Quando parlate con i vostri bambini gesticolate? Anche e soprattutto quando parlate nella seconda lingua? Se la risposta è no, fareste meglio a fare uno sforzo…
La gestualità è strettamente collegata al linguaggio, sappiamo bene che i bambini imparano a parlare, anche la prima lingua, proprio partendo dalle mani, nel gesto è già insita la parola, che poi verrà verbalizzata. Non solo, la gestualità aiuta l’apprendimento di tante competenze, non solo linguistiche, addirittura secondo due ricercatrici americane dell’Universita’ di Chicago, Goldin-Meadow e Rowe, aiuta anche l’apprendimento di concetti matematici, ossia i bambini che sono liberi di o incoraggiati ad usare le mani per supportarsi nei calcoli imparano a farli meglio e più velocemente.
Uno studio, Prof. Spencer Kelly della Colgate University, poi ha osservato che la gestualità ha un impatto proprio sull’apprendimento della seconda lingua, quanto più vengono usati i gesti contestualmente al linguaggio meglio si impara. Non per niente la gestualità è anche alla base delle tecniche che utilizziamo nei corsi di Inglese per bambini e genitori, i Learn with Mummy.
Quindi, che consiglio dare ai genitori?
- E’ importante utilizzare i gesti con i nostri bambini, in qualsiasi contesto. La gestualita’ aiuta l’apprendimento.
- In particolare e’ molto utile associare gesti e recitazione al racconto di storie e favole.
- Per esprimere un concetto meglio usare sempre lo stesso gesto.
- I gesti non sono mai troppi, l’unico limite è la nostra capacità di usare le mani e il corpo, un limite che possiamo cercare di superare.
Esempi pratici? La vita quotidiana è piena di azioni e oggetti che si prestano al gesto:
- Casa
- Fame e mangiare
- Sete e Bere
- Dormire
- Camminare
- Macchina e Guidare
- Felice e Triste
- Piangere
- Telefonare
- Prima e Poi
- Raccogliere (parola importantissima, che ne dite di “Raccogli tutti i tuoi giocattoli” in versione multimediale…?)
- Vestirsi
- Mettere le calze e le scarpe
- Lavarsi i denti
- Lavarsi
- I numeri, almeno fino a 10
- Lavare i piatti
- Cucinare
- Stanco
- Saltare
- Giocare a palla
- Palla
- Musica
- Rotolare
- Grande e piccolo
- Piano e forte
- Volare
- Nuotare
e via così, ho citato solo le parole più comuni, e quelle che mi sono venute in mente, ma già questi gesti li usiamo? Tutti? Sempre?
Quali altri gesti usate spesso?
Per inciso, in Svizzera hanno fatto del movimento, e la gestualità proprio la base di un approccio didattico per le scuole, un approccio che viene usato in moltissime scuole. I bambini usano il corpo durante tutte le attività scolastiche, e anche fuori casa, sia per favorire un migliore sviluppo corporeo e sintonia ciorpo e mente (mica è normale stare seduti per ore a 7 anni….9 sia per favorire l’apprendimento.
Infine, se il tema vi appassiona, ecco un libro su Gesture and Thought, di David McNeill, pioniere dello studio della relazione gesto e linguaggio che al tema ha dedicato 25 anni di ricerca.
Immagine di Feltbug
Silvia N says
Questo post mi conferma nell’esperienza fatta con il Newt. Io non avevo fatto molta ricerca in merito (grazie per tutti i link interessanti!), piu’ che altro perche’ nella nebbia mentale creata da un pargolo di pochi mesi non ne avevo proprio la capacita’. Pero’, quando altre mamme locali mi comiciarono a parlare di Sing and Sign, il ragionamento che il daddy ed io facemmo ando’ piu o meno secondo queste linee: alcuni dicono che Newt potrebbe parlare piu’ tardi perche’ bilingue, ma forse no, in ogni caso fornirgli uno strumento di comunicazione che puo’ essere accessibile anche prima di aver imparato a controllare i movimenti della lingua ci sembra vantaggioso, quindi proviamo.
L’idea di Sing and Sign e’ di introdurre una versione semplificata del British Sign Language (il linguaggio dei sordomuti) per i bambini dai 7/8 mesi in su, tramite l’interazione con gli adulti di riferimento, imparandoli al corso con tante canzonicine e giochi.
Ed e’ stata un’esperienza proprio produttiva: a 14 mesi Newt aveva si e no 5 parole, ma quasi 200 segni con cui esprimere una varieta’ notevole di cose: nomi comuni (cane, gatto, uccello, aereo, ma anche chiocciola, ranocchio, elefante, etc.), relazioni (mamma, daddy, nonno, zio, bebe’), colori, avverbi e aggettivi (ancora, di piu’, bello, grande, piccolo, forte, piano), bisogni (mangiare, bere, latte, pannolino), desideri (libro, giocare, cantare, musica) ma avevamo anche segni per esprimere emozioni di base, come felice, triste, arrabbiato, ridere, piangere, ti voglio bene, o, molti utili per noi, dare enfasi ad istruzion, elogi e forme di cortesia. In questo modo credo che ci siamo risparmiati svariati tantrums da frustrazione generata dal non potersi esprimere (quelli di volizione invece ce li siamo fatti tutti….).
