Cosa vuol dire essere Italiani? Io sono nata in Italia, da genitori Italiani, sono stata cresciuta in Italia, sempre nella stessa città tra l’altro. Eppure cosa vuole dire per me essere Italiana? Non è una domanda facile, ma domani l’Italia compie 150 e mi sembra giusto provare a rispondere. Evidentemente questa è la settimana delle storie personali, dopo il Giappone l’Italia.
Sono nata a Verona, sono cresciuta a Verona, i miei genitori si sono sposati a Verona, ma nè l’uno nè l’altra è veronese. Nelle mie vene scorrono 2/4 di sangue pugliese, 1/4 lucano e 1/4 friulano. Ogni singola estate della mia vita sono andata in Puglia, a volte per mesi interi, a volte per una settimana. Ho capelli terronissimi e carnagione nordica (una combinata non particolarmente felice in tutta sincerità). Non parlo nessun dialetto, ma capisco il dialetto veronese e il dialetto tarantino e tutti i dialetti lì intorno.
Sono sempre stata molto consapevole di essere diversa, sia lì che qui.
Una consapevolezza tra l’altro anche faticosa. La mia maestra delle elementari era una donna sicuramente molto intelligente, mi stimava molto e aveva un rapporto di fiducia con i miei genitori, ma sul tema dei meridionali era feroce, ne criticava con asprezza la mancanza di iniziativa, la poca onestà, la poca voglia di lavorare. Quando andavo al mare assistevo o partecipavo a confronti aspri, ma cosa volete capire voi che siete del nord…
La maestra delle elementari… direte, grow up Letizia, that’s way behind you!
Sì e no, perchè nella infanzia sono stata obbligata, oserei dire anche con una certa durezza, a farmi domande di identità, capire chi sono, dove appartengo, con chi mi identifico. Contemplare con obiettività il mondo da cui si proviene, amarlo per quello che è ma rifiutare di farsi attaccare delle etichette. Non sono mica domande da poco per un bambino! Anche perchè mi è stato subito chiaro che nord e sud, Veneto e Puglia, saranno anche uno stesso paese, ma sono due culture diverse, molto diverse, e alcune cose le preferisco in una cultura, altre nell’altra.
Strada facendo ho cercato di coltivare in me gli aspetti che più apprezzo di ognuna di queste culture e di non dare spazio agli aspetti che invece io stessa biasimo. La conseguenza ovviamente è che sia in un posto che nell’altro ho dovuto preparami ad essere criticata, più o meno apertamente, per il mio essere terrona o polentona, sono parole forti, faccio fatica a scriverle, ma sono queste le parole che vengono utilizzate. Come pure ho dovuto abituarmi a non vivere come una delusione se le persone a me vicine si comportavano secondo i canoni che io stessa avevo rifiutato. Relativizzare, accettare che ogni cultura ha aspetti positivi e negativi e che va presa per quello che è, è un esercizio difficile e importante per un bambino! Ovviamente ho amici sia al nord che al sud, perfino al centro e udite udite qualcuno pure delle Isole…
Posso dire che sono diventata Italiana quando sono andata all’estero.
Stando all’estero ho ripetuto lo stesso esercizio, ho cercato di coltivare in me gli aspetti tipicamente Italiani che trovavo positivi, ma ho cercato di abbandonare quelli che ritenevo negativi, per abbracciare modelli appresi da altre culture. Magari ci sono riuscita solo un po’, ma sicuramente strada facendo sono cambiata molto.
Quando poi ho avuto modo di vivere un intero anno a stretto contatto con persone che venivano da tutto il mondo ho capito che ero diventata Europea.
Perchè racconto questa storia in occasione nel 150 anniversario dell’Unità d’Italia?
Per ricordare che bisogna essere Italiani prima di poter diventare Europei e poi cittadini del mondo. Che non possiamo insegnare ai bambini a capire le complessità globali se prima non imparano a capire le complessità di tutti i giorni, quelle in cui sono immersi.
Perchè secondo me alla base del mio interesse per il mondo, il mio desiderio di conoscere altre culture c’è la consapevolezza di appartenere a due culture diverse. Come del resto forse, ma dico solo forse, la mia propensione per le lingue nasce dall’esposizione precoce a dialetti diversi, anche questo è bilinguismo.
