Il mio bambino (2 anni e 10 mesi) parla Italiano e Inglese, ma qualche giorno fa mi è capitato di infilare qualche frase in Francese con lui, senza motivo, solo per ascoltarne il suono. Qualche frase ripetuta qui e là per poi tornare a parlare Inglese. Ieri di nuovo parlicchiavo passeggiando con A. e non ricordo perchè di nuovo mi è uscita una frase in Francese, senza motivo.
L’ho ripetuta e ho preso a parlargli in Francese, piccoli frasi, nulla di che, ma ovviamente a lui incomprensibili. Credo che il suono del Francese gli sia noto, perchè uno dei suoi amichetti è Francofono, ma lo vediamo troppo poco perchè lui possa capire la lingua.
All’inizio mi ha chiesto qualcosa del tipo cos’è? Voleva sapere cosa stavo dicendo, poichè io gli ho risposto continuando a parlare in Francese, e quindi senza aggiungere nulla alla sua comprensione, lui si è arrabbiato e mi ha chiesto con veemenza di smettere. Io mi stavo divertendo, sicuramente lo si sentiva dal tono della mia voce, e dubito che questo abbia aiutato granchè. A chi fa piacere sapere che un’altra persona ridacchi in una lingua sconosciuta tagliandoci fuori dal loro divertimento?
Quest’episodio mi ha fatto pensare, ecco cosa succede a tutte le mamme che iniziano a parlare Inglese ai loro bambini verso i due/tre anni. Ecco come e perchè i bambini rifiutano la lingua!
Verrebbe la voglia di cominciare a insegnargli Francese solo per fare l’esperimento… se non fosse che io credo che sia meglio fare una cosa fatta bene che due così così.
Però non ho resistito, e l’esperimento l’ho fatto lo stesso. Oggi.
Non voleva saperne di dormire, eravamo sul letto a chiaccherare piano piano, già che c’eravamo giocavamo a nominare le parti del corpo, ormai le sa tutte, oggi ho dovuto introdurre i cheekbones (gli zigomi) ma sono a corto di novità a meno di non cominciare ad andare sul tecnico. Abbiamo nominato tutte le parti del corpo in Inglese, esperienza che va da sè è tutta una coccola, un accarezzarsi e un ridacchiare.
Poi gli ho chiesto vuoi che te le dico in Francese? Risposta ovviamente no, ma io ridacchiando e accarezzando gliele ho dette lo stesso.
Non molte ovviamente, gli ho detto una decina di parti del corpo, le principali. Lui mi ha ascoltata molto attentamente, mentre parlavo toccava la parte del corpo e mi guardava le labbra, per capire come emettevo questi suoni così strani. Le ho ripetute due volte, poi basta. Abbiamo cambiato gioco. MA non ha detto NO, non ha rifiutato, ha ascoltato.
Certo perchè impari veramente bisognerebbe ripeterle molte volte, magari associandole a delle canzoncine, ma il punto sostanziale è che se vediamo che i bambini rifiutano una lingua dobbiamo rivedere il nostro comportamento e capire cosa non va in ciò che facciamo noi.
Dal suo punto di vista l’esperienza di oggi era molto diversa da quella dell’altro giorno. Oggi capiva a cosa si riferivano questi suoni, perchè glielo mostravo con i gesti, l’altro giorno no. Oggi eravamo in un momento di massima comunicazione e sintonia, l’altro giorno meno (certo stavamo passeggiando insieme in mezzo alla natura, ma le coccole sono un’altra cosa).
Che ne dite? Vi va di provare? Prometto di farvi avere la lista delle parti del corpo in Inglese. Se qualcuno ha voglia di illustrarla si faccia avanti, se no sarà senza illustrazioni…
Immagine da A Journey Round my Skull
Ciao Letizia. Tutto sommato il tuo tentativo di avvicinamento al francese è andato bene. E’ l’ennesima dimostrazione che il gioco (e le coccole… che non guastano mai) sono un mezzo potentissimo!