Inoltre, al di la’ del fornire strumenti di comunicazione accessibili presto, e quindi creare l’opportunita’ di sperimentare successo nel farsi capire che instaura un circolo virtuoso, noi abbiamo usato baby signing come ponte tra le due lingue. In questa casa OPOL, entrambi i genitori usavano lo stesso segno sempre con la stessa versione tradotta nelle due lingue della stessa parola. Cosi’, per esempio, malgrado in Inglese si possa usare sia biscuit che cookie a seconda dei casi, daddy usava sempre biscuit ed io sempre biscotto. Analogamente, malgrado in Italiano si possa dire sia “ancora” che “di piu'” per tradurre “more”, io usavo sempre “ancora” perche’ era l’accezione piu’ comune. Ovviamente per nomi comuni come cane e gatto e’ piu’ facile, ma anche li’ dovevamo stare attenti ad usare sempre cat/gatto e non distrarci con kitty, mog, micio, etc. !
Ci siamo comunque attenuti molto strettamente ad alcune regole, per altro simili a quelle che menzioni tu nel post: il segno non va mai fatto senza dire allo stesso tempo la parola, ci deve essere corrispondenza stretta tra un segno ed una parola/frase semplice, segnare ogni vota che si comunica, ma mai piu’ di due/tre segni per frase o si crea troppa cinfusione, quindi usare i segni per i concetti chiave di quello che si sta dicendo.
Un’enorme vantaggio dell’usare un sistema di segni codificato e’ stato che, molto presto, Newt individuo’ altri bambini segnanti nei vari contesti, e sporadicamente li usarono tra di loro! Ed anche, capi’ molto velocemente quali adulti recepivano i suoi segni e quali no, regolandosi di conseguenza con i suoi tentativi di espressione; forse mi illudo, ma ho l’impressione che quest’ultima e’ stata la base per cominciare a capire che lui aveva a disposizione due lingue, che funzionano entrambe con qualcuno, ma alle volta l’una e’ piu efficace dell’altra a seconda dell’interlocutore…
Bilingue Per Gioco says
Silvia,
vivi in USA vero? Il principio è lo stesso ma secondo me tra usare segni e gesti spontanei e imparare un nuovo linguaggio ce ne passa (dal punto di vista dei genitori), io in tutta sincerità non mi sarei messa ad imparare un linguaggio dei segni per usare dei gesti col mio bambino, a mio modesto e assolutamente improvvisato parere bastano i gesti che un genitore può fare spontaneamente. Detto questo, se vi siete trovati bene vuol dir che per voi è stata la scelta giusta, male sicuramente non fa. Su una cosa invece farei un’osservazione, sul fatto di usare sempre uno stesso termine e non i sinonimi, sempre a mio parere questa scelta limita l’esposizione linguistica del bambino, che invece dovrebbe essere sempre ampliata, offrendogli un linguaggio quanto più ricco possibile, sinonimi e espressioni equivalenti sono una ricchezza, non un limite.
Ciao,
L.
Ivonne says
Mi piace questo post, non vi è mai capitato all’estero che qualcuno vi domandasse se eravate italiani, pur parlando un’altra lingua? A me sì, e più di una volta mi è stato fatto notare che non era per l’accento o per lo zaino “Invicta”, ma per l’incredibile mimica che utilizzavo nel parlare! Mi ha fatto sempre sorridere quest’osservazione e a dire il vero è uno dei pochi motivi per cui ero contenta di essere riconosciuta come italiana (ovviamente odiavo i luoghi comuni “pizza&mafia). Con la mia piccola ho poi scoperto che la mimica può diventare parte integrante di un “linguaggio-coccola”, quindi penso che leggerò con interesse il libro che ci segnali. Grazie Letizia! 🙂
Bilingue Per Gioco says
Ivonne,
Io invece all’estero ho notato che per gesticolare gesticolano tutti, nel senso di muovere le mani, la differenza è che noi Italiani abbiamo un altro vocabolario, non muoviamo semplicemente le mani, parliamo con le mani, i gesti hanno un significato e a volte sostituiscono anche le parole.
Se leggi questo libro ci scrivi una recensione?
Grazie!
Letizia
Ivonne says
Ciao Letizia,
con mimica intendevo proprio quello che dici tu, la capacità di esprimersi senza parole, una sorta di vocabolario aggiuntivo (bella espressione!), e penso che effettivamente, per cultura, noi italiani abbiamo sviluppato questa capacità più di altre popolazioni. Ricordo serate divertenti passate con amici di altre nazioni in cui analizzavamo la nostra diversa mimica e si finiva sempre con la sottoscritta che provava a “spiegare” ed “insegnare” quella italiana, quante risate!
Per il libro, ti farò sapere. Ora sto leggendo Why Love Matters: mi piace ma forse mi aspettavo qualcosa di più “romantico”, è un po’ tecnico per i miei gusti. Vorrei invece segnalarti un libro, questa volta in italiano (almeno, io l’ho letto così): Un genitore quasi perfetto di Bruno Bettelheim.
Yael says
Grazie per questo post interessantissimo… ho sempre usato moltissimo i gesti con G e mi rendo conto che lo fa anche lui adesso… un po’ ricorrendo a quelli miei un po’ inventandoli da solo. Li uso anche per far capire a chi non capisce l’ebraico (cioè tutti) un po’ ciò che sto dicendo a G. Questo fa si che a volte, per dire cose in ebraico, mi accompagno con gesti italiani…. 🙂
alice says
http://www.desmond-morris.com/graphic/covers/bodytalk_med.jpg
un libro stupendo
Carmen S. says
Grazie ai vostri racconti, specialmente a quello di Silvia, ho capito che stavo pretendendo che mia figlia (2 anni) imparasse lo spagnolo solo grazie la scuola; ma sicuramente è più produttivo impararlo a casa, e non per questo dimenticare l’italiano. Comunque lei già comprende con chi deve parlare spagnolo e chi, invece, italiano…
C.