Soprattutto ciò che voglio comunicare è che l’apertura al diverso non significa andare a Londra e mangiare Fish and Chips. L’apertura al diverso inizia a casa, qui. Insegnare ai nostri figli a essere Italiani, che essere Italiani vuol dire capire e rispettare i molti modi diversi che ci sono di essere Italiani, questa è la premessa per crescere dei bambini veramente aperti al mondo, capaci di ascoltare il mondo.
Poi ovviamente le cose si complicano ancora di più, perchè oggi gli Italiani sono un popolo ancora più vario, alle secolari tradizioni sviluppatesi sul patrio suolo si aggiungono tradizioni che i nuovi Italiani hanno portato con sè da paesi e culture lontane. Ma dov’è la differenza? E’ solo una questione di tempo. Il paesino lucano da cui proveniva mia nonna conservava fino a poco tempo fa tradizioni e termini di probabile derivazione albanese, ma mia nonna era italiana, io sono italiana, mio figlio, che ha solo 1/2 di sangue italiano, è (anche) italiano.
Se non possiamo permetterci di viaggiare all’estero con i bambini viaggiamo in Italia, ci sono bellezze e diversità a non finire, ci sono mondi interi da scoprire, e scoprendoli i nostri bambini diventeranno veramente Italiani e si prepareranno a diventare cittadini del mondo.
Anche questo post come quello di ieri ha una dedica, lo dedico al mio amico Giuseppe, che ha vissuto tanti anni in USA e ancora parla Inglese con accento Italiano, che è cittadino del mondo ma Italian Inside, e che domani ha organizzato una festa a casa sua per celebrare l’Unità d’Italia. Quasi quasi ci vado…
Immagine di Giuseppe Bognanni
Chiara says
Letizia questo post è bellissimo! Io non ho il “sangue” vario come il tuo (veneta dalla testa ai piedi) ma mi ritrovo nell’affermazione che per sentirsi italiani bisogna (anche) andare all’estero: anche a me è successo così, ho dovuto sostenere la mia italianità con i tanti pregi e i difetti che questo comportava. E credo che i nostri figli siano molti fortunati perchè avranno la posibilità di essere cittadini del mondo, grazie alle loro madri eccezionali (e modeste).
Mammarasma says
Mi riconosco molto in questo tuo post.
Anche io ho cominciato fortemente a sentire di essere Italiana quando sono andata all’estero: Italiana innanzitutto, poi Europea, Occidentale e infine… be’, semplicemente essere umano.
Sono nata in Monferrato e cresciuta ad Alessandria, mamma monferrina e papà immigrato da piccolo con famiglia numerosa e poverissima dal Veneto – in Piemonte i primi “terroni” sono stati loro. Non parlo dialetto perché i miei genitori pensavano che se mi avessero sempre parlato in Italiano avrei fatto meno fatica a scuola. In quasi quarant’anni non è cambiato molto, vero? Ora ci sono ancora genitori e nonni che temono che una seconda lingua, quella “immigrata”, “povera”, possa essere un’ostacolo all’Italiano, anziché una meravigliosa ricchezza.
Alessandria non brilla per apertura mentale, ed in qualche maniera mi sono sempre sentita molto diversa, un po’ fuori posto. Con capelli castano chiaro e occhi verdi nessuno ha mai avuto dubbi sulle mie origini nordiche, ma a mio fratello (occhi e capelli scuri) è capitato di essere chiamato “terrone” – e a noi bambini era sembrato un insulto terribile.
A ripensarci, è incredibile quanto razzismo quasi inconsapevole ci fosse intorno a noi: non era poi molto diverso da ora, solo che allora i capri espiatori di ogni problema erano i meridionali. Gli stereotipi sono sempre gli stessi: le stesse cose che si dicono ora degli immigrati stranieri si dicevano allora dei meridionali, e si dicono da sempre all’estero di noi Italiani tutti…
Quando vivevo in Cina e avevo un fidanzato canadese (con mamma finlandese, vissuto a lungo in Brasile e un po’ confuso riguardo alla sua identità nazionale e culturale), pensavo che se avessimo avuto dei figli avrei davvero voluto che si sentissero Italiani – e lo sento fortemente anche ora che sono tornata a casa e ho una marito nato ad Alessandria ma cento per cento lucano.
