Mi piace molto la lettera di questa nonna, che introduce un tema molto delicato, cosa succede quando le barriere linguistiche esistono all’interno della famiglia?
Sono la nonna di un bimbo di un anno. Mio figlio è italiano e mia nuora russa. Vivono negli Stati Uniti, mio figlio è un docente di matematica e mia nuora una ricercatrice di fonetica e linguistica. A Daniele, da quando è nato, il padre parla sempre italiano e la mamma in russo. I genitori tra loro parlano inglese. Mia nuora capisce bene l’italiano ma lo parla poco mentre mio figlio non capisce una sola parola di russo. Mia nuora, che per altro è “del mestiere” essendo un’esperta proprio di fonetica e linguistica, sostiene che i bimbi imparano bene solo la lingua del paese dove vivono ma che non ci sono particolari difficoltà anche ad un apprendimento di tre lingue. Poi i risultati possono essere variabili, è possibile che riescano a parlarle perfettemente tutte e tre o che ne parlino due bene e una in modo mediocre ecc. ma quasi certamente saranno sempre in grado almeno di comprendere anche le due lingue cosidette minoritarie.
Ho pochi contatti con loro a causa della lontananza e solo tramite skype ma per ora ho notato che certamente per Daniele la prima lingua è il russo. Impara le cose prima in russo, e dopo pochi giorni capisce anche la frase in italiano. Ad esempio quando ha imparato il classico ” Da un bacino alla mamma…” prima lo ha imparato in russo e ha capito la stessa frase in italiano solo dopo due o tre giorni. Lo stesso se gli si chiede di portare un giocattolo, dicendo la frase in italiano “portami l’orso..” lui porta indifferentemente un giocattolo: l’orsetto, un cagnolino ecc. ma se la mamma dice “Mischa” in russo lui si fionda immediatamente sull’orsetto.
Agnese says
Sono sostanzialmente d’accordo con quanto scritto sopra da Letizia.
Vorrei comunque porre l’attenzione sul fatto che, all’interno della famiglia, esisteranno sempre momenti “esclusivi” del bimbo con un solo genitore: raramente esistono famiglie in cui si stia sempre, ogni santo minuto, insieme… spesso e’ conveniente dividersi i compiti, per cui ogni giorno ci saranno (tanto per fare un esempio) venti minuti in cui saranno soli bambino e padre e venti in cui saranno soli bambino e madre. Proprio quei minuti bisogna sfruttare per mantenere viva la lingua madre dei genitori.
E’ vero che il bi- o trilinguismo non e’ un obbligo e la serenita’ familiare viene prima di tutto, ma e’ pure vero che quel bambino ha anche nonni e parenti che probabilmente parlano solo italiano o solo russo e sarebbe un peccato non riuscire a comunicare con loro.
Per cui, anche se in famiglia a lungo termine probabilmente la lingua inglese sara’ la lingua dei momenti comuni, della comunicazione familiare, e’ comunque possibile continuare a mantenere le due lingue familiari.
L’importante, a mio avviso, e’ rimanere sereni e non crucciarsi del fatto che le lingue minoritarie non saranno sempre parlate con padronanza da madrelingua. Una lingua in cui ci si esprime e si comunica perfettamente ci sara’ (e cio’ e’ la cosa fondamentale), per le lingue minoritarie ci saranno comunque le basi per arrivare ad un livello molto buono: dopo un soggiorno lungo in Italia o in Russia, per esempio uno scambio universitario, dopo essere stati immersi nella cultura d’origine e aver interagito con un numero grande di persone, e’ molto probabile che la padronanza delle lingue italiano e russo diventi a livello di madrelingua.
L’importante e’ vivere la cosa con serenita’, cercare di trasmettere al bambino l’amore per la propria lingua e le proprie origini, senza frustrazioni e senza tappe forzate… il resto verra’ da se’. Il bambino sentira’ attrazione e amore per le due lingue familiari, e prima o poi, magari solo da adulto, compira’ da solo la scelta di perfezionarsi, spinto dal bisogno intimo di comunicare e dalla sete di conoscere e capire le proprie origini.
