte pertinenti (soprattutto dai grandi) ma io sono la zia che parla francese e un po’ di sforzo bisogna metterlo in conto. Così è anche potuto succedere che 10 giorni fa mia nipote di 3 anni abbia chiesto alla mamma di “parlarle come zia Sabine”!
Bilingue Per Gioco says
Ciao Sabine,
innanzitutto ben tornata! So che negli ultimi mesi sei stata indaffaratissima, ma mi fa molto piacere che tu torni a scrivere su BpG!
Anche io ho notato che i bambini trovano questa cosa della lingua divertente e la copiano, facendosi trascinare. Se cerchi di insegnargli una lingua si oppongono, se vedono che giochi e hanno voglia di entrare nel gioco imparano qualsiasi cosa. La leggerezza e’ tutto!
L.
anna says
come i bambini non decidono che lingua parlare?non ti seguo…io ho proprio l’impressione opposta,che sia tutta una questione della loro scelta,delle loro motivazioni.
anna (mamma di due bilingui 5 e 1 anno)
Bilingue Per Gioco says
Anna,
ho detto che non lo decidono coscientemente, o se vuoi razionalmente. I bambini non fanno valutazioni opportunistiche, non si sforzano di parlare una lingua invece che un’altra in nome di un obiettivo. La loro motivazione e’ si’ essenziale, ma e’ una motivazione diversa da quella degli adulti, emotiva e affettiva potremmo dire.
L.
anna says
beh,non sono sicura tu abbia ragione.forse e’ perche’ io mi trovo a vivere un bilinguismo diverso,necessario (vivo all’estero),intendo solo dire che certo non e’ stato un inizio “per gioco”.forse questo ha portato mio figlio,ma anche molti altri bambini che ho osservato,a scegliere se e come parlare,ed esprimere la loro scelta in maniera chiara e cosciente.certo,direi dai tre anni in poi..
Sabine says
Secondo me è importante capire cosa intendiamo con “motivazione” e “scelta”. Ci ho riflettuto parecchio, come persona bilingue, come mamma di un bambino bilingue e come ricercatrice sull’acquisizione del linguaggio. In sintesi ecco le risposte che mi sono data.
Ognuno di noi (monolingui, bilingui, ecc) sceglie come parlare, che parole usare, che formule sintattiche. I plurilingui devono anche scegliere che lingua usare, a seconda della situazione in cui si trovano e cioè ad esempio a seconda di che lingua è conosciuta dall’interlocutore, e nel caso in cui anche l’interlocutore conosca più lingue, la scelta viene fatta in base alla lingua che si padroneggia meglio, in cui è più semplice parlare di un determinato argomento, ecc.
La scelta non è necessariamente consapevole ma anzi è quasi sempre automatica.
La motivazione ad imparare una lingua risiede nella necessità di utilizzare quella lingua: l’impossibilità di evitare o aggirare questa necessità determina l’obbligatorietà di imparare a padroneggiare la lingua. Se devo vivere in Giappone, parlare frequentemente con persone che parlano solo giapponese, godere della cultura giapponese, allora sarò costretta a imparare il giapponese.
Tradotto nei termini di un bambino piccolo che viene educato in modo bilingue, ciò significa che se il suo ambiente non gli “permette” di evitare di utilizzare la lingua minoritaria (cioè quella non del contesto sociale allargato) allora sarà obbligato ad impararla. Chiaramente i termini obbligo, costretto, ecc. hanno una connotazione negativa che in questo caso vi prego di tralasciare: le interazioni nella lingua minoritaria possono essere “vincolanti” anche continuando ad essere emotivamente ed affettivamente positive. Come mamma vedo che Giovanni (come prevedibile) spontaneamente userebbe solo l’italiano: è la lingua che parla al nido, che parla con il babbo e tutti gli altri familiari e che IO capisco e parlo con chiunque tranne che con lui. Perchè Giovanni decida di imparare e usare il francese bisogna che IO gli “imponga” di farlo. Su questo già molto è stato scritto da Letizia in altre parti del blog. Ma è chiaro che se io durante le vacanze faccio cadere questa necessità, gli rispondo quando mi parla italiano, mi rivolgo a lui in italiano, smetto di usare il francese, Giovanni penserà “ah, ok, ora l’italiano va bene proprio con tutti, non ho più bisogno di acquisire il francese”. Ovviamente avendo poco più di 2 anni il pensiero non avrà proprio questa formulazione e non sarà così consapevole, ma come ha smesso di gattonare quando ha imparato a camminare, così smetterà di parlare francese nel momento in cui questo non serve più. Quindi, in un certo senso, anche se possiamo dire che è lui che sceglie di parlare solo l’italiano oppure anche il francese, in realtà sono io (il suo contesto ambientale e sociale) che scelgo di rendergli possibile questa scelta. E non ho mai visto nessun bambino (e pochi adulti) continuare ad acquisire e usare una lingua non necessaria: in questo senso quindi possiamo dire che non si tratta di una vera e propria scelta, ma di vincoli e risorse della mente umana e dei contesti relazionali.
In poche parole: se mamma mi parla e mi capisce solo in francese non ho scelta, devo capire e parlare francese. Se mamma mi parla ogni tanto in francese e ogni tanto in italiano e mi capisce in tutti e due i modi, in teoria ho la possibilità di scegliere, ma in pratica come essere umano “sceglierò” sempre di usare la lingua che conosco meglio, e cioè quella che sono costretto ad imparare perchè la capiscono e la parlano tutti gli altri.