In spiaggia abbiamo conosciuto T. e la sua mamma. La mamma di T. è italiana, il papà è americano e vivono negli Stati Uniti, quelli del sud, delle case coloniali, di Rossella O’Hara, degli spazi aperti e la mentalità… beh ecco, in genere meno aperta.
Io e Marcella, la mamma di T., ci siamo piaciute subito, spero…, beh insomma a me è piaciuta lei. Abbiamo molto in comune ovviamente. Due bambini bilingui, tanto per incominciare, più o meno della stessa età, e con “problemi” simili e opposti. Che ovviamente non sono veri problemi, diciamo opportunità, come fanno gli americani quando sono motivati e vogliono motivare e pensano sempre e solo positivo. Non ci sono mai problemi, solo opportunità per migliorare.
Ecco dunque, la lingua dominante di A. è l’Italiano, la lingua dominante di T. è l’Inglese. T. ha bisogno di praticare di più l’Italiano, soprattutto per poter comunicare bene con i propri nonni. A. grandi bisogni non ne ha, ma insomma meglio parla l’Inglese meglio è.
Io e Marcella abbiamo in comune il fatto di vivere/aver vissuto all’estero. Ma in esteri completamente diversi. Lei se n’è accorta appena ho aperto bocca (in Inglese), “oh you speak British English”. Io ascoltavo i suoi racconti della loro vita in “rural” USA come si ascoltano le favole. E’ un mondo che davvero non conosco, che posso solo immaginare dai libri che ho letto, però faccio fatica a pensare che gli USA di oggi siano ancora tanto simili a quelli di una cinquantina di anni fa, che in questo mondo in costante evoluzione, perennemente all’avanguardia, nel mondo di Obama per dire (e ho detto davvero molto), ci sia spazio per cambiamenti così lenti, per una società tutto sommato ancora molto statica.
A. e T. non è che dessero molto peso al fatto di essere entrambi bilingui, almeno non l’hanno esternato, però credo che abbiano registrato il fatto di avere questa cosa in comune, o forse è solo un’idea mia, sinceramente non lo so. Magari per loro è talmente scontato che nemmeno ci fanno caso (anche perchè sono ancora piccoli e la mamma è ancora abbastanza vicina al centro dell’universo), dall’altro non possono non aver notato che qualcun altro parlava Inglese, cosa che sulle nostre spiagge non capita molto (eufemismo). Mi sembra di aver notato che A. fosse meno loquace del solito, come se non sapesse bene quale lingua parlare, stesse cercando di inquadrare la soluzione.
In realtà però più che un incontro linguistico questo è stato un incontro culturale. Cultura italiana vs cultura americana. Cultura espatriata vs cultura rimpatriata (che è uno stato mentale a sè, perchè l’espatriato è un po’ pioniere, e quindi convive con la nostalgia, il rimpatriato non sai mai come gli piglia, c’è chi passa la vita a rimpiangere di essere tornato e chi tutto sommato tira fuori dalla valigia quello che ha imparato per strada e cerca di trasportarlo nella vita quotidiana in patria).
Non so quanto A. e T. possano aver apprezzato questo scambio culturale. Non sembrava si filassero più di tanto i nostri discorsi, tutti intenti a giocare con la sabbia, ma del resto i bambini fanno sempre così, poi in realtà hanno assorbito, magari le emozioni se non i discorsi complicati degli adulti.
Marcella e T. presto torneranno negli Stati Uniti, si rimetteranno a fare gli oatmeal cookies mentre noi continueremo a fare pane e biscotti (poi in realtà Marcella si porterà via la farina di grano duro per fare il pane e io gli oatmeal cookies li devo almeno provare, almeno una volta!), ma speriamo che queste giornate sulla spiaggia siano l’inizio di un’amicizia. La vita a volte va così, le persone le incontri per caso, condividi una storia e qualcosa ti lega. Se A. e T. avessero modo di imparare anche solo questo, già avrebbero imparato molto.
P.S.
Colgo l’occasione per dare il bentornato in patria anche ad un’altra mamma, Kety. Che viveva proprio dietro l’angolo di dove vive Marcella e adesso vive dietro l’angolo di dove vivo io. Che ci seguiva prima perchè voleva che la sua bimba imparasse l’Italiano, ora perchè vorrebbe che continuasse a parlare l’Inglese. Ho parlato con Kety proprio ieri, via Skype, e mi parlava dello stesso mondo di cui mi parlava Marcella. E io sono qui sulla mia spiaggia bella che non si sa, ma francamente remota, isolata, e anche un po’ arretrata. Il mondo sta diventando sempre più piccolo…
P.P.S.
Noterete che il Bilinguismo on the beach 2010 è ben diverso dal Bilinguismo on the beach 2009.
Immagine da A Journey Round my Skull
Ma, questi due bimbi, in che lingua hanno comunicato tra loro? Sono curiosa!
Stasera conosceremo una famiglia di bloggers italiani in Svezia, con bimbo esattamente coetaneo di mio figlio, che ha solo l’italiano in casa, e solo lo svedese fuori, voglio proprio vedere come comunicheranno i due….
Ciao Gianna,
domanda interessante, che lingua parlavano i due? In realtà parlavano molto poco, osservavano, si spiegavano a gesti, parlavano alla mamma per dire una cosa all’altro bimbo. Insomma cercavano un modo per comunicare e si prendevano del tempo per farlo. Una volta che si sono sbloccati parlavano come gli veniva, molto mescolando le due lingue. Tipo “Qui pesciolinis, lì no pesciolinis”.
L.
interessante!
Nel nostro caso, é andata cosí:
Ci siamo trovati per due serate, gli adulti passando dall’italiano, all’inglese allo svedese (quest’ultimo in minoranza). Il bimbo degli amici parla prevalentemente italiano, con l’eccezione di qualche parola in svedese. Nostro figlio si é espresso quasi esclusivamente in svedese, di solito usa con me un po’ d’italiano, ma stavolta ha evitato, sebbene fossimo tre adulti a parlargli in italiano!
(la mia ipotesi: lui usa l’italiano con me come se fosse una nostra lingua ‘privata’, mentre con gli altri bimbi dev’essere come andare all’asilo e perció si parla in svedese).
I bambini si sono capiti benissimo lo stesso, anche perché la mimica e la gestualitá erano molto simili. Il mio moroso ha avuto la sensazione che nostro figlio ha sentito di ‘avere qualcosa in comune’ con l’altro bimbo.