Scena di vita vissuta.
Quando: questa mattina. Dove: in spiaggia, rilassamento e pour parler dopo il bagno. Personaggi: A. (A.) e Mummy (M.)
A.: che colore è?
M.: which colour is this?
A.: yellow
M.: yes yellow
A.: e questo?
M.: and this?
A.: green
M.: yes green
A.: e questo che colore è?
M.: and which colour is this?
A.: which colour is this?
M.: it’s yellow again
A.: yellow again
A.: and purple again
M.: yes, and purple
A.: I love mummy Letizia
M.: I love you more
segue No me more, me more e gran finale di baci e abbracci sabbiosi e felici
Hmmmm…
Abbiamo parlato diverse volte del grande dilemma: “Cosa fare se il bambino ti parla nella lingua dominante e non nella lingua minoritaria?”
Come abbiamo evidenziato tempo fa uno studio di Elizabeth Lanza ha osservato che i genitori reagiscono a questa situazione tipicamente in uno di 5 modi possibili, ma nè questo studio nè altri studi successivi ci aiutano a scegliere uno tra questi modi, o una qualsiasi tecnica.
Quando ne parlammo tempo fa Marco Tamburelli mi convinse del fatto che far finta di non capire la lingua è una tecnica rischiosa, ovviamente per funzionare funziona, se in Italiano non riesco a comunicare con la mamma parlerò Inglese pur di farlo, però il rischio è che si inneschino altri meccanismi, perchè io lo so bene che la mamma capisce perfettamente l’Italiano, è solo con me che non lo vuole capire…
Ho deciso di non adottare la tecnica del “non ti capisco” pur sapendo che anche studiosi di bilinguismo adottano questa tecnica con i figli e pur essendo tentata, perchè a 3 anni e mezzo la tentazione è forte, diventa sempre più evidente il dislivello nel parlato tra lingua dominante (molto articolata e accurata) e lingua minoritaria (molto ma molto meno articolata e accurata).
Quindi la mia personale strategia rimane quella di ripetere in Inglese ciò che lui mi dice in Italiano.
Seguono alcune osservazioni assolutamente empiriche su questa strategia.
Difficile da mettere in atto SEMPRE. Ci provo, credo di essere al 70% (forse di più perchè tendo ad essere severa con me stassa nelle valutazioni), ma SEMPRE è dura, perchè inevitabilmente toglie fluidità alla conversazione e richiede presenza di spirito e concentrazione che non sempre una mamma che lavora ha a portata di mano.
Viene a volte rifiutata, sempre per il discorso che toglie fluidità alla conversazione. Quando ciò accade io tiro fuori l’asso nella manica, Daddy. How do you expect to be able to talk with daddy if you don’t speak english? Daddy non parla italiano. L’argomento funziona sempre, ma ovviamente si presta molto alla nostra situazione meno ad altre. Ogni tanto gli dico che anche Charlie and Lola parlano solo Inglese, anche questo fa un certo effetto, magari si può provare con cartoni, pupazzi, amici…
Funzionicchia. Nel senso che funziona abbastanza senza fare miracoli. Ciò che ho osservato applicando questa tecnica è che effettivamente per lui è più difficile formulare certe cose in Inglese che in Italiano, non è solo che non vuole, ma fa più fatica. Però, se io la adotto con una certa regolarità A. comincia ad usare l’Inglese spontanemente più spesso, mai con la stessa fluidità dell’Italiano ma comunque di più e meglio, e anche senza che sia io a chiederglielo.
Ora la domanda è, perchè c’è una domanda…
E’ sufficiente che ripeta la frase in Inglese? A. a volte la ri-ripete in Inglese come l’ho formulata io altre volte va avanti con la conversazione, magari dandosi la risposta (vedi sopra). Oppure dovrei esigere che la ripeta sempre?
Oppure come fa Tamara nel post che ha scritto per il Blogging Carnival on Bilingualism dovrei pretendere che mi chieda sempre le cose in Inglese? Non perchè non lo capisco (come dicevo è una tecnica che ho deciso di non adottare) ma perchè questa è/deve essere/potrebbe essere la “regola” tra di noi?
