L’autrice di questo post è Carolina, che inaugura e cura la rubrica Itañoles.
Lo spagnolo è facile. Tanto basta mettere la –s a fine parola.
Vabbeh, ma essendo italiano lo spagnolo è una passeggiata.
Ma in fin dei conti italiani e spagnoli ci capiamo. Basta che parliamo piano.
Quante volte avrò sentito, nei miei dieci anni a Roma, queste affermazioni. Da italiani e da spagnoli, sia ben inteso. E quante volte, nella mia esperienza lavorativa e accademica, ho assistito al disastro totale. Conversazioni di questo tipo fanno parte della mia quotidianità:
Candidato agli esami: Ho vissuto per un anno a Madrid dove ho fatto l’erasmus. Ora vorrei presentarmi all’esame per il conseguimento del livello C2*.
Docente: Ma lei ha seguito qualche corso di lingua? Ha studiato per conto suo? Conosce bene l’ortografia, la grammatica…?
Candidato: Non ho mai avuto problemi per capire e farmi capire.
Docente: …
Perché il fatto che spagnolo e italiano siano due lingue vicine (neolatine) non significa che sia più facile impararle bene. Certo, non negherò che, per quanto riguarda l’apprendimento dello spagnolo, l’italiano sia più agevolato rispetto al, mettiamo, norvegese. E viceversa. Agevolato non significa però che non debba impegnarsi. E pure parecchio. Altrimenti sapete qual è il rischio, vero?
Ebbene sì: l’itagnolo. Ogni volta che qualche studente mi chiede un consiglio su come cominciare a studiare lo spagnolo, le mie prime parole sono: non dare nulla per scontato. Ci siamo passati tutti. Io stessa, che l’italiano lo parlo nella mia quotidianità da dieci anni, e ancor prima l’ho studiato a livello universitario per altri cinque, io che mi occupo d’insegnamento dello spagnolo e di certificazione linguistica, non ne sono immune. Il rischio è lì, in agguato.
Come porre rimedio, allora? Intanto, come dico per scherzo con alcuni amici ispanofoni, prendiamone atto. E dunque eccomi, come in una riunione di itagnoli anonimi: “ciao sono Carolina, e sono itagnola. Cerco di non bere un goccio, ehm, voglio dire, di non prendere il dizionario a calci nel sedere, ma qualche volta un’itagnolata non voluta mi scappa”. “Ciaaaaao Carolina”.
L’itagnolo sarebbe l’equivalente italico dello spanglish statunitense. Il guaio, per noi itagnoli, è che essendo due lingue più vicine, rispetto all’inglese, il dubbio “ma si dirà così anche in spagnolo? ma si dirà così anche in italiano?” è sempre dietro alla porta. E dunque vai di calci sintattici (“he dado un examen”), di espressioni letteralmente copiate (“el lunes llovió como dios la manda”), di neologismi (“*soluzionare un problema”). Ve lo assicuro, ne ho un quaderno pieno, tutti campioni di itagnolismi sentiti in giro (e scappati anche a me, ahimè). Non è niente di nuovo per chi si occupa di glottodidattica: la L1 influenza fortemente l’apprendimento della L2. Che si parta dall’inglese, dal tedesco o dall’italiano, è uguale. Ciò che cambia è l’approccio psicologico del discente: chi s’avvicina allo spagnolo partendo dall’italiano la sente vicina come lingua e dunque si rilassa. Male! Essere rilassati è sempre ottimo: l’apprendimento di una lingua non va mai vissuto nell’imposizione e tanto meno nella coercizione (accademica, lavorativa, familiare), anche perché i risultati sarebbero scadenti. L’aspetto emotivo-affettivo è fondamentale. Ma neanche nell’arroganza del “ma non ci vuole niente”. Perché invece ce ne vuole, e pure tanto.
A volte però, a seconda della situazione, l’itagnolo è l’interlingua di chi conosce bene entrambe le lingue e in questo caso diventa un punto d’incontro, un piccolo universo, un occhiolino, una battuta simpatica, una traduzione letterale fatta per farsi due risate (“¡en la boca al lobo!”), una lingua che solo gli itagnoli possono capire. Una lingua senza regole grammaticali, lessicali, ortografiche. Ma, come tale, è una lingua che non può adoperarsi nella maggior parte dei contesti sociali, poiché la lingua è innanzitutto una convenzione.
Per poter usare l’itagnolo con un approccio ludico il livello di competenza linguistica è fondamentale: fa ridere quando sappiamo che il nostro interlocutore padroneggia entrambe le lingue e dunque vuole solo fare una battuta di spirito, insomma quando è un gesto di complicità. Fa meno ridere quando ci rendiamo conto che la L1 è stata letteralmente divorata dalla L2.