Per la mia bimba sto preparando uno scamiciatino tricolore da indossare domani 🙂
Francesca says
Condivido tutto ciò che scrivi. Anche per me, fiorentina trapiantata da quasi 13 anni a Madrid l’italianità è nata qui in Spagna, solo il confronto con una cultura diversa dalla tua (vabbè la Spagna non è la Cina, ma le differenze se si va al di là di una similitudine superficiale sono invece profonde) ti fa criticare e apprezzare allo stesso tempo la tua. Conoscete la canzone di Gaber “Io non mi sento italiano (ma per fortuna e purtroppo lo sono)”? Esprime perfettamente quel che sento. Buon Anniversario a tutti!
Giuseppe says
bellissima la citazione della canzone di Gaber 🙂
Giuseppe says
Grazie mille della dedica. E’ un onore essere “legato” a questo articolo.
Condivido il messaggio di fondo di questo post. E’ vero che prima di sentirsi “cittadini del mondo” (come da un pò mi sento oramai) bisogna apprezzare le culture nelle quali siamo cresciuti e dalle quali abbiamo imparato tanto.
Inoltre, nessuna cultura è perfetta e prima della critica incondizionata di quelle culture che sembrino non appartenerci, conviene capire prima di tutto cosa c’è da apprezzare in queste e quindi cosa imparare di nuovo per migliorare l’ambiente dove anche i nostri bambini cresceranno.
Domani, senza dubbio alcuno, festeggiamo la nostra bella Italia… e spero prioprio tu ci sia.
Un abbraccio!
giu
rosaria says
Bellissimo post Letizia! mi ci sono ritrovata tantissimo. Anche io sono Pugliese (anzi martinese) ma di mamma molisana, cresciuta tra due dialetti e con un’attenzione particolare alle lingue straniere. Infatti grazie all’inglese (e non alla laurea + vari master) ho trovato un lavoro bellissimo e gratificante presso le Nazioni Unite, dove quotidianamente sono a contatto con culture e lingue diverse. Ho sposato un ragazzo spagnolo (filologo) e stiamo cercando di crescere nostra figlia di quasi tre anni (+ il piccolino che arrivera’ a breve) qui a Roma, districandoci tra italiano, spagnolo e romanesco 🙂
Leggendo quello che hai scritto si e’ riaccesa una scintilla di orgoglio patriottico che pensavo fosse spento e sotterrato dalle fatiche e delusioni quotidiane a cui questo Paese ci sottopone.
fabio says
Scrissi qualche tempo in preda ad alcuni dubbi sul bilinguismo (trilinguismo nel nostro caso) e chiusi infine con un dubbio sull’identita’ nazionale della piccola. Si sentira’ italiana? Cosa fare per trasmetterle la passione per la nostra terra senza renderla ottusa alle altre culture?
Probabilmente sta gia’ crescendo una nuova generazione di europei pronti a trasferirsi in un altra citta’ europea proprio come capito’ a molti italiani del sud decenni fa …
Ma questo a discapito o a vantaggio delle nostre identita’ e tradizioni culturali?
Ancora non so rispondere cosi’ come ancora non so rispondere al fatto se mia figlia si sentira’ italiana oppure parte della nazione in cui viviamo adesso …
Bilingue Per Gioco says
Fabio, ti consiglio di leggere Third culture kids.
L.
Giovanna says
Che bel post! Autentico e vero…. mi ci riconosco anche per l’analogia di alcune esperienze di vita e soprattutto risconosco i miei bambini i quali, figli di un matrimonio misto e cresciuti in un Paese in cui anche noi genitori siamo stranieri, si pongono il problema della lignua e dell’identità sin da piccolissimi. “Mamma, che lingua perlerà questa signora?” ” Mamma, ma qui in Italia parlano tutti italiano!” “Mamma, se mi scappa la pipì come glielo dico?” e via dicendo.
Sto parlando del Lussemburgo un Paese in cui vige un regime di triglossia e in cui il 54% dei bambini in casa non parla nessuna delle tre lingue del Paese….. Mi sento solo di dire che condivido pienamente quanto hai espresso così bene e aggiungo che anche noi, nel nostro piccolo, in Lussemburgo stiamo cercando di far passare questo messaggio. Il motto della nostra associazione Italobimbi, che promuove l’italiano tra bambini e giovani di orginie italiana, è appunto questo: “Bisogna sapere prima chi siamo per poterci sentire cittadini del mondo!”
