La storia che ci racconta questo papa’ e’ bellissima e toccante, non necessita di introduzione ma solo di un caloroso ringraziamento per averla condivisa con noi. Speriamo sia utile a tante famiglie. Grazie Carlo.
Mi chiamo Carlo e sono il papà di un bambino adottato in Russia nel 2007. Igor ha lasciato l’orfanotrofio di San Pietroburgo all’età di due anni e pronunciava solo poche parole nella sua lingua. Mia moglie, già di ritorno dal primo viaggio dalla Russia in occasione del quale abbiamo conosciuto il nostro bambino, mi ha convinto, dopo numerose insistenze, a dedicarmi allo studio del russo, sulla base del fatto che già padroneggiavo l’uso della lingua inglese e che, in generale, ero incuriosito dalle lingue straniere. Addirittura, presa dall’entusiasmo, ha voluto iniziare anche lei la prima lezione del corso che si era precipitata a regalarmi. Un po’ perplesso sulla durata di questo fuoco fatuo, anche per l’età in cui mi approcciavo all’apprendimento di una lingua straniera (quasi 43 anni) mi sono impegnato, come mio solito, per cercare di trarre il massimo profitto da questo studio.
Il risultato è stato che mia moglie si è fermata a metà della prima lezione, mentre io ho completato le 70 lezioni del corso e successivamente le ho ripassate per ben due volte. I due viaggi successivi in Russia sono stati il banco di prova delle mie conoscenze teoriche, che per fortuna si sono rivelate buone, nonostante lo studio di stampo meramente autodidattico. Il fatto di ottenere anche dei complimenti dai russi stessi mi ha dato la carica per affrontare la sfida successiva, cioé mettere in pratica quanto appreso con mio figlio. All’inizio è stata molto dura, ma devo dire che lo è anche adesso. Sono stati due anni di vittorie e di ritirate. Tuttavia, nel complesso, sono molto soddisfatto.
Innanzitutto, ho appreso un’altra lingua straniera, cosa che ritenevo improbabile alla mia età anche per la difficoltà della lingua che non è né neolatina né germanica. Inoltre il bambino mi ha seguito nella mia impresa, ritengo anche senza particolare sacrificio, dal momento che sia nei vari momenti della quotidianità, sia soprattutto nei nostri spazi dedicati al gioco in comune, dimostra di comprendere quello che dico, perchè risponde in maniera coerente con le parole (in italiano) o con i comportamenti.
Naturalmente l’unica fonte di russo dentro e fuori casa sono io, fatta eccezione per la colf moldava che una volta alla settimana viene per le pulizie, la quale ho pregato di rivolgersi il più possibile sia a me che a Igor in russo, lingua che a sua volta a dovuto apprendere da bambina nella vecchia URSS. Questo spiega perché il bambino trovi più comodo e rapido usare l’italiano per rivolgere la parola. L’ulteriore passo sarà quello di spingerlo ad usare la lingua non solo in maniera passiva, ma anche attiva. Mi auguro che questo mio sforzo lo aiuti a recuperare una memoria di cui non si dovrà assolutamente vergognare, ma che anzi potrà considerare una risorsa in più per affrontare la vita con spirito aperto e mente libera.
Vorrei aggiungere che il mantenimento della lingua di origine è raro in bambini e, addirittura, in adolescenti adottati, per un comprensibile rifiuto psicologico.
I tentativi fatti dai genitori adottivi di mantenere la lingua d’origine nei bambini adottivi sono prevalentemente (se non esclusivamente) incentrati sul ricorso ad ausili quali la baby-sitter, la scuola straniera, i cartoni animati in lingua originale, ecc. Intendiamoci, tutto è utile per raggiungere lo scopo, ma per un qualsiasi bambino, e in special modo per un bambino che ha conosciuto l’orfanotrofio, nulla vale come la condivisione dei momenti di gioco con i propri genitori. E’ in tali frangenti che il canale di comunicazione è al massimo della propria apertura e quindi è il momento ideale per veicolare quante più informazioni tra genitore e figlio (anche usando una lingua straniera).