Non lo so, e accolgo con piacere opinioni. It goes without saying che la lingua è importante per me, ma non più di una buona e affettuosa comunicazione con mio figlio, e le mie perplessità derivano ovviamente dal fatto di non voler sacrificare la relazione sull’altare del bilinguismo.
Come dico sempre a chi me lo chiede, mio figlio non è perfettamente bilingue, è normalmente bilingue, and that’s good enough for me. Certo se si può migliorare lo facciamo…
Immagine di 50Watts
Sara says
Anche io ho lo stesso “problema”. Le mie bimbe capiscono tutto, proprio tutto quello che dico in inglese ma mi rispondono in italiano. Alcune parole le hanno imparate solo in inglese (per esempio dicono “daddy” e non “papà”) e quelle rimangono, e sono sempre e solo dette appunto in inglese. E’ sicuramente un pò sconfortante, nel senso che mi faccio un mazzo tanto per fargli imparare una seconda lingua da subito e qst è il risultato. E poi insomma, I really have to make the effort…ultimamente lo ammetto non sono così brava nel parlare sempre e solo inglese, ma cerco di sforzarmi e farlo lo stesso. (A me x esempio non piace farlo quando ci sono anche bambini che non capiscono, ma non perchè mi vergogno, ma perchè non mi sembra educato non fare capire anche a loro quello che dico).
Obbligarle a parlare in inglese non mi piace, non piace l’idea che debba essere un obbligo, cmq i libri, le nursery rhymes, i cartoni, i film non li guardano in italiano, quindi è già qualcosa. (anzi se mi accorgo e a metà cambio lingua, non dicono nulla, non si accorgono della differenza…which is good, right?).
Mi sono accontenta della loro “passività”, orgogliosa del fatto che capiscano quello che dico, però che soddisfazione quando qualcosa in + di una parola sola salta fuori!!!!
Emanuele says
Furbi i bimbi! secondo me se non c’e’ un contesto al 100% nella lingua straniera (che so, una famiglia intera di amici che la parla), perche’ mai i bambini dovrebbero sentirsi di dover parlarla?
In fondo vogliono esprimersi, ed esprimersi efficacemente.
Meno male che ci sono i nonni su Skype.
Ho paura che quando il nostro Marcello iniziera’ la scuola, sara’ poi ancora piu’ difficile farlo parlare in italiano. La cosa divertente e’ pero’ che lui sta cercando di insegnare qualche parola italiana alle maestre e ai compagni d’asilo! ce lo dicono loro stesse e le mamme.
Con la seconda siamo ancora agli inizi. A volte pero’ lei invece di papa’ mi chiama daddy, forse perche’ se lo sente piu’ suo, come modo.
alice says
la mia ultima invenzione per farmi rispondere in inglese: “Pietro amore we need to speak English so the little one in mummy’s belly can start to learn” e pare che stia funzionando…
Mammadesign says
La mia situazione e’ rovesciata: vivo a Londra, quindi la piccola alla nursery parla ed ascolta tutto il giorno l’inglese. In famiglia, invece parliamo italiano. In questo periodo mia figlia mi parla mischiando ancora l’italiano e l’inglese, prende le parole dove le trova. Io insisto sempre a tradurre le sue frasi in italiano, ma lei mi dice imperterrita: Fofia dice it’s my turn! (esempio) E non lo ripete in italiano, come invece vorrei che imparasse. Cosa devo fare? Lasciarla evolvere a modo suo? Magari e’ un periodo in cui l’inglese si sta sviluppando di piu’, infatti poco tempo fa era il contrario….. Oppure insistere nel pretendere che lei con me parli italiano?
Davide says
io ho gli “stessissimi” problemi.
Sono italiano e Veneto (non a caso lo sottolineo in quanto dalle mie parti il dialetto é molto usato in famiglia e quindi mio figlio é sottoposto più all’italiano e al veneto che non all’inglese visto che l’unica persona al momento in grado di comunicare con Niky sono io) ho vissuto per un certo periodo negli States e sto facendo ogni sforzo a “tirar su mio figlio” bilingue. Ma lui risponde quasi sempre in Italiano. E’ frustrante davvero. Sono molto severo con me stesso ed io parlo solo in inglese con lui e anch’io molto spesso ripeto le sue frasi in inglese.