Spero di esservi stata utile!
Nonna Cristina says
Ti ringrazio molto per la tua gentilissima risposta. In effetti la penso prorio come te. Hai perfettamente ragione per quanto riguarda le famiglie di origine. Io e mio marito conosciamo pochissimo l’inglese e solo a livello scolastico mente i nonni materni parlano solo russo. Mio figlio e mia nuora, a mio parere, hanno deciso di fare questo esperimento linguistico senza troppa apprensione e sono disponibili ad accettare quatunque risultato possano ottenere. Mio figlio sostiene scherzando che se Daniele assomiglierà a lui ( negatissimo per le lingue a livello quasi patologico) li manderà a quel paese molto presto mentre se assomiglierà alla mamma diverrà un vero poliglotta. Le vostre risposte comunque mi sono state utilissime perchè leggendole mi sono resa conto che in fondo ci sarà sempre una lingua (l’inglese) in cui la famiglia può comunicare e che molte mie paure sono infondate. Grazie ancora.
Nonna Cristina
Marianna says
Mio nipote ha sei anni e mezzo e come mia figlia, che invece ha solo 8 mesi e mezzo, è stato cresciuto per i suoi primi quattro anni da bilingue. La mamma, mia sorella, è metà inglese, il papà è italiano. Oltre due anni fa si sono tutti trasferiti in Belgio. Dunque è subentrata una terza lingua. Posso dirle, nonna Cristina, che ora che il bambino va a scuola il francese è diventata la lingua dominante. Per la verità lo è diventata poco dopo il trasferimento visto che in genere è proprio la lingua parlata dai compagnetti, asilo o scuola che sia, ad avere la meglio sulle altre. La madre continua a parlargli inglese, idem la sottoscritta quando lo vedo, lui capisce tutto, si esprime bene in quella lingua, ma si capisce che si sente comunque più a suo agio parlando in francese o in italiano. L’italiano è infatti la lingua parlata in casa, con il babbo e tra i due genitori. Quindi facendo una classifica al primo posto c’è il francese, al secondo l’italiano, al terzo l’inglese. Insomma la lingua materna, quella con cui è stato “svezzato”, la sua madrelingua, è diventata decisamente minoritaria. Io credo sia giusto rispettare la naturale evoluzione senza forzare, non essendo il trilinguismo o il bilinguismo un sistema statico. Suggerirei anche io al papà, come ha detto Letizia, di imparare comunque qualche parola di russo così da non sentirsi del tutto escluso e in modo da incoraggiare la madre a non abbandonare il russo strada facendo.
Nonna Cristina says
Vi ringrazio ancora per le vostre risposte. Credo purtroppo che sperare che mio figlio impari il russo, a meno che non succeda un miracolo, sia veramente poco probabile, è assolutamente una frana con tutte le lingue !!! Tutti i tentativi fatti da mia nuora in sei anni sono falliti miseramente. Purtroppo sia io che mio marito siamo “negati” quanto lui. Non ci resta che sperare nelle capacità linguistiche del nipotino! Daniele tra l’altro è un simpatico mixer non solo di lingue ma anche di caratteri somatici. E’ figlio di un italiano bruno con occhi neri e di una russa siberiana, di origine ucraina, biondo cenere e con gli occhi azzurri. Lui è biondo oro, con carnagione chiara e due bellissimi occhi marroni …a mandorla….perchè ha anche un trisnonno Uzbeco…..