Sempre nell’ambito del rifiuto della lingua, leggendo il tuo post mi è venuta voglia di chiederti cosa faresti al mio posto (anche se temo la risposta). Mio figlio più grande (6 anni e mezzo) non ne vuole proprio sapere di parlare la lingua minoritaria (inglese), anche se non mi preoccupa molto perchè mi ha dato spesso dimostrazione di avere un ottimo livello di comprensione e, quando si esprime, si esprime comunque in maniera corretta. La piccolina, invece, che ha compiuto 3 anni la settimana scorsa, ha iniziato da circa un paio di settimane a farmi notare la differenza tra come io chiamo le cose e come le chiama lei. Per esempio se siamo in macchina e dico “look! What beautiful sunflowers!” lei risponde “io li chiamo girasoli”. Oppure ieri, dopo una divertentissima giornata in piscina, le ho chiesto “did you enjoy yourself at the swimming pool?” anzichè rispondere sì o no, mi dice “io la chiamo piscina”. Considerando che, per vari motivi logistici e non, per il momento non posso nè prendere in casa una ragazza anglofona, nè fare una lunga vacanza in paesi di lingua inglese (insomma non posso mettere in pratica tutti quegli “accorgimenti” che, abbiamo detto più volte, aiutano i bimbi ad esprimersi in una lingua) e considerando che la mia “consistency” è forse l’unico punto forte del mio “bilingual up-bringing” dei miei figli, cosa risponderesti in casi come quelli che ho descritto? Ah, dimenticavo, dopo aver puntualizzato che la “swimming pool” lei la chiama “piscina”, ha chiesto a me se io mi fossi divertita. Ho risposto “Yes, darling, I enjoyed myself very much!”. Il suo commento: “Non dire quelle parole brutte, mummy”.
Silvia,
in realtà non so proprio cosa dirti, non sono in grado di formarmi un’opinione da poche righe. Secondo me in casi come il tuo bisognerebbe che qualcuno vi osservasse e cercasse di capire cosa crea l’intoppo… Mi spiace, so che non è molto d’aiuto.
L.
Aspetto con agitazione e paura che arrivi anche il turno di Giovanni (ora 2 anni e 10 mesi) di dirmi che non vuole più parlare francese ma italiano. Per il momento mi pare molto consapevole e forse fiero di parlare francese con me e sta iniziando a categorizzare gli altri in francofoni italofoni e anglofoni (lui colloca se stesso in tutti e 3 i gruppi!!). Però anche lui spesso, ma per parole specifiche, richiama la traduzione in italiano. Per esempio quando gli dico una parola nuova in francese, subito mi chiede come si dice in italiano e allora colgo l’occasione per aggiungere anche come si dice in english. Oppure per parole che conosce già da tempo in francese ma di cui ha scoperto da poco la versione in italiano. Ad esempio “Maman, on joue avec la gare? En italien on l’appelle stazione.” Mi sembrano buoni esempi di come il confronto con più lingue dia al bambino l’occasione di riflettere sulla lingua (i monolingui ci arrivano più tardi) ma certo può comportare il rischio di decidere prima o poi di sceglierne solo una.
Sabine,
tu che di questa materia sei esperta, ci stai dicendo che la probabilità che il bambino rifiuti la seconda lingua è altissima? Non mi riferisco al fatto che scelga di parlarne una sola, cosa che credo si debba mettere in conto senza grandi problemi, tanto appunto si parla di bilinguismo passivo che comunque è un gran risultato, anche perchè è una scelta che un punto di vista “economico” ha senso, si risparmia fatica. Mi riferisco al fatto che, come dice Silvia, il bambino si opponga a che gli venga parlata la lingua minoritaria, cosa che credo sia frequente ma non ineluttabile, no?
L.
