Arianna risponde al mio post, sua figlia ha le idee chiare su chi parla cosa, ma come si è arrivati a questo?
Letizia, questo doveva essere un commento al tuo ultimo post: “Mummy perché mi parli in italiano?” ma sta venendo troppo lungo quindi te lo mando come lettera, vedi tu cosa farne.
Penso che il trucco mammesco in questo caso ci stia tutto, penso sia giusto comunicare ai nostri figli un nostro stato di discomfort quando ci rispondono troppo spesso in italiano quando ci rivolgiamo loro in inglese. Non perché li vogliamo far sentire in colpa, né costringere a parlare inglese né raggiungere chissà quale obiettivo. Semplicemente perché arriva un momento in cui sappiamo che possono risponderci in inglese, magari si sentono meno a loro agio che con l’italiano ma possono farlo, si tratta di stimolarli adeguatamente.
Nel nostro caso con mia figlia di 5 anni -la piccola no, a quasi tre è ancora in fase di pura sperimentazione linguistica e va benissimo così – questa estate è avvenuto lo switch definitivo verso il rispondere alla mamma in inglese quando le si rivolge in inglese. E questo perché la mamma lo ha chiesto. Semplicemente. La mamma si sentiva esattamente come ti sei sentita tu Letizia ma non voleva dirlo per paura di rifiuti, proteste, perché la sua bambina quando ci si mette ha un bel caratterino e “non sia mai che poi glielo facciamo venire in odio”, pensava la mamma.
Ma un giorno la mamma legge un post, questo post di nonnativebilingualism che tu sicuramente conosci, dove un’altra mamma parla di come ha cambiato il suo metodo, sostituendo la “perseverance” all’iniziale “insistance” e ottenendo che sua figlia cominciasse a risponderle in tedesco.
Semplicemente modificando il focus, da “my own german”, quanto/quando/come/perché parlo a mia figlia nella lingua minoritaria, a “her own german”: quanto e cosa capisce? quali vocaboli conosce e quali sa anche usare? quando riesce a parlare tedesco come si sente? È rilassata o a disagio?? E se parla e non le viene un termine cosa posso fare/dire per aiutarla senza dover (o dover al minimo) tradurre? E, in questo caso, si arrabbia e lascia stare o ci prova e accetta il mio aiuto?
Ecco, tutte queste domande ho cominciato a farmele anche io e ho deciso di provare: un tentativo così male non può fare.
C’è da premettere che fino a quel momento per noi l’inglese era la lingua di casa, il metodo poteva indentificarsi in una sorta di time&place misto a un somewhat watered ml@h (minority language at home): la mamma parla inglese dentro casa e fuori solo ogni qual volta ce ne è motivo (quando incontriamo persone anglofone, come l’au pair dell’amichetto o l’insegnante di inglese all’uscita da scuola, o quando siamo in vacanza all’estero); il papà rimane sull’italiano anche a casa ma non bisogna tradurre perché grazie al cielo ci capisce.
E bisogna premettere ancora che a quel punto ci eravamo arrivati mooolto lentamente: cominciando dalla mezz’ora di inglese al giorno a 10 mesi della grande, passando per il periodo di silenzio e solo ascolto della nanny madrelingua (che parlava alla sorellina perché in quel periodo Laura, tra i due e i tre anni, rifiutava l’inglese, in particolare dalla mamma) fino a trovare Bilingue per Gioco pg e il metodo adatto a noi intorno ai 3 anni e mezzo di Laura.
Insomma, letto il post di Tamara la mamma decide di provare e questo è quello che scopre: Laura può rispondere in inglese e le va di farlo, le viene più naturale e immediato l’italiano ma per farle fare lo switch basta che la mamma chieda “in English, please” o “how do you say it to mummy?”. E se non le viene la parola la mamma le ha insegnato che si può chiedere “how do you say it in english?”.
Certo, in questa maniera, soprattutto nei primi tempi, le nostre conversazioni non brillavano in fluidità ma via via sono andate migliorando fino a questo inizio Settembre, quando abbiamo fatto una settimana a Londra.
Lì la mamma ha parlato solo e sempre in inglese alle sue bimbe e ovviamente al mondo intorno: Sara, la piccola, ha fatto il suo solito minestrone, con la base in italiano e tutta una serie di parole che le vengono prima in inglese (e in spagnolo, a volte) e cmq mostra di capire tutto ciò che sente; Laura ha parlato con chiunque, dal fiorario al duty manager dell’hotel agli attori del royal beasts show at tower of london, dal tassista all’anziana per strada al ragazzo dell’helter skelter da cui si è comprata da sola i biglietti, traducendo per la tata e ricevendo molti complimenti per il suo inglese. È riuscita perfino a fare la sua prima litigata in inglese con altre bimbe: al kids club del meraviglioso cinema di Portobello (dove abbiamo visto in inglese un film d’animazione sceneggiato dal grande hayao miyazaki, se ti capita consigliatissimo) alcune bimbe di elementare l’avevano puntata incuriosite dalla sua maglietta, scritta meta’ in inglese e meta’ in spagnolo – it says: the art of tomarte el pelo- e lei si è molto piccata: “it’s not polite to point at people and call names, I don’t like it!!”.