Non è il prototipo del trilinguismo ? Tre continenti in un unico bimbetto !!!
aaaa says
Il figlio di un italiano e di una russa che cresce negli Stati Uniti è figlio di tutte e tre queste lingue, e di tutte e tre queste culture. Ovviamente imparerà bene la lingua e la cultura del paese dove vive (ma questo è dovuto solo al fatto che in quella lingua ha/avrà più stimoli), ovviamente sta ai genitori mantenere vive nella famiglia anche le lingue e le culture minoritarie (trovare spunti e occasioni per parlarle-parlarne e promuoverle come parte del rapporto padre-figlio e madre-figlio); ma, anche se il trilinguismo non sarà equilibrato, comunque è e resterà per quel bambino una ricchezza, di cui non andrà “sprecato” niente: tutto quello con cui viene a contatto verrà assorbito, anche inconsapevolmente, e un domani potrà ritrovarlo e approfondirlo.
Certo, è un limite non capire la lingua della propria moglie/del proprio marito, specie sapendo che il proprio figlio la parlerà; è un limite perché ogni lingua è un modo di rappresentare il mondo, quindi ogni lingua è un mondo a parte.
Se posso permettermi, vorrei consigliare a Nonna Cristina di iniziare a studiare lei il russo, in segno di interesse verso la cultura in cui è cresciuta sua nuora, che poi è in parte anche quella in cui crescerà il nipotino. E anche l’inglese, che è la lingua in cui suo nipote, se continuerà a vivere negli Stati Uniti, imparerà a comunicare con il mondo esterno. Non serve che le impari perfettamente, basta un minimo per aprire la propria testa e per avvicinarsi con un rapporto diretto (=non mediato da un “traduttore”) al resto della famiglia. Magari poi con un po’ di entusiasmo riesce a coinvolgere suo marito, suo figlio e gli altri suoceri, e invogliarli a fare lo stesso!
Yael says
Anche nella nostra famiglia mio marito non parla l’ebraico. Ho provato di tutto, ma senza molto successo. Non è facile per tutti imparare una lingua. Con l’arrivo di G. 2 anni fa le cose sono migliorate un po’ e mio marito non si sente completamente tagliato fuori, perché capisce sempre qualche parola e l’idea principale del discorso (considerando che i discorsi con i bambini piccoli sono spesso ripetitivi…). Questo probabilmente cambierà nel futuro, quando i discorsi diventeranno più complessi, ma spero che allora anche il vocabolario di mio marito crescerà come anche la voglia di imparare l’ebraico.
Comunque, per noi la cosa importante è stata raggiungere un’intesa di cosa ci si aspetta da ciascuno di noi. Per esempio, è ragionevole che mio marito mi chieda di tradurre un discorso, ma lo si deve fare senza esagerare e senza farlo diventare un’abitudine, per non mandare un messaggio al bambino che parlare con me in ebraico sia “inutile”. Ho notato che quando abbiamo a casa ospiti che chiedono in continuazione “che hai/ha detto??” , subito dopo la loro partenza G. è più propenso a parlare con me in Italiano e ci metto un po’ di tempo a ripristinare la routine.
Spero che con questo sono stata un po’ d’aiuto.
Nonna Cristina says
Molte grazie per la tua risposta. La trovo molto utile in entrambe le cose che valuti. Anch’ io sto notando che forse mio figlio comincia a capire almeno qualche parola di russo. Per il momento siamo solo al nome di due o tre giocattoli ( orsetto, cagnolino ecc.) ma può darsi che anche lui migliori ……
Il secondo argomento è ancora più interessante. Il problema di tradurre quanto viene detto non solo al padre ma anche agli estranei nel caso di Daniele è ancora più ampio perché si tratterà di tradurre in inglese entrambe le lingue minoritarie. Quale sarà l’atteggiamento del bimbo rispetto ” all’utilità” di una lingua è sicuramente una cosa da valutare con la massima attenzione e non so se i miei ragazzi abbiano ancora preso in considerazione questo aspetto del problema.