Quando l’itagnolo diventa l’unico strumento linguistico di comunicazione a disposizione è un problema: non si è più in grado di dividere entrambe le lingue, non si riesce più a capire fin dove ci si può spingere. A livello accademico è un disastro. A livello lavorativo? Dipende dal tipo di lavoro, certo, ma se fai un lavoro intellettuale (non da grandi pensatori, intendiamoci) non fai una bellissima figura.
E a livello familiare (che è quel che ci interessa su questa piazza virtuale)? Vogliamo insegnare l’itagnolo ai nostri figli? Chiaramente non dobbiamo stressare né loro né noi stessi. Non succede nulla se ci scappa un’itagnolata ogni tanto (più ogni che tanto, però!). Dobbiamo avere la consapevolezza che il rischio c’è e che dobbiamo darci da fare per evitarlo.
Come diceva Letizia qualche post fa, “dillo. E poi fallo”. Ecco: impegniamoci a non insegnare l’itagnolo ai nostri figli (ci arriveranno loro da soli, e impareranno a giocarci!). E poi però diamoci da fare, noi in prima persona, a non usarlo davanti a loro, almeno finché sono nella fase di apprendimento della lingua.
Certo, certo, questo discorso fila liscio quando si tratta di genitore madrelingua o con un’elevata competenza linguistica dello spagnolo. Ma nel caso di genitori italiani che abbiano scelto lo spagnolo come seconda o terza lingua dei loro figli, e conoscendolo poco o niente lo stanno imparando insieme alla prole? Nessun problema. Solitamente l’itagnolo è un’insidia di chi dà per scontato e non compie un lavoro continuo di riflessione. E dunque, come per i madrelingua, l’importante è prenderne atto e stare attenti.
Insomma, ¡adelante, itañoles, con juicio!
Immagine: Preparados, listos, ¡espaguetis! La copertina di questo libro rende molto bene l’idea, vuole essere umoristica, e lo è, e anche bella, ma diciamocela, ‘sti Espaguetis a noi italiani fanno un po’ tristezza…
*Il livello C2 è l’ultimo livello del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue del Consiglio d’Europa.
Arianna says
¡Hola Carolina!
Ti racconto questa: riunione con la direttrice del nido, spagnola, quando mia figlia maggiore aveva 2 anni e qualcosa e aspettavo la sorellina: ” adesso è il momento di acottare gli spazi per Laura – facendo il segno del recinto con le mani- quando la mamma si dedica a lei, quando invece deve badare alla sorellina, quando è il momento del papà. Acottare gli spazi -ancora il segno con le mani- ora si fa questo, non si può fare quello, ecc. Così impara le regole e riesce a individuare se stessa in rapporto agli altri”.
Io, entusiasta, annuivo; mio marito mi guarda con una faccia che diceva questo: “ok, è risaputo che in famiglia io sono quello negato per le lingue e blablabla ma adesso ‘sto “acottare gli spazi” che vuol dire??!”.
Confesso: pur itañola, è ufficilmente nella top ten delle parole preferite e ancora: in quel preciso contesto l’italiano “recintare” non so perché non rende altrettanto l’idea…
¡Feliz semana a todos!
A
Carolina says
Acottare, che meraviglia, svengo! 🙂
Mia figlia qualche mese fa se n’è uscita con “mami, ¿me puertas el muñeco?” (mamma, mi porti il pupazzo?). In spagnolo in questo caso il verbo è traer, non portar (che esiste, ma è decisamente antiquato e fuori uso in quel caso). La cosa che mi ha spiazzato di più è stata la dittongazione, è stata bravissima. I bambini sono davvero meravigliosi.
Nicoletta says
Totalmente d’accordo. Come italiana, che vive in Spagna da (quasi) sempre, e che si impegna a crescere un figlio bilingue italiano/spagnolo, in più con l’aiuto di un marito spagnolo che parla discretamente ma non perfettamente l’italiano, ne ho viste tante, tante: dalla confusione che fa il marito di “allora” per “adesso” (assomiglia troppo ad “ahora”) a uscite di altri italiani che traducono allegramente espressioni del tipo “voy a toda cerveza” o “había un tráfico de la Madonna”… È vero, l’itagnolo fa sorridere se utilizzato consapevolmente, ma altrimenti fa venire un po’ il latte alle ginocchia (la leche a las rodillas???? :DDD)
Carolina says
Le traduzioni letterali *consapevoli* sono divertentissime, è uno dei lati più freschi e creativi dell’itagnolo. Non ci rinuncerei mai! 🙂
Alice says
Cara Carolina, condivido pienamente tutti i tuoi commenti. Quando mi occupavo di reclutare volontari per un’organizzazzione che lavora in Colombia il 80% candidati italiani che sostenevano di parlare perfettamente lo spangolo in realtá parlavano itañolo (e in qualche caso in dialetto veneto!). Essere fluent in Spagnolo per un italiano non é facile perché c’é sempre il rischio di confondersi. Ho fatto piú fatica a tornare all’italiano dopo due anni in Messico che adesso dopo 12 anni a Londra!