Io sono certo che comunque sta immagazzinando titto. E’ sicuro e spero che un giorno mi ringrazierà per l’enorme sforzo che sto facendo.
Io non ho paura di ammettere che a volte mi vergogno davvero a parlargli in inglese in pubblico perché mi sembra di essere giudicato come quello che vuole creare un superfiglio. Il che non é. Voglio solo che mio figlio sia in grado di parlare almeno un’altra lingua. Punto.
Leggendovi mi faccio ancora più forza e aspetto il giorno in cui potrò finalmente spedire mio figlio in vacanza all’estero e verifcare se il mio sforzo sarà premiato.
Lorenzo says
Ciao Davide,
Sono veneto anch’io, di Montagnana, e condivido le tue parole.
Io invece ho iniziato a parlare inglese a mia figlia da quando era nel pancione. Sia io che mia moglie siamo laureati in lingue, io viaggio per lavoro all’estero e mia moglie insegna inglese, praticamente io parlo quasi più spesso inglese (e altre lingue) che italiano, e con la piccola almeno 2 ore al giorno + un pò di tv satellitare in originale. Lei era scettica all’inizio ma io ho tenuto duro e, apprendendo io stesso un lessico nuovo quale quello necessario per parlare a una poppante, ho sempre e solo (ripeto SEMPRE) parlatole in inglese. Adesso ha 5 anni e mezzo e da pochi giorni ha iniziato a farsi delle mezz’ore a parlare in inglese con termini appropriati, strutture corrette (l’altro giorno mi ha detto, in the hotel you do not have the key, you have a card and you flip it into the door…) che ci ha fatto sbalordire!
Inoltre capisce quasi tutto dei film, cartoni e canzoni alla radio. Siamo felicissimi e a maggior ragione passeremo più spesso le vacanze in UK (lo scorso anno in Cornovaglia, fra poco in Scozia) e credo che quest’anno Lisa interagià ancora di più…
Coraggio, è un’avventura bellissima!
Gianna says
Vivo in Italia. Papà inglese. I figli (oggi 7 e 4 anni) hanno sempre frequentato la scuola pubblica italiana. Io parlo con loro solo in italiano, pur conoscendo l’inglese. In casa pero’ hanno guardato solo Tv inglese. E il papà tutte le sere gli leggeva la storia in inglese. Dall’età dei 3 anni hanno iniziato a frequentare una scuola inglese, dalle 14 alle 16. Il primo anno una volta a settimana. Dal secondo anno due volte. Vanno in Inghilterra solo a Natale e una volta in Estate. Oggi il grande è fluente in inglese, assolutamente bilingue. Anche il secondo ha inizato. Per me: ognuno deve parlare con la lingua del cuore, poii integrare con una realtà inglese, anche per poco tempo a settiman, inc ui il bambino si diverta e giochi soprattutto (fondamentale l’affetto e il legame con questa scuola inglese). Tra l’altro avevo visto un suggerimento in tal merito proprio su questo sito un paio di anni fa. Nel caso possiate permettervelo economicamente, affiancate una tata inglese. Io non ho potuto, ma i risultati sono arrivati, anche se con piu’ fatica da parte mia per far fare il cambio scuola ai due bambini durante la settimana.
raffaela says
E’ normalissimo che succeda cosi. Ho alcune amiche inglesi ed i bimbi rispondevano sempre in Italiano al loro parlare inglese una e svedese l’altra (vivevano in Italia). Poi entrambi sono andate in vacanza nel loro paese Natale e dopo solo 2-3 giorni i bambini hanno cominciato quasi magicamente a parlare la seconda lingua. Noi ne abbiamo desunto che il parlare ‘solo’ in casa la seconda lingua forse non e’ sufficente a far scattare quel qualchecosa che li fa parlare nella nuova lingua. L’essere stati tra persone che paralano inglese e svadese li ha fatto capire che sono lingue vive e non solo da ‘famiglia’. Sembra anche applicarsi a cio’ che dice Mammadesign… che ne pensate????