Mia nuora invece mi ha parlato di un altro problema di tipo psicologico che si presenta spesso nei bambini e che secondo lei consiste nell’accettazione sociale della seconda o terza lingua. Per semplificare lei sostiene che i bimbi sono degli “snob” naturali e che parlano volentieri una seconda lingua solo se questo è visto dalla società che li circonda come un fatto positivo. Ad esempio tutti i bambini italiani vengono incoraggiati , ricevono complimenti ecc. dagli estranei se parlano inglese, francese o tedesco ma non succede lo stesso ad esempio per l’arabo o altre lingue considerate minori o lingue di immigrati. Secondo lei il fatto che la famiglia viva in un grande campus universitario americano con amici e conoscenti di moltissime nazionalità con un buon livello culturale e molti figli bilingui o trilingui sarà un vantaggio per Daniele. Mentre pensa ( io spero a torto) che se un giorno avessero la possibilità di rientrare in Italia, come entrambi auspicano, il bimbo potrebbe avere difficoltà ad accettare il russo. Mi piacerebbe sapere anche su questo argomento che cosa ne pensate…mi sto approfittando troppo di voi ?
Grazie ancora
Bilingue Per Gioco says
Nonna Cristina,
tua nuora ha ragione, questo problema esiste ed è importante aiutare il bambino ad avere una buona immagine dello status di una lingua, ne abbiamo parlato in diversi momenti anche su Bilingue per Gioco. Comunque con una mamma così preparata sull’argomento secondo me Daniele è in una botte di ferro!
L.
Bilingue Per Gioco says
Yael,
interessante questo concetto. Io non avevo mai associato il fatto di tradurre al messaggio implicito sulla “utilità” di una lingua.
Ci penso un po’ su.
L.
Clo says
Interessantissimo argomento che mi tocca sul vivo e da vicino: sebbene abbia sempre incoraggiato e nutrito il trilinguismo dei miei due figli di 4 e 6 anni, ed abbia incanalato questa passione in un blog, non ho mai imparato formalmente la lingua di mio marito, l’ Olandese (mentre lui ha imparato l’ Italiano molto velocemente, da autodidatta).
Non per mancanza di volonta’ o di motivazione, ma fondamentalmente per mancanza di tempo e risorse: quando sono nati i bambini ci eravamo trasferiti da poco in Francia, ed allora non parlavo benissimo Francese…quindi ho dovuto privilegiare lo studio della lingua locale per poter agevolare la mia vita professionale e quotidiana. Inoltre la sua famiglia e gli amici in Belgio sono tutti perfettamente trilingui (Olandese, Francese e Inglese) per cui non c’era un bisogno funzionale.
Nel frattempo, pero’, cara nonna Cristina, le assicuro che ascoltare mio marito rivolgersi in Olandese ai nostri figli tutti i giorni, mi ha insegnato non poco! Non posso dire di parlarlo, ma ho un vocabolario adeguato all’eta’ dei miei figli (vado forte con i loro amichetti belgi!) che ho sviluppato passivamente. Secondo me inevitabilmente suo figlio finira’ per capire il Russo, magari non lo parlera’ correntemente, ma credo che il problema dell’esclusione non si ponga se ci si sintonizza sulla conversazione del coniuge con i figli e si fa un minimo sforzo per captare i suoni quotidiani.
Quanto allo status delle lingue, per noi non e’ tanto dipeso dalla mentalita’ dell’ambiente quanto alla presenza di altre persone italianofone (si dice?!) e neerlandofone nella vita quotidiana dei ns ragazzi. In altre parole, ci siamo impegnati a renderli coscienti del fatto che la lingua di mamma e la lingua di papa’ sono parlate da tante altre persone. I viaggi frequenti in Italia e Belgio hanno certamente contribuito a consolidare questa nozione. Per cui se un giorno suo figlio, nuora e nipote dovessero tornare in Italia, sara’ sufficiente iscrivere il piccolino a uno dei play groups in Russo che Letizia avra’ sicuramente creato per allora, e il gioco sara’ fatto!