Saluti
Carlo
Immagine (di Winnie the Pooh russo) di A Journey Round My Skull
Bilingue Per Gioco says
L’ho gia’ detto nell’introduzione ma lo devo ripetere, grazie grazie grazie di aver condiviso questa testimonianza!
Ho la massima stima per le famiglie che decidono di adottare, e credo che questa famiglia faccia uno sforzo veramente non scontato perche’ l’adozione non privi il bambino della propria identita’!
Complimenti ancora,
L.
mammaemigrata says
Bravissimo a Carlo per la tenacia, è veramente un bell’esempio di come il bilinguismo sia l’occasione per tenerci legati alle nostre origini… spero che il piccolo Igor ti sarà riconoscente, da grande, per lo sforzo che hai compiuto!
David says
Bellissima testimonianza!
Gli stai facendo un regalo bellissimo e prezioso, e penso che tu sia una persona molto rispettosa perche’ invece di negare le sue origini stai facendo in modo che lui possa trarne vantaggio, e ci vuole coraggio, anche perche’ un bambino bilingue ha piu’ probabilita’ di mettere le ali.
Avresti potuto assicurartelo sempre a casa, in una gabbia monolingua, e invece hai deciso di dargli il libero arbitrio di scegliere, in futuro, dove preferisce stare.
Lo dico da padre, pensando anche ai miei bambini che in futuro potrebbero decidere di vivere lontano…pero’ e’ giusto e nobile, anche perche’ l’amore non conosce tempo e distanza. Io ho imparato la mia lingua paterna (giapponese) da grande…pero’ anche adesso ho un livello di comunicazione con mio padre diverso dai miei fratelli che non la parlano. Vedrai che quando sara’ grande avrete quel qualcosa in piu’ che deriva da tutta la cultura e non solo dalla lingua, che state vivendo assieme.
Io sto tentando di insegnare l’italiano ai miei figli, e trovo che davvero il gioco sia l’unico vero momento in cui mi parlano in italiano senza forzature…lo fanno perche’ il gioco e’ partito in italiano, dunque cambiarlo in giapponese non avrebbe lo stesso gusto.
Bravissimo, davvero! Leggere esperienze come la tua scalda il cuore e rida’ davvero fiducia nel genere umano!
ps: anche mia moglie e’ molto timida con le lingue!!^^
azzurra says
Che bello, Carlo: complimenti per il coraggio e la costanza! Io sto per adottare un bimbo etiope e vivo in Spagna. Siamo entrambi professori di lingue: mio marito è di madrelingua catalana e a casa parliamo l’italiano e il catalano ma anche lo spagnolo. Io sono conscia che non possiamo far apprendere al bambino tutte queste lingue insieme e siccome lo spagnolo lo imparerà sicuramente fuori (scuola, parco, televisione, ecc.) eravamo orientati più al bilinguismo catalano – italiano ma non so se sia conveniente e se sí, in quale misura e con quale tecnica o progressione. Perché è vero che avrà a che fare con tutte e tre le lingue a seconda delle persone della famiglia con le quale starà e quindi, prima o poi, le conoscerà tutte. Ma mentre lo spagnolo e il catalano sono le lingue che troverà quando uscirà di casa tutti i giorni, l’italiano non sarà una lingua “materna” se non attraverso me e comunque ne avrà bisogno per comunicare con la mia famiglia e in Italia. Senza dimenticare che oltretutto avrà forse una conoscenza “attiva” o solamente “passiva” (dipende dall’età) della sua lingua madre che io spero di poter imparare almeno un po’ (non so se riuscirò a trovare un corso qui dove vivo).
Mi rendo conto che la situazione è linguisticamente complicata ma la vostra pagina mi ha fatto ben sperare! Tutti i consigli saranno una manna dal cielo!