Mammadesign says
Si, penso che Raffaella abbia ragione. Infatti Sofia, dopo le vacanze in Italia, in genere parla molto di piu’ l’italiano che l’inglese…. Solo che tornata qui ripiomba nell’uso dell’inglese e a me dispiace un po’….. Non vorrei essere una di quelle mamme che parlano italiano con la propria figlia e quella le risponde in inglese! E’ orribile! Se sara’ cosi’ ad un certo punto faro’ finta di non capire anche io…..
Silvia says
Vedo che siamo in tante “sulla stessa barca”. Non che questo mi consoli… Non mi sento neanche disperata, a dire la verità. E’ solo un pochino frustrante, perchè anch’io vorrei che i miei figli mi rispondessero in inglese anzichè in italiano. Adesso sto prendendo le cose con un po’ più di filosofia, ma devo ammettere che vado a periodi… La tranquillità di questo particolare momento è data dal fatto che mio figlio più grande (7 anni) ha appena terminato un summer college, organizzato dalla sua scuola, full immersion in inglese per due settimane (solo la mattina). Ovviamente con i docenti (English native speakers) parlava abbastanza fluentemente, ma appena mummy compariva sulla scena… let’s switch back to Italian :-(( Vorrei al più presto portarmi una ragazza alla pari in casa, appena avrò il posto per farlo!
Ciao a tutti.
Silvia
Carolina says
Il caso mio è diverso dal tuo, perché io con i miei figli parlo la mia madrelingua e quindi posso giocarmi la carta “è la lingua del mio cuore”. Quando la bimba si rivolge a me in italiano (sempre di meno) io le dico sempre con un sorrisone: “e come si dice in spagnolo?” e lei lo ripete, ma se vedo che fa fatica oppure che si confonde, etc allora glielo ripeto io in spagnolo, come fai tu. Non ho mai adottato la tecnica del “non ti capisco”, mi sembra di prendere in giro il bambino, che è piccolo mica scemo, dal momento che mi sente parlare in italiano tutti i giorni, anche con il papà, è soprattutto è dirle una bugia, cosa che trovo diseducativa. Io le ho spiegato che lo spagnolo è la lingua che io parlo con le persone che amo di più, con la mia mamma, il mio papà, il suo papà, e ovviamente lei e il fratellino che ancora parla poco, e per questo lei mi rende molto felice se mi parla nella mia lingua. Le ho detto che le parole spagnole sono come i suoi abbracci e baci per me, e devo dire che essendo una bimba molto affettuosa non ha mai provato rifiuto verso questa “tecnica”, anzi tutto il contrario: redarguisce il papà quando si rivolge a me in italiano! “¡Papi, a mami hay que hablarle solo en español!”
Secondo me la chiave è, come sempre, nei sentimenti e far capire ai bambini che non sono tenuti a parlare nella lingua che vogliamo noi, ma che se lo fanno ci riscaldano il cuore come quando ci baciano e abbracciano. Per dimostrare amore e affetto loro sono più che disposti a fare qualche fatica in più. Almeno questa è la mia esperienza.
A. says
Anche io, italiana emigrata in Uk, come Carolina posso permettermi il lusso di chiedere a mio figlio (3enne) di parlare in italiano con me “perché la mamma è italiana”; anche lui ha capito che parlo la lingua maggioritaria e ha tentato di usarla anche con me invece dell’italiano. Sicuramente sarebbe stato più difficile se la situazione fosse rovesciata.
Le ultime frasi di Carolina mi hanno toccato, sono molto profonde.
Mi diceva un’amica, messicana, che le sue amiche emigrate qui vivono lo stesso problema, e addirittura al playgroup in lingua spagnola i bambini tendono a parlare tra di loro non in spagnolo ma in inglese (la lingua maggioritaria). Mal comune, mezzo gaudio? Io direi… coraggio!
