Mi piace questa lettera, che in soldoni dice Letizia leggo tutto quello che scrivi, ma faccio come pare a me!
Cara Letizia,
Grazie ancora per la montagna di consigli, gli spunti di riflessione e l’entusiasmo del tuo progetto.
Volevo condividere con te un pensiero che nasce dalla mia esperienza di mamma non madrelingua che comunica, ragiona, rimprovera, loda e gioca con i suoi figli in inglese.
Guardandomi dentro non penso di fare quello che faccio – un’esperienza faticosa ma molto arricchente – perché mio figlio impari l’inglese. La strada che ho intrapreso – e che non so ne’ come si svilupperà ne’ dove mi condurra’ – fa parte sicuramente di un progetto educativo piu’ grande, cioe’ quello di formare un cittadino del mondo, un individuo senza frontiere mentali, aperto e curioso della diversita’ (un classico leghista insomma… 😉
Ma c’e’ di piu’: c’e’ innanzitutto a monte una mia passione per l’estero e poi tanto amore, ascolto e impegno. Ci siamo io e lui, con le nostre specificita’ e con le specificita’ del nostro rapporto. C’e’ insomma una componente emotiva fortissima.
Di qui la mia difficolta’ quando vedo che tu, giustamente per altro, cerchi di proporre un metodo, di ragionare su quante ore al giorno possiamo parlare in inglese ai nostri figli per poter definire degli obiettivi coerenti etc. Ho qualche resistenza anche a leggere il tuo eBook nonostante io legga avidamente tutti i tuoi post e ti debba davvero molto. Forse quello che voglio dire e’ che per intraprendere una strada come questa per un non madrelingua ci vuole un livello di motivazione altissimo che trascende il mero obiettivo dell’apprendimento della lingua soprattutto se, per esempio, si sceglie di non mandare i figli a una scuola inglese o internazionale.
Io ogni giorno mi domando cosa ne sara’ del mio progetto e quando verra’ il momento che andra’ tutto in malora perche’ io non ce la faro’ più o perche’ mio figlio non ne vorra’ più sapere…
Grazie per questa occasione di condivisione. Forse ti sembrera’ inverosimile ma sei davvero un punto di riferimento!
Maria Pia
P.S. Ci siamo conosciute al tuo penultimo incontro Noi le lingue le viviamo a Milano
Maria Pia,
mi fai venire in mente un’altra mamma, anche lei di Milano, Ivonne, che mi scrisse per dirmi Cosa faccio, parlo Inglese ai miei figli o no? Io le dissi lascia stare, vedete qui, e lei mi rispose (in privato), non avertene a male ma non seguirò il tuo consiglio. E io le risposi, BRAVA, fai bene, solo tu conosci te stessa e la tua famiglia e solo tu puoi decidere per te e i tuoi bambini. Oggi la bimba più grande di questa mamma parla Inglese e Ivonne è sempre più appassionata al progetto, e anche lei è venuta agli incontri Noi le lingue le viviamo.
Questo per dire cosa. Certo anche per me la lingua è molto di più che un’opportunità, è un elemento all’interno di un progetto di vita e educativo di apertura al mondo, di curiosità, di pensiero critico. Anche per me la passione è strabordante, e sono felicissima di incontrare altri genitori con passione strabordante, genitori che ne sono certa stanno crescendo persone in grado di pensare con la propria testa e di cambiare il mondo, magari nel loro piccolo, forse anche in ambiti più ampi, perchè non dimentichiamo mai che i frugoletti che coccoliamo oggi sono gli uomini e le donne di domani, saranno le persone che con il proprio agire, le proprie scelte e il proprio esempio contribuiranno a formare la società di domani.
