Oggi avevo in programma di scrivere d’altro, ma c’è una storia che vuole essere raccontata, con urgenza, e chi sono io, piccola blogger, per lottare contro una storia, quanto di più potente esista al mondo?
Che la storia abbia inizio. E’ la storia di Letizia e Yukie, di un’amicizia, e anche di un terremoto, il terribile terremoto che sta sconvolgendo oggi il Giappone.
La storia inizia tanti anni fa, ma non troppi, comunque in questo secolo.
Non ero ancora mamma, nè tantomeno blogger. Avevo un lavoro vero, ogni mese una certa somma di denaro compariva magicamente sul mio conto corrente, quando volevo lamentarmi del mio capo trovavo un sacco di persone disposte a farmi compagnia e non avevo bisogno di uno specchio per ricordarmi com’era fatto il mio capo. Ma c’è di più, questo meraviglioso lavoro un giorno dice :”Hey c’è mica qualcuno che vuole andare in Giappone? Alzi la mano chi è interessato!”
Ho alzato la mano. Ma mica perchè avevo sempre sognato di andare in Giappone, no. Al contrario. Mi sono detta “io di mio magari in Giappone non ci andrò mai, tanto vale cogliere l’occasione e farmici mandare, spesata poi…”
E così sono partita alla volta del Giappone.
Per due settimane ho lavorato con un team locale, circa 30 uomini. Tutti uomini. (E ho viaggiato per un’altra settimana).
Il primo giorno ho pensato, faccio come loro, e sono rimasta finchè rimanevano loro. Poi ho capito, loro aspettavano che me ne andassi io per avere un drink tra uomini… Le sere successive ho tolto il disturbo ad un’ora più decente.
Alcuni colleghi giovani erano molto gentili con me, altri, spesso meno giovani, avevano deciso che io non esistevo, ero fatta di aria, ero un ologramma. Non mi guardavano in faccia nemmeno se dovevano parlarmi.
In giro si vedevano alcune ragazze, ma nessuno me la presentava, erano assistenti, studentesse, e si guardavano bene anche loro dal parlarmi, io donna europea con una posizione al pari dei colleghi uomini…
Una sensazione strana, possiamo dirlo… Molto diversa dall’esperienza che avevano in contemporanea i miei colleghi uomini, inseriti in altri team.
Dopo qualche giorno che ero lì, succede una cosa. Come spesso accade, di necessità, faccio un salto in bagno (i bagni giapponesi meritano uno shock culturale a parte ma soprassediamo). Esco dal bagno e trovo una ragazza che passeggia nervosamente su e giù per il corridoio.
Si fa coraggio, mi sorride.
Non dimenticherò mai le prime parole che mi ha detto, sommersa dalla timidezza: “Hi, I don’t speak very good English, but I would like to talk with you”.
Somebody is talking to ME!
Per poco l’abbracciavo… Qualcuno che voleva parlare con ME, non ci potevo credere…
Questa ragazza è Yukie.
Yukie è molto più giovane di me, ha avuto una vita e esperienze molto diverse dalle mie, ha un temperamento diverso dal mio (lei è molto più dolce), appartiene ad una cultura diversa. Ma siamo diventate amiche.Yukie aveva voglia di conoscere, di parlare con me di mondi diversi. Questo desiderio l’ha portata a farsi coraggio e a superare il tabù della gerarchia.
Yukie ha reso i miei giorni in Giappone indimenticabili, è stata la porta attraverso cui sono riuscita a comunicare, ridere e scherzare anche con alcuni colleghi uomini, mi ha offerto degli scorci di vita reale in Giappone.
Quando sono tornata a casa dal Giappone ero folgorata, non riuscivo a pensare ad altro. Il Giappone mi è rimasto dentro, ero partita senza aspettative di alcun genere eppure mi ha profondamente impressa.
Da allora ogni volta che qualche amico va a Tokyo li metto in contatto con Yukie, so che a lei fa piacere passare una serata con queste persone che vengono da mondi diversi.
Una volta Yukie è venuta in Europa ed è stata mia ospite a Londra, è stato molto bello, le ho preparato un risotto che per poco lei e la sua amica non si mettevano a piangere…
Ci sentiamo poco con Yukie, ma abbiamo avuto un incontro vero e sincero, e l’amicizia esiste, anche se siamo lontane. Quando è nato A. gliel’ho fatto sapere.
E veniamo a oggi, al terremoto.
Quando ho visto le immagini del terremoto di Tokyo ho subito pensato a Yukie, ovviamente.
Le ho scritto e per qualche giorno non ho ricevuto risposta.
Ho avuto paura.
Poi finalmente Yukie mi ha risposto, sta bene, sia lei che i suoi cari. La tragedia l’ha risparmiata. Per il sollievo mi sono venute le lacrime agli occhi, da brava italiana avrei voluto abbracciarla, ma forse lei è più contenta che mi sia limitata a scriverle…
Oggi Yukie mi ha scritto queste poche righe, che voglio condividere:
“Dear, Letizia
Thank you very much!!
I feel several aftershocks right now..
I was woken up by the shock this morning…
That’s terrible..but I should be “normal” thinking of the people who live in TOHOKU district.
Now I go to my office (from Tokyo to Yokohama)
Train schedules are disrupted because of a shortage of electric power.
Anyway I’m OK!
Grazie mille!!!!