Letizia, tu stai facendo quello che puoi, continua così (visto che sembri una che non si scoraggia facilmente). Quando sarà grande ti ringrazierà per i tuoi sforzi,perché tutti i tuoi sforzi daranno sicuramente risultati, anche se adesso non si rende conto del perché non gli parli anche tu in italiano come tutti (o quasi) intorno a voi… E così faranno anche gli altri figli di tante mamme (e papà) che leggono questo blog e che stanno facendo del loro meglio per crescerli cittadini del mondo. Ancora, coraggio (and carry on)!
Giovanna says
Più vado avanti e più mi convinco che non si tratti tanto di tecniche usate sul momento, quanto piuttosto di cio’ che c’è dietro. Mi spiego meglio. La motivazione sta alla base di tutto quello che facciamo e quindi anche l’uso di una lingua deve avere una motivazione. Più è forte più il bambino è stimolato a migliorare. Almeno questa è lamia esperienza. Quindi, al di là delle tecniche più o meno efficaci, personalmente sto cercando di puntare sulla motivazione dei miei figli: dalla semplice gara di grammatica alle atività più svariate che li divertano e facciano associare la lingua minoritaria a sensazioni piacevoli. Tutto puo’ funzionare, l’importante è che si tratti di attività che facciano con piacere e che non solo li stimolino a parlare la lingua, ma li motivino. Insomma devono vedere che quella lingua è importante, in qualche modo prestigiosa e soprattutto utile ai loro scopi. E’ un lavoro a lungo termine!
Bilingue Per Gioco says
Wow, quanti bei commenti!
Vorrei solo dire una cosa, cancelliamo la parola frustrazione, quest’esperienza va vissuta solo con atteggiamenti positivi, se no comunichiamo la frustrazione anche ai bambini.
Se ce la faccio io, ce la potete fare tutti voi.
Pensateci un attimo, ho deciso di crescere mio figlio blingue a Verona (!) pur non essendo io madrelingua, ho creato un blog al quale ho dedicato notti e giornate, per il quale mi sono creata skill che mai avrei pensato di dover apprendere e per il quale in ultimo ho lasciato un ottimo lavoro per un salto nel buio. Dopo tutto questo investimento mio figlio non mi parla sempre in Inglese, ma io non sento la minima frustrazione, va benissimo così e so che comunque sto facendo per lui (e per me) la cosa migliore che potrei fare.
Think positive and be happy. E soprattutto have fun e godetevi i vostri bambini.
A questo proposito vi racconto l’ultima di oggi…
A. scimmiottando il ragazzo che vende cocco e mandorle in spiaggia (e convinto di farlo bene), va in giro gridando:
COCCOLE, MANDORLE, UN EURO! COCCOLE, MANDORLE, UN EURO!
Je l’adore!
L.
Arianna says
Siamo in tanti nella stessa situazione vedo =) La cosa è consolante e ci da la forza di non demoralizzarci, per un motivo principale: l’atteggiamento dei nostri figli è una normale tappa che li porterà un giorno al bilinguismo o comunque a raggiungere una certa familiarità con la seconda lingua. Un’amica inglese, insegnante di inglese e mamma di 4 figli bilingui, ognuno con il proprio percorso (una si è sempre rifiutata di parlare inglese, per esempio, nonostante la madre) mi dice sempre: i risultati, quelli veri, quelli che sogni e che immagini tu, li vedrai tra 10 anni. Della serie: calma ragazza =)
Io quello che faccio è dire a mio figlio: con mamma parli inglese e con daddy italiano. Lui lo sa che io capisco l’italiano e non ci penso nemmeno a far finta di non capire (anche perché per essere coerente e non prenderlo in giro dovrei far finta di non capire l’italiano sempre!), ma sto cercando di fargli capire che c’è questa distinzione nel linguaggio che lui deve fare. Una sorta di doppio codice =) Visto che abbiamo in cantiere un altro bimbo con cui vorrò cominciare a parlare inglese si da subito, chissà che anche il primo non sia fortemente stimolato =)
Iu says
Sono la mamma di un bambino ” euroasiatico” che parla solo l’italiano, per precisa scelta del padree condivisa da me .