Come aneddoto ti posso raccontare che mia sorella quando era piccola all’asilo chiedeva sempre il pane tostato con il BURRO…peccato che abitasse in Messico! Non ti dico la faccia della maestra!
Carolina says
Ahahah il burro non delude mai! Mia figlia ad esempio con burro non si è mai confusa, forse perché a casa l’asinello lo chiamiamo burrito (invece il burro italiano rimane tale quale).
Con torta/tarta già ha più difficoltà e spesso in spagnolo la torta di compleanno è la torta de cumpleaños. Ma tortilla (frittata) /tortita (pancake) invece li distingue bene. Forse perché è una buona forchetta come la mamma 😀
Grazie del tuo commento, Alice!
Sonia says
Hola Carolina!! 🙂
Che belle queste nuove rubriche dedicate a lo spagnolo (e anche itagnolo! 😀 ), si sentiva la mancanza dello spagnolo per noi impegnati nella crescita di figli bilingui in italiano e spagnolo….
Confesso che dopo 9 anni in Italia, sto cominciando a fare grossi errori pure io quando torno in Spagna!!! Spero che l’impegno di crescere il “gordito” parlandogli in spagnolo mi aiuti ad evitare questi errori!!
Complimenti!
Sonia
Marco says
Ho letto con piacere l’articolo di Carolina. Anche io ho dei problemi a mantenere un buon italiano, dopo tanti anni in Spagna, ed ora che voglio a tutti i costi parlare italiano con mio figlio, noto ancora di più la quantità di dubbi e di errori che spesso commetto: errori nel genere dei sostantivi, errori nella costruzione delle frasi, … Addirittura, a volte, mi succede semplicemente di non sapere come si dice una determinata parola in italiano …
Dopo aver letto questo post, almeno non mi sento solo!
Marco
Carolina says
Non sei solo, Marco, sei uno di noi! Benvenuto in Itañolandia! 🙂
Monica says
ecco cosa parlo con mia figlia! itagnolo puro! 😛
e gia’ abbiamo fatto una crostata con il burro (ih oh, ih oh)….
cerchero’ di fare di meglio….
Eleonora says
Quando stavamo in ES anche ai nostri bimbi uscivano delle perle itañolas:
l‘ arroz ordinato al ristorante poteva essere ‘‘con gamberros‘‘, ‘‘con piernas‘‘ e in IT -ovviamente- ‘‘con gambe‘‘ :-S
Poi si è sistemato tutto ed è stata ora di andarcene. L‘ unico difetto rimasto difficile da togliere è l‘ uso del verbo ‘‘andare‘‘ per esprimere futuro: tipo : ‘‘adesso vado a farlo‘‘ (terribile! :-S)
Tutt‘ oggi a me -ma lo faccio solo con mio marito con cui parlo italiano- capita di ricorrere a verbi che in spagnolo suonano particolarmente efficaci o che in italiano non esistono del tutto, oltre ai soliti intercalare pop tipo…‘‘bueno‘‘, ‘‘vale‘‘, ‘‘anda!‘‘… (e qualche innocente tacos ogni tanto :-/ lo ammetto) so che sono terribili ma ormai ci sono affezionata: fanno parte del nostro linguaggio europanto-domestico e della nostra storia familiare 🙂
Carolina says
Mi sono divertita un sacco con i vostri commenti! sono anch’io un’orgogliosa itañola! ci capita di spiegare delle cose parlate in una conversazione in italiano ad una persona spagnola ma con padronanza d’italiano ed invece di fare la traduzione si fanno letteralmente le parole anche per esprimere tutte le sfumature ed il peso semantico e mi rendo conto che a volte gli altri ci guardano perplessi.
Poi Carolina, sono particolarmente felice delle tue parole perche io mi sono sentita dire tantissime volte, “perchè studi l’italiano se tanto si capisce perfettamente?” e poi tante vole nella ditta in cui lavoravo, siccome aveva sede centrale in Italia, era richiesto l’italiano parlato ed scritto e non puoi immaginare i CV che ci arrivavano e le prove di lingua che abbiamo fatto! almeno a Barcelona, tutti pensano di capire e parlare un pò d’italiano ed a volte questo non è più di “Ciao!, come stai?, come va?”