Ciao,
Yukie”
Sono solo poche righe, ma mi hanno fatto pensare. Svegliarsi la mattina col terremoto che ti scuote, farsi forza e andare a lavorare. Avere paura, ma anche fiducia che la tua casa e il tuo ufficio non ti crolleranno sulla testa, e che il tuo lavoro e il tuo paese hanno bisogno che anche tu vada avanti.
Anche questo è il Giappone.
Questo post è dedicato a Yukie e alla nostra amicizia, ma anche e soprattutto a tutti i Giapponesi che stanno affrontando questa tragedia, e a coloro la cui vita non sarà più la stessa.
Immagine di 50 Watts
Serenamanontroppo says
Bellissimo post e bella storia di amicizia. Sono convinta che le amicizie vere vadano oltre le distanze ed i contatti che si riescono ad avere. Se l’amicizia c’è, ogni volta è un piacere ritrovarsi e continuare a parlare come se la distanza o il tempo trascorso dall’ultimo contatto non fossero un ostacolo. In ogni caso tornando al Giappone, in questi giorni guardando la tv, leggendo articoli di giornale su internet, mi sono resa conto della grandezza di questo popolo. Sapranno risollevarsi al meglio da questa tragedia, ne sono sicura.
Sybille says
Grazie per questa bella testimonianza e se scrivi ancora alla tua amica falle sapere che siamo in tanti a sperare che il Giappone esca presto dalla tragedia. un abbraccio
S.
Andrea says
Ho letto tante stupidaggini di solidarietà nei confronti del Giappone e dei giapponesi, ma solo una bella testimonianza diretta: la tua. Grazie per avermi fatto sorridere in questi giorni di tristezza.
Andrea
Bilingue Per Gioco says
Grazie a voi,
Letizia
Arianna says
Concordo con serenamanontroppo: il Giappone ha un grande popolo e saprà uscire al meglio possibile da questa immensa tragedia, ne sono certa. Che bella la vostra storia di amicizia!! E, non so se ti ci ritrovi, la tua esperienza lavorativa di donna europea in giappone sembra uscita da un romanzo di amelie nothomb (compreso ciò che concerne i bagni…!). Se non lo hai già fatto leggi “stupori e tremori”, il deja vu e’ assicurato!!
A
Bilingue Per Gioco says
Ciao Arianna, sì credo di averlo letto, l’ho letto in Francese ma credo che sia il libro a cui sto pensando anche io. Sì il parallelo viene spontaneo, lo straniamento è comune però non è poi così uguale, la Nothomb (se ricordo bene) racconta una crudeltà che io non ho sperimentato, un po’ di freddezza, a volte durezza forse, ma è un’altra cosa. C’è anche da dire che io dopo 2 settimane me ne tornavo chez moi… Sono convinta che lavorare in Giappone sia molto duro, a questo proposito ricordo un brevissimo incontro con una collega in ascensore, l’unica altra donna con cui ricordo di aver parlato sul lavoro, non ricordo come ma brevemente mi ha dato uno scorcio della sua vita, it’s hard. Teniamo presente che loro hanno spesso dei commuting times allucinanti e sul lavoro la parità tra i sessi non è esattamente all’avanguardia…
L.
Arianna says
Si, in effetti la grande differenza con l’esperienza della nothomb (il libro e’ autobiografico) e’ che lei non era in giappone come visiting guest ma intendeva mettere a frutto nel suo lavoro la sua profonda conoscenza della lingua e dei costumi giapponesi e pare fosse proprio questo a dare estremamente fastidio ai suoi colleghi e superiori: il fatto che un’europea sapesse, per esempio, servire il tea secondo la tradizione giapponese era vista come un’intollerabile presunzione. Per inciso, l’esperienza di bilinguismo della nothomb e’ particolarmente interessante: e’ nata a kobe, da famiglia belga, padre diplomatico, il giapponese e’ stata la prima lingua che ha imparato grazie alla sua nanny, che non parlava una parola di altre lingue, mentre in francese e’ stata una very late talker (salvo recuperare in seguito). La sua “metafisica dei tubi” ( o l’originale in francese) contiene quella che e’, secondo me, la più efficace descrizione del mondo interiore di un bambino prima dei tre anni, come non ne ho mai trovata in nessun manuale…a presto, a
gloria says
Letizia,
mi hai commosso…non c’è nulla come le relazioni personali e intime per farci sentire quanto le nostre vite siano strettamente legate, interconnesse. Avessimo più amici, di più culture, di più religioni forse riusciremmo a preoccuparci davvero per il nostro futuro e a trovare soluzioni sensate.
Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza,
adesso anche noi abbiamo un’amica in Giappone: Yukie!
Gloria
Rossana says
mi sono davvero commossa, per la storia d’amicizia, per come l’hai raccontata, per la sofferenza e l’orgoglio di questa nazione… E forse anche (egoisticamente) per la solitudine che anch’io sto vivendo e per il desiderio di avere qualcuno che vuole parlare con ME…
Bilingue Per Gioco says
Rossana,
ma ci sono tanti Italiani a Londra, e tante persone da conoscere, italiane e non… Non c’è motivo di sentirti sola, prendi il tuo bambino, uscite e fate amicizia, ci sono i Monkey Music, gruppi di musica per mamme e bimbi, ci sono anche dei playgroup italiani (Chelsey credo, non ricordo quando), ci sono i sure start centers. Insomma, è più facile fare amicizie con dei bimbi che da sole. Oppure se vuoi parla con noi…
L.