Detto questo, a mio parere è anche doveroso accettare che ognuno ha esperienze di vita diverse e arriva ad un percorso di questo genere con motivazioni e strumenti diversi. Alcuni hanno vissuto molto all’estero, parlano molto bene la lingua e vogliono comunicare ai figli una visione del mondo e di sè stessi. Altri hanno il rimpianto di non aver potuto vivere all’estero, di non parlare bene la lingua, e comunque vogliono dare ai figli gli strumenti per accedere ad una visione del mondo diversa, comunque comunicano una visione di sè stessi diversa, più aperta e curiosa. Per me ogni bambino che cresce con una finestra aperta sul mondo è un bambino con una chance in più, non dal punto di vista lavorativo (o non solo) ma dal punto di vista proprio formativo. Ci tengo ad aiutare TUTTI a trovare gli strumenti adatti a sè, alla propria portata, e nel fare questo ho l’obbligo morale di fare attenzione a due cose:
– non creare aspettative eccessive
– non spingere le persone indecise a fare il passo più lungo della gamba e prendere decisioni di cui potrebbero pentirsi
Quindi io continuerò ad andarci cauta, a ripetere a tutti che ognuno deve trovare il proprio approccio, che non ci sono formule, che non occorre strafare se no si rischia di danneggiare la relazione con il proprio bambino, che ci vuole una certa coerenza se no si fa confusione e basta. Voi continuate pure ad ignorare i miei consigli se (ripeto SE) avete l’intima e profonda convinzione di sapere che state facendo la cosa giusta per voi e i vostri bambini.
Bilingue per Gioco è soprattutto un luogo di incontro e confronto, non un ricettario, se ogni famiglia troverà il modo di individuare gli strumenti più adatti alla propria realtà io avrò raggiunto un grande risultato. E nel frattempo, devo essere sincera, mi sarò sentita meno sola, perchè i lettori di Bilingue per Gioco, genitori e figli, sono l’Italia in cui voglio credere.
Letizia
Libro consigliato, immagine grande: The amazing popup geography book, amazon.co.uk ossia The amazing popup geography book su amazon.it.. Prima si intitolava The Wonderful World Book, chissà perchè hanno cambiato titolo, comunque è esattamente lo stesso libro…
Marika says
E’ proprio per questi motivi che BPG è un punto di riferimento!
Non crea “adepti”, ma apre strade,
ognuno segue la propria e ci si strizza l’occhio solidarmente
Questo post mi ha riportato ai “nostri inizi”: ho sempre parlucchiato francese a Gregorio ma con scarsa convinzione a causa di una imperante disinformazione popolana (dei luoghi in cui viviamo);
leggere le tue condivisioni è stato un sprone verso il : “ehi, segui il tuo istinto, forza!”
Per noi la lingua straniera dominante è il francese
ma abbiamo anche libri e spunti in inglese
diciamolo, le lingue, i loro suoni e lo svelamento del mistero del non-detto propria del bagaglio di ognuna di esse, sono così gioiosamente interessanti e appaganti!
Maria Pia says
Gasp, non pensavo mi pubblicassi (e per giunta senza un filo di editing). Grazie di questa risposta come sempre cosi’ equilibrata e di questo scambio. E’ proprio incoraggiante trovare persone “che parlano la tua stessa lingua” e che affrontano il progetto educativo senza dogmi o fanatismi (piuttosto in auge quando si tratta dell’apprendimento delle lingue in questa società che chiede a noi e ai nostri figli di essere sempre più “performanti”) partendo, viceversa, dall’ascolto di se stessi e, soprattutto, dei nostri figli.