Insomma, il risultato di questa full immersion è che, tornata a Roma, si rivolge solo in inglese alla mamma, anche fuori da casa, anche a scuola dove prima aveva chiesto esplicitamente di non parlare in inglese perché le sue amiche non lo capivano…
Ho visto che qualcuno chiedeva aggiornamenti sulle famiglie che seguono Bpg, penso che la nostra storia sia della serie “quando è tua figlia a scegliere OPOL…” (One Parent One Language).
Un saluto, a presto
Arianna
Arianna,
grazie di aver condiviso la tua storia, molto inconraggiante. Un solo consiglio a chi legge, Arianna è partita dal’osservazione della bambina, e il rispetto dei suoi tempi. Stimolare un bambino a raggiungere ciò che è alla sua portata è uno strumento educativo molto importante, si chiama scaffolding, come le impalcature, pretendere da un bambino ciò che invece non è in grado di fare è deleterio. Certo, capire quando sono pronti non è facile, ma chi ha detto che essere genitori fosse facile?
Ciao,
L.
Immagine, “You choose” su amazon.uk e su amazon.it. Cercando un commento visivo a questa lettera ho scoperto questo libro, che su amazon ha una quantità incredibile di commenti, 110 di cui 98 gli danno 5 stelle! A quanto pare è un libro che permette ai bambini di creare personaggi e storie, scegliere oggetti e situazioni, e che stimola molto l’uso della lingua. Io l’ho messo subito nel mio basket.
Elisa says
Ciao Arianna, sono Elisa e ho una bimba di 4 anni e mezzo con la quale ho intrapreso un percorso di bilinguismo Italiano/Inglese. Mi ha fatto molto bene leggere della tua esperienza, anche io sto vivendo una fase un po’ critica con mia figlia. Sono soddisfatta del nostro percorso sinora, di come comprende e di come si esprime. Anche io ho notato un netto miglioramento a seguito delle vacanze negli Stati Uniti e, contrariamente a prima dell’estate, da settembre si rivolge alla tata esclusivamente in Inglese. Con il papà nessun problema. Con me pero’ capita spesso che faccia opposizione. Quando inizio a parlarle in Inglese, mi risponde decisa “Italiano” oppure “oggi è il giorno dell’Italiano, l’Inglese domani”. Io le spiego che se vuole puo’ rispondermi in Italiano, a volte funziona, si sblocca, parte in Inglese anche lei e a volte no. “Perché non vuoi che la mamma ti parli in Inglese?” “Perché siamo in Italia e si parla Italiano”. L’unica cosa che con me accetta sempre ben volentieri in Inglese sono i libri. Non credo quindi sia un problema di difficoltà di comprensione: nei testi delle storie che le leggo ci sono espressioni ben piu’ complesse di quelle che utilizzo io. Forse il motivo è che nel rapporto con la mamma vuole mantenere in vita la lingua che piu’ la rassicura, quella di cui si sente padrona, quella che utilizzavamo sempre quando lei era piccolina. Insistere? Perseverare? Differenza sottile, interessante stimolo di riflessione, ci penso su e vediamo se il cambio di prospettiva mi aiuta ad affrontare la (piccola ma per me importante) frustrazione nell’affrontare questo suo parziale blocco and to “make the switch”!
Letizia, io ho acquistato YOU CHOOSE per mia figlia un anno fa proprio basandomi sulle super reviews. E’ un libro con pochissime parole e tante immagini, su ogni doppia pagina trovi una domanda in cui si chiede al lettore di scegliere tra le tante opzioni cosa vorrebbe mangiare, dove vorrebbe andare, che amici vorrebbe avere, in che letto vorrebbe dormire… Sicuramente stimola molto l’immaginazione, la fantasia, l’espressione. In base alla mia esperienza, ho riscontrato il seguente limite: io stessa non conosco il nome in Inglese di tutta quella moltitudine di oggetti illustrati e quindi devo utilizzare perifrasi o fare veloci ricerche per poter fornire a mia figlia il termine giusto. Questo rende l’esperienza della lettura piu’ impegnativa del solito per me (si potrebbe sempre “giocare” in Italiano pero’, in altre lingue, oppure tradursi prima tutto il libro!). Il tasso di gradimento da parte della piccola lettrice invece è molto alto, per un periodo ho dovuto nascondere il libro perché lo sceglieva sistematicamente ogni sera e io non ne potevo piu’!