Carla says
Ciao Carolina ! Ciao a tutti! Quanto sono contenta di aver letto questo post e questi commenti! Sono stupendi. Io e mio marito ci siamo fatti un sacco di risate…
Sono argentina e abito in Italia da 12 anni. Insegno l’italiano agli stranieri (ebbene si!) e ho un bimbo di 2 anni e mezzo che grazie all’aiuto di mio marito che parla lo spagnolo molto bene (C1) e lo scrive da…. “BURRO”? (A2) riusciamo a far parlare Luca in due lingue molto bene…
Mi fa molto piacere sentirlo coniugare come regolari tutti i verbi irregolari che ha lo spagnolo proprio come fanno i bambini argentini quando stanno imparando a parlare (Mamaaaa: hacì pis solito!, Mama: No puedo No puedo! Ya “podí”…)
Per ultimo un aneddoto con un amico argentino che abita in Italia. Mi incontra per strada ed io ero in bici. si rivolge a me in spagnolo: Ti ho riconosciuto dalla bici! E io: “Estamos metidos mal” (Siamo messi male!) Ovviamente mi ha capito perché anche lui parlava l’itagnolo!!!!
Un abrazo enorme a todos!!!
Carolina says
Gracias a todos, sono contenta di avervi strappato un sorriso 🙂
Noi itañoles siamo una grande tribù, un po’ nascosta, ma grande.
Maguita says
Fantastico post!!! Da leggere e rileggere più volte!!! Un abbraccio da una mamma itagnola/argentina.
Maria José says
Carolina, come al solito, “leggerti” è uno spasso! comunque, la mia conclusione con i miei tre figli è che quello che posso insegnargli bene è la mia lingua materna e questo mi fa ricordare di fare gli sforzi per parlare con loro in spagnolo. Ci vuole sforzo, anche se sono madrelingua, ma vale la pena! (la tentazione di continuare a parlare con loro in italiano è tanta!), ma è un peccato non continuare a nutrire il loro essere bilingue e limitarlo solo a le visite dai nonni.
Carolina says
Intanto nessuno, itagnolo e non (myself compresa fino a ieri), si è reso conto del meraviglioso refuso “calci sintattici”, che sta ovviamente per calchi sintattici. Quell’acca birichina. Ma mi è piaciuto talmente tanto che non l’ho più sistemato. In fin dei conti sono proprio calci al dizionario, no? 😀
Carla says
è vero Carolina!!! ci stava bene anche calci 🙂
Roberta says
Che bel post!
Io non sono spagnola e non sono (ancora) neanche mamma, ma lo spagnolo fa parte della mia vita, avendolo studiato e amato all’università e avendo vissuto un meraviglioso anno a Madrid come lavoratrice. Ho già deciso che quando avrò dei figli li crescerò trilingue italiano/inglese/spagnolo, anche se sarà difficile, perché l’inglese serve, si sa, ma lo spagnolo è troppo… stupendo! 🙂
A proposito di itañolismi, il mio errore più bello è stato “leyenda metropolitana” (dopo che i miei coinquilini si sono scompisciati dalle risate per mezz’ora penso che non scorderò più che si dice “leyenda urbana”), più vari altri calchi (o calci ;)) che commetto anche ora che sono quasi 2 mesi che sono tornata in Italia. Non posso evitare di dire “jooo” e “en fin” e poi mi mancano le parole che in italiano non esistono, tipo fritanga o resaca e quindi continuo a inventare il mio itañolo, con conseguenti sguardi smarriti del mio ragazzo che ormai ha perso la speranza con me. E comunque quando è venuto in Spagna a trovarmi lui e i miei coinquilini si sono cimentati in giorni e giorni di itañolità veramente esilaranti!
Un beso
P.S. Una cosa che in spagnolo non esiste però è la parola “uffa”, ho cercato di spiegarla ai miei amici ma l’unica cosa che si avvicina un po’ è “jolín”, avete idee migliori?
E che dire di quando cercavo di spiegare l’espressione “buon lavoro”? Mi è stato risposto che in Spagna sembra un insulto augurare buon lavoro perché il lavoro si fa giusto perché si deve, se no si starebbe tutto il tempo al bar!!!!!!
Carla says
ciao Roberta… bello il tuo post, una correzione però… “Uffa” non esiste in Spagna, ma sì in Argentina e in Uruguay. Probabilmente la parola è stata portata dall’emigrazione degli italiani in questi Paesi…
Un beso!
Roberta says
Scusa Carla, hai proprio ragione, me l’aveva detto un’amica argentina, ma me ne ero scordata. Grazie 🙂
E allora mi correggo, uffa non esiste in Spagna ed è un vero peccato… Uffa!!! 😉
Carla says
No! Non mi chiedere scusa! Figurati!!! 🙂 era il mio cuore biancoceleste che mi obbligava a dirtelo! 😉
Besos
laura says
domanda…la mia grande ha iniziato a studiare spagnolo alle medie e le piace tantissimo, mi potreste indicare qualche titolo di cartone animato o telefilm simpatico che potrebbero aiutarla nella comprensione e l’ascolto? grazie mille!! 🙂