Silvia says
Cara Maria Pia,
devo ammettere che hai dato voce ai miei piensieri. La tua lettera mi ha molto colpito, in particolare quando parli di “passione per l’estero” e “progetto educativo”. Condivido con te la passione per l’estero, per le lingue (ed in particolare per l’inglese) ed ogni volta che mi è capitato di spiegare perchè parlo inglese con i miei figli ho sempre usato la parola “progetto”, e credo fermamente che sia un progetto educativo che vada al di là del “semplice” apprendimento di una lingua. La mia carriera universitaria e le mie esperienze sul lavoro mi hanno portato a credere che nel mondo c’è tanto da vedere e da scoprire… ed è proprio questo il messaggio che voglio trasmettere ai miei figli, e cioè che il mondo è grande, che ci sono tante cose e persone diverse… in poche parole vorrei crescerli pronti a cogliere qualsiasi opportunità si presenti loro. Molti dei miei conoscenti credono che parlo inglese con loro perchè devono essere “più bravi”… ma più bravi di chi??? Peccato che non capiscano, ma per fortuna ognuno fa ciò che vuole a casa propria!
Ciao.
Silvia
Maria Pia says
Cara Silvia, grazie della tua condivisione. Fa sentire meno sole e meno “folli”. Grazie soprattutto a Letizia che ci ha dato l’opportunita’ di questa condivisione sulle ragioni profonde della nostra scelta.
Sara’ la “generazione Erasmus” che fa figli, ma io ai giardinetti milanesi ho gia’ “beccato” due genitori non madrelingua che parlavano rispettivamente inglese (una madre con fare circospetto) e francese (un padre disinvolto dal frequente intercalare italiano “ok?” di cui anche io abuso) ai propri pargoli. Piccoli semi per una futura generazione con meno frontiere mentali? Chissa’. Intanto noi ci proviamo, con qualche convinzione e tanto amore. Che poi e’ l’essenza dell’essere genitori, quando si ha a cuore l’esserlo.
fiorelena says
cara maria pia, anche io adesso mi sento meno sola, ora che condivido con voi gli stessi ed identici dubbi come pure lo stesso progetto di vita…perchè effettivamente si parte con un progetto che poi diventa un vero e proprio “stile di vita”. Sebbene tu possa pensare ogni giorno della tua vita che il tuo progetto è estremamente faticoso e che prima o poi finirà la tua forte motivazione, ti assicuro che raccoglierai i frutti del tuo lavoro nell’esatto momento in cui avrai voglia di mollare tutto, la tua gioia sarà talmente grande da donarti nuova energia per andare avanti e in quel preciso momento capirai che hai fatto la scelta giusta e che la vita con i tuoi figli non poteva essere diversa da come è. Questo è ciò che succede a me! E poi penso che se siamo così motivate nel portare avanti un progetto che io considero “ambizioso”, siamo altrettanto forti da non lasciarci tentare da una “vita linguistica”, e conseguentemente “educativa” , più semplice. Pertanto prosegui insieme a tutti noi che seguiamo Letizia in questa stimolante avventura!
Sara says
Ciao a tutte! Sono Sara e ho scoperto da pochissimo questo meraviglioso blog. Io sono madrelingua italiana, sono laureata in lingue e insegno inglese, che è da sempre la mia grande passione. Quando mia figlia ha compiuto circa un anno ho iniziato a parlarle in inglese e ad oggi che ha 18 mesi continuo a farlo. Tuttavia, anche se mi sento molto naturale nel farlo, ho sempre avuto paura di causarle dei “danni” (sono circondata da parenti che non sono molto contenti di questa mia scelta, se non mia madre che mi ha sempre supportata e mio marito). Ad oggi mia figlia capisce quando le parlo, se le chiedo “open the door please” o se le dico “slow down”, insomma capita spesso che mi renda conto che capisce e mi sembra anche più reattiva in inglese che in italiano. I miei dubbi però sono:
-è giusto aver abbandonato l’italiano? Io sento più mio l’inglese paradossalmente e infondo l’italiano lo può imparare da tante altre persone a lei vicine, come il papà
-quando sono con i nonni, che non capiscono in inglese, che lingua dovrei parlare?
-la bambina parlerà molto più tardi?
-mi è stato detto che crescendo la bambina il potrei avere problemi, magari non sapendo una parola inglese, perché in fondo non essendo la mia lingua ci saranno sempre delle mancanze. Come affrontare questo problema? Grazie a tutti!