Noi genitori abbiamo imparato a comunicare in inglese perchè abbiamo svolto parte dei nostri i studi universitari all’estero. Ci siamo trovati nella situazione di dover “comunicare”, il passo successivo è stato vivere la lingua, conoscere il Paese che ci ospitava e usare le parole per il significato che esse rappresentavano per noi, ma soprattutto per chi ci stava intorno. Gli incroci non ritengono siano tanto di lingue quanto di culture.
Ci siamo chiesti se fosse il caso di parlare in inglese o la lingua di suo padre con nostro figlio, abbiamo deciso di no, abbiamo optato per la lingua e la cultura del posto in cui sarebbe vissuto.
Nella nostra famiglia la multiculturalità si respira, ma un bambino ha bisogno di certezze di sapere che viene capito e che lo siano i suoi sentimenti. Mi sono chiesta spesso se mi sarei comportata diversamente se mio figlio fosse cresciuto all’estero, forse sì, probabilmente io avrei dovuto fare lo sforzo maggiore nell’adattarmi, probabilmente gli avrei parlato in italiano, ma come faccio adesso: da mamma a figlio usando quel canale di comunicazione fatto anche di sguardi, coccole comuni ad ogni genitore che non deve essere per forza capito dagli altri.
Non nego la possibilità a mio figlio di poter comunicare un giorno con il mondo intero, vorrei che si innamorasse del mondo come di una persona, che senta il desiderio non solo di sapere cosa dire ma anche come dirlo e non solo riguardo alle cose ma soprattutto ai sentimenti.
Penso che il migliore stimolo non sia bombardare un bambino di nozioni ma creargli la curiosità. Mi guardo intorno e vedo una moltitudine di bambini svegli e interessati, vedo genitori che hanno creato ponti tra culture attraversando continenti, ma vedo che i loro figli hanno in comune il loro presente, il loro essere qui e adesso perchè non dargli la possibilità di viverlo come meglio credonoo senza pensare pensare se parleranno inglese (o forse pidgin) tra 10 anni? Quando guardo al futuro di mio figlio penso a chi incontrerà, probabilmente saranno persone come lui che delle vere proprie radici in un posto solo non le hanno … forse il mio compito è quello di dargli un posto dove metterle, poi le ali gli cresceranno e a volare ne sentirà lui il bisogno e lo farà come lo hanno fatto tutti
Ivonne says
Ciao a tutti,
per prima cosa vorrei dire a Letizia che la risposta alle tue domande ce l’hai sempre sotto il naso: BpG e A. Uno perchè ti sei lanciata in un’avventura che non conoscevi e ancora non sai/sappiamo dove ci porterà ma è tutto un gioco fantastico; due perchè qualsiasi lingua utilizzi A., egli sa ricambiare il tuo amore per lui. Fine, o meglio, happy end. Tu per prima dici sempre che ogni binomio genitore-bambino è diverso e quindi ogni percorso può diversificarsi in qualsiasi momento e non sempre una strategia funziona per tutti, lo hai sperimentato tu stessa. I ns Piccoli sono svegli ma non scemi, sanno benissimo che li capiamo in un modo o nell’altro. A volte mi chiedo se loro stessi non stiano “giocando al bilinguismo” con noi, e quando dici che A. si domanda e risponde da solo mi sembra proprio lo stia facendo. Come dice Gianna, l’importante è parlare con la lingua del cuore, io direi semplicemente che l’importante è parlare con il cuore.
Inoltre penso che così come loro crescono e cambiano sotto i ns occhi, così cresce e cambia il nostro approccio al bilinguismo: oggi può valere una regola (ripeto la tua domanda in Eng), domani potrebbe valere un’altra regola (lascio correre o esigo la domanda in Eng). Tu stessa dici che ci sono momenti in cui il contesto è più importante della lingua, tutto sta nel rispettare le loro esigenze, a volte può essere più importante un bacio di un kiss, o il contrario. E poi ci sono alcune cose che noi stessi ci sentiamo più portati a dire/esprimere in una lingua o nell’altra, e tu lo sai bene, potrebbe valere la stessa cosa anche per A.