Letizia, vorrei fare una precisazione. Il commento di mia figlia (“non dire quelle parole brutte, mummy”) è da considerare un caso isolato. In quel caso specifico voleva solo che io rispondessi in maniera precisa alla sua domanda usando le precise parole che voleva sentirmi dire (“si, mi sono divertita”). E’ molto testarda, forse bisognerebbe conoscerla per capire cosa intendo. A dire la verità nessuno dei due figli mi ha mai detto esplicitamente “non parlare inglese”. Non si oppongono al fatto che io parli la lingua minoritaria, si oppongono al fatto che LORO parlino la lingua minoritaria. Nel caso del figlio più grande è un’opposizione “tacita”, cioè parla la lingua maggioritaria (italiano) senza bisogno di puntualizzare ogni volta che è questa la lingua da lui scelta. La piccolina, invece, sta vivendo la fase in cui ha capito che gli universi linguistici che la circondano sono due, tende al 95% verso la lingua maggioritaria ma sente ancora il bisogno di sottolineare la sua scelta.
Proprio ieri, dopo aver commentato il tuo post, ho letto una pubblicazione di un Prof. francese (Francois Grosjean) il quale ribadisce che affinchè un bambino impari due (o più) lingue e le mantenga è necessario che il bambino senta la NECESSITA’ di parlare quelle lingue. Nel nostro caso non vi è alcuna necessità. L’unica “fonte” inglese sono io ma i miei figli sono perfettamente consapevoli che la loro unica fonte inglese, guarda caso, comprende e si esprime anche in italiano.
Silvia,
è assolutamente vero, i bambini devono sentire l’esigenza di parlare una lingua. Abbiamo discusso altrove che uno dei metodi usati a volte per creare quest’esigenza è quello di non rispondere se non parlano nella lingua minoritaria, ma abbiamo anche visto che è un approccio molto controverso, vedi qui.
Comunque se il tuo problema è che i bambini non parlano la lingua, e non che rifiutano che la parli tu, io direi di non preoccuparti e andare avanti. Sì può essere un po’ frustrante, ma è così. Poi non si mai, magari le opportunità per frequentare altri bambini anglofoni prima o poi arrivano, magari anche qualche compagno di scuola, non so da voi, ma da noi le classi cominciano ad essere molto miste…
L.
Come ricercatrice so che le variabili che intervengono nelle scelte, motivazioni e acquisizioni linguistiche sono molte. In parte sono relative a caratteristiche individuali (temperamento, personalità, talenti e competenze specifiche) del bambino e dei suoi genitori, in parte a caratteristiche delle lingue implicate, non tanto la cosiddetta “facilità” o somiglianza tra le lingue quanto lo status sociale e culturale che esse rivestono, l’importanza affettiva che il nucleo familiare e il bambino attribuiscono loro. Queste variabili integrate insieme determinano il tipo di stategie linguistiche messe in pratica nella famiglia (ad esempio l’OPOL) la sistematicità, flessibilità / rigidità, con cui sono utilizzate, il tipo di attività, tono emotivo-affettivo e consistenza dell’uso delle rispettive lingue.
Ovviamente è fattibile portare avanti un progetto bilingue virtualmente per tutta la vita del bambino in famiglia facendo in modo che il bambino comprenda e produca tutte le lingue familiari, tuttavia ciò richiede un notevole investimento da parte di tutti (genitori, bambini, contesto sociale più allargato) che spesso vedo venire meno in molte famiglie soprattutto in corrispondenza con l’ingresso nella scuola primaria e l’adolescenza. Certo, una maggiore comprensione di come l’integrazione di queste variabili rilevanti agisca sulle esperienze di bilinguismo e quindi sull’uso linguistico dei bambini ci poterà in futuro a sostenere e supportare in modo ottimale le scelte di educazione bilingue delle famiglie ma per ora, come si suol dire, “ci stiamo lavorando”!
L’adolescenza al momento è ad anni luce da me, e francamente non ho nessuna fretta che arrivi, per ora andiamo avanti un passo alla volta, e vedremo come gestire ogni situazione. Comunque spero anche che Bilingue per Gioco aiuti delle famiglie a non perdere la motivazione anche in fasi critiche come quelle che descrivi, tipo l’ingresso nella scuola elementare…
Ciao,
L.