Marco says
Una riflessione semplice e profonda allo stesso tempo, che condivido 100%.
Grazie!
Josephine says
Thankyou Letizia, I truly enjoyed this reflection. I must admit that I was surprised to read that you only really felt Italian when you left Italy and went to live elsewhere. So interesting.
As you know, I am an Australian of Italian descent. My parents were both born in Italy (Prov Isernia & Prov Campobasso) so in reality non ho il sangue “vario”. I am a Molisana…and yet I am Australian…living in Indonesia (to further confuse matters :-)). But perhaps who we are, is all about who we identify as. I speak our regional dialects as I do English, as my mother tongue. I learnt Italian at school and at univeristy yet I speak it (in a somewhat stilted manner) with my children. People who meet me in Australia and Indonesia would see me as an Ital0-Australian but it is very hard to define what that means and what we are when we identify as “Italians” when we have never truly lived in Italy….I can feel an identity crises coming on!!!!
Thank you to you all for sharing your experiences. It is truly enriching for me to read what you have shared.
Bilingue Per Gioco says
Josephine,
sorry, I owe you one I know! I’m sooo behind with so many things! I promise to publish, and answer, your letter, in 2 weeks. At least now we have a date…
L.
Rossella says
Complimenti, questo post è bellissimo!!! Io sono nata e cresciuta nella profonda bassa veronese (come i miei genitori e tutti i miei nonni… nessuna diversificazione culturale), paesino microscopico, capisco benissimo il dialetto, ma non lo parlo (i miei genitori mi hanno sempre proibito di parlarlo… mai capito perchè!) e questo mi ha resa a suo tempo una bambina ‘diversa’… quella che parla solo italiano; ho frequentato uno dei licei più in vista di Verona (dove ero quella della provincia…), poi università nella vivace Bologna. Adesso vivo di nuovo in provincia, di Bologna però… sempre profonda bassa… altro dialetto (che non capisco…). Mia figlia ha 18 mesi, le canto ‘tu tu tu tu museta la mama la vien da mesa, con le tetine piene da darghe ai so butini…’, la sera prima di metterla a nanna le canto ‘twinkle twinkle little star’, andiamo a lezione di inglese. Siamo stati ai festeggiamenti dei 150 anni, ha visto i garibaldini! Appena sarà un pò più grande andremo a visitare tutte le bellezze delle città italiane, esattamente come ho fatto io quando ero piccolina con i miei genitori.
Grazie per questo meraviglioso post!!!
Rossana says
Letizia, this is for you:
http://mammainlondon.blogspot.com/2011/03/via-di-mezzo.html
Bilingue Per Gioco says
Rossana,
grazie, addirittura modello di saggezza, non so… magari quando passi da Verona ci incontriamo, mi guardi in faccia e ti fai un’idea più realistica di me…
Però sono contenta di aver stimolato delle riflessioni così importanti.
Ti auguro buon viaggio, dentro e fuori di te, e in buona compagnia!
Letizia
P.S. condivido su FB
Rossana says
ciao Letizia, grazie 🙂 Beh quando torno a Verona ci si vede SENZ’ALTRO anche perché SE torniamo voglio troppo far partecipare il mio bambino al tuo gruppo bilingue!!! Scrivo “se”…perché…come dici tu..mai dire mai….
italiano fiero says
salve,
io non vedo molte differenze di fondo tra i veneti e i pugliesi. I veneti sono solo più ricchi (grazie alla vicinanza ai commerci dell’Europa centrale) ma non hanno modi di fare diversi da quelli tanto criticati dei meridionali più volgari.Io ho notato molti veneti comportarsi da veri cafoni in pubblico(ubriachezza molesta, bestemmie dette ad alta voce, gretta ignoranza nei confronti degli omosessuali o verso chi veniva da fuori). Quindi per me il veneto medio è solo un contadinotto che diventato ricco crede di poter giudicare e guardare dall’alto in basso quelli che sono a lui simili( un cosidetto mastro don gesualdo, pezzente arricchito o parvenu ).I pugliesi vagabondi? i campi della Puglia dimostrano il contrario. La Puglia regione con pochissima acqua ha distese di oliveti e vigneti coltivati grazie al duro lavoro di generazioni di braccianti e contadini..forse non è trendy dirlo?