Elisa è più piccola, mescola italiano e inglese, a volte mi parla ita, a volte eng, a volte parla da sola in ita a volte in eng (anche nel sonno…). Vi dico questa: un paio di giorni fa eravamo in cucina e la nonna ha acceso la musica in camera. Elisa mi ha detto qualcosa in italiano che VI GIURO non ho capito. Aveva a che fare con dei “signori” ma non ho veramente capito cosa fosse. Le ho chiesto in eng di ripetere e lei me l’ha ridetto in italiano. Le ho detto: “Sorry Honey, mummy can’t understand what you’re saying” e lei “they are singing!” – cantano i signori – AAAAH, ecco!!!
Sempre qualche pomeriggio fa, in spiaggia, mi chiede “tina, tina” e io non ho idea di cosa sia. Lei insiste, e alla fine mi dice “spade!” – palettina (solo che in famiglia la chiamiamo paletta, è l’amichetta di ombrellone che la chiama palettina…) – insomma, saranno anche “nati ieri” ma sanno già di essere più svegli di noi!!!
Buon mare!
Arianna says
Iu credo che l’importante, come in tutte le cose, sia non esagerare. E’ proprio perché i risultati di un percorso bilingue sono a lunghissimo termine che preoccuparsi è sbagliato. Ma aiutare i nostri figli ad imparare con il gioco una lingua che il percorso scolastico e la società costringeranno ad imparare dopo (perché è questo il punto. Le lingue sono tutte porte per il mondo, ma l’inglese, che piaccia o meno, è un obbligo a livello scolastico per tutti gli indirizzi e un elemento per entrare nel mondo del lavoro, per quel poco che è rimasto, sempre più importante. Fra non molto tempo diventerà fondamentale saperlo per affrontare qualunque colloquio). Educarli al meglio, farli vivere nel presente, nella tranquillità e nell’amore è il primo punto, ma questo non esclude che si possa giocare in una lingua che sarà la norma quando loro saranno grandi. Quanta fatica risparmiata! La loro fatica, non la nostra. Essere genitori è anche questo no? Giocare e regalare quanti più strumenti possibili per fare in modo che i nostri figli possano camminare al meglio con le loro gambe. Ognuno fa quello che può, ma un elemento non esclude gli altri. L’inglese tutti dovranno affrontarlo prima o poi. Chi lo fa prima lo fa giocando, chi lo fa dopo quasi mai…
Manuela says
Primo post, forse non nel posto giusto ma ci provo …ho un dubbio : ho due figli di 3 e 5 anni. Sono italiana, marito inglese + tata magrelingua: il grande è bilingue (dsitingue chiaramente le due lingue, traduce quando serve parla correttamente entrambe le lingue anche se conuna maggior competenza l’italiano), al piccola lo sta diventando (capisce tutto e se proprio deve parla anche inglese). Vorrei cogliere occasione dell’ultimo anno di asilo (di tutto relax) per inziare il grande al cinese (una volta alla settimana). e troppo secondo voi? qualcuno ci ha già provato? non vorrei creargli confusione…Grazie!
Arianna says
Ciao Manuela,
non so quanto il mio punto di vista possa esserti utile, visto che io ho studiato giapponese per molti anni, ma da grande, ma ci provo lo stesso =) Le lingue orientali (e le culture orientali) sono un mondo molto diverso dal nostro. Affascinante, stimolante al massimo, ma diverso. Io ho cominciato lo studio del giapponese per passione a 17 anni e l’ho portato avanti per molti anni, studiando anche in Giappone per un periodo. La grammatica è molto semplice, rispetto alla nostra (forse anche quella cinese), ma le parole e il modo di scriverle sono, ovviamente, completamente diverse.
Io credo che inserire nuovi stimoli in cinese con il gioco non possa fargli male. Il grande distingue bene le due lingue che già sa quindi non credo che ci sia il rischio che confonda il cinese con l’italiano o con l’inglese. Certo credo che il processo di apprendimento della scrittura e lettura cinese dovranno arrivare dopo quello dell’italiano e dell’inglese (o almeno io farei così), ma se dovesse avere la passione prima o poi sarà lui a chiederti di affrontare anche quell’aspetto.
In bocca al lupo!