Azzurra
Alessandra says
Carissima! in bocca al lupo!
io sono da poco più di 3 mesi mamma di una bimba etiope che ha appna compiuto un anno… io e mio marito siamo italiani e viviamo in Italia ma io ho iniziato a parlare con lei in inglese… (purtroppo per me l’amarico è veramente off-limits e l’inglese è la seconda lingua dell’etiopia….) speriamo bene…
Sara says
Io e mio marito, se pur abbiamo due bimbe naturali, abbiamo sfiorato l’idea di poterne adottare un terzo. Leggendo un libro che dà consigli e spiega l’iter da seguire prima, durate e dopo l’adozione, mi stavo giusto chiedendo come poter affrontare la questione bilinguismo con un/a bambino/a che arriva da una situazione già “drammatica” che deve imparare due lingue completamente nuove. Qst libro spiega che anche i bambini non più piccolissimi se cresciuti in un istituto parlano poco e niente della loro madre lingua, per mancanza di confronto e di dialogo con persone adulte di riferimento (la mamma e il papà). A questo proposito mi domandavo se non fosse un problema che si sovrappone ad altri quello del bilinguismo.
lucia says
Chissà, Carlo se guardi ancora questo post.
Bravo, hai (avete) fatto una bella scelta di coraggio e generosità e un gran regalo al vostro bambino.
So che alcune assistenti sociali che seguono le adozioni internazionali sconsigliano nel modo più assoluto ai genitori adottivi di parlare ai bimbi la lingua d’origine o di metterli in contatto con persone che parlino la loro lingua. per accelerare l’apprendimento dell’italiano. perchè i bambini dimentichino la loro vita precedente. dicono.
io la trovo una bestialità.
la lingua è identità
credo che si adotti un bambino per dargli qualcosa, non per togliergli l’unica cosa che ha.
bravo Carlo, continua così e fallo sapere anche agli altri genitori adottivi!
azzurra says
Grazie mille, Alessandra! Spero che mi terrai aggiornata riguardo i progressi della tua splendida bimba. Ci vuole molto coraggio e molta costanza ma bisogna essere ottimisti. Lo scorso sabato sono stata ad una conferenza tenuta da una ragazza adottata che fa parte di un’associazione qui in Spagna (http://www.lavozdelosadoptados.es/) ed è stata interessantissima. Questa ragazza è di origine colombiana, la mamma adottiva è croata e suo padre austriaco e vivono in Spagna, ora lei avrà una trentina d’anni, ma mi ha detto che da piccola non ha avuto nessun problema con tutte queste lingue e che i bambini sono davvero spugne e lei non si è mai sentita soffocare da tante lingue e per giunta così diverse. Mi ha incoraggiata ad usarle, piano piano però ad usarle.
Ed eccomi qui a trasmettere questo messaggio positivo che viene dalla diretta esperienza di una (ex) bambina adottata E riguardo al post di Sara, non so che libro sia, ma credo che tra i bambini adottati bisogna distinguere a seconda della provenienza. Quelli adottati in Africa, normalmente parlano abbastanza e la situazione che tu citi, credo riguardi soprattutto i casi dei bimbi dell’Est europeo.
Un saluto e un in bocca al lupo ad entrambe!
azzurra says
Riguardo al post di Lucia, concordo pienamente con lei. Nei corsi preparatori per l’adozione, almeno qui in Spagna, si consiglia di imparare almeno qualcosina della lingua del bambino non solo per facilitare la comunicazione nei primi momenti ma proprio per stabilire un legame anche grazie alla lingua. È però importante che i bambini inizino da subito ad usare la lingua del posto dove vivono come veicolo per stabilire contatti ed amicizie soprattutto con altri bambini. A noi è stato suggerito di assecondare il bambino, ce ne sono alcuni che desiderano conservare i legami con le loro origini ed altri che invece hanno bisogno di dimenticarsene, almeno per qualche tempo, per elaborare la fase del “lutto” (secondo il linguaggio della psicologa) per tutto quello che si sono lasciati dietro. Ad ogni modo, in seguito bisognerebbe comunque, incoraggiare e far sentire sempre la cultura (e quindi la lingua) del bambino come un qualcosa di positivo e soprattutto di fondamentale per il suo sviluppo e la sua crescita.
Pienamente d’accordo sul fatto che non si può togliere a un bimbo adottato l’unica cosa che ha: un nome e una lingua.