Arianna says
Ciao Elisa,
comincio dalla fine: perché non cercare nel dizionario insieme a tua figlia le parole che non conosci del libro che vi piace leggere? Magari può essere un momento in cui scatta la complicità: la mamma non sa già tutto ma sta imparando insieme alla sua bimba. E imparare insieme è divertente!! E divertirsi insieme sicuramente aiuta ad aggirare o “ammorbidire” un rifiuto…
chiaramente ogni bimbo reagisce diversamente a situazioni anche molto simili ma una cosa è certa: associare la seconda lingua a esperienze positive e desiderabili non può che essere una carta vincente.
In bocca al lupo e tienici aggiornati!
A
ps. Grazie anche per la review e a Letizia per aver segnalato questo libro: inutile dire che è stato subito inserito nella nostra wish list. E navigando mi ha colpito anche questo “mixed up fairy tales“:
Alice says
Cara Arianna, grazie per aver condiviso la tua esperienza. Anch’io da un mesetto sono passata dalla “perseverance” all’ “insistance”. Anch’io avevo paura che insistendo ci fosse il pericolo che poi non lo volesse piú parlare (l’italiano nel mio caso) ma visto che quest’anno é rientrata a Londra dopo 6 settimane in Italia parlando molto bene ho deciso che era venuto il momento di insistere. Non potevo lasciare che succedesse come l’anno scorso (rientro a Londra in Settembre, italiano per una settimana e poi solo inglese di nuovo). Devo dire che sta dando i suoi frutti e non ho piú la paura che avevo prima. Bisogna insistere e avolte ricordarle di parlare in Italiano ma sta funzionando. Alice
ilcestodeitesori says
Io sto iniziando solo ora ad assegnare a certi momenti l’inglese. La bambina a due anni e mezzo. Da sempre, ogni tanto, mi sente dire qualche frase in inglese e tante canzoncine, ma è da poco che mi sono data un minimo i metodo, intimidita dalla diffidenza delle persone che mi sono vicine. Come dicevo proprio stamattina in un mio post, ho il vago sospetto che non le piaccia quando le parlo in inglese, proprio ora che sta conquistando l’italiano. La mia più grande paura è di farglielo odiare. Sono decisa ad adottare il metodo let’s play in English, ma se non si diverte che faccio?
Grazie
Cristina
Arianna says
Ciao Cristina,
sulla scelta dei giochi può consigliarti molto meglio Letizia, io ti posso dire cosa farei:
continuerei con le canzoncine, nursery e fingers rhymes a gogo, non conosco bimbo a cui non piacciano!
Se poi proprio non dovesse “attaccare” proverei a proporre attività molto diverse tra loro: può darsi che la canzone non piaccia ma magari piace il libro o il gioco nel bagnetto o cooking for mummy (con le pentoline, ovviamente ;-). Stamattina facevamo questo gioco con mia figlia piccola, che è poco più grande della tua, e quando chiedevo delucidazioni sul menù lei mi rispondeva di ogni piatto che era “spicy” perché sa che adoro il cibo piccante…
Un saluto,
a
A. says
Complimenti ad Arianna, che bella lettera.
E ancora una volta brava Letizia a sottolineare, con delicatezza ma anche con decisione, l’importanza del saper rispettare i tempi dei bambini. Quanto mi piace questo blog!!!
Giovanna says
COndivido pienamente il punto di vista e l’atteggiamento di Arianna. Il trucca sta proprio nel far sentire al bambino che la lingua minoritaria lo riguarda direttamente, che è parte di sè e che è necessaria la sua partecipazione. Grazie Arianna per aver condiviso il tuo approccio !
ilcestodeitesori says
Grazie a tutte. Proverò a essere funny and amusing.
Elle says
Ciao Letizia!
Continuo a leggerti anche se commento poco…in questo periodo riesco a malapena ad accendere il computer 🙁
Anyway, ottimo il suggerimento di “You Choose”: in UK viene distribuito gratis a tutti i bambini quando compiono tre anni, insieme a una valigetta con una serie di gadget per scrivere e colorare, altri libri e opuscoli per i genitori su come incentivare la lettura (progetto Bookstart). La nostra copia è distrutta, tenuta insieme da un paio di rotoli di sellotape – ho anche pensato di comprarne un’altra, ma mi fa abbastanza tenerezza 🙂
L’idea di base è semplicissima ma molto accattivante – e i miei figli impazziscono per qualunque disegno di Nick Sharratt (non so se ti sei già imbattuta in capolavori come “Chocolate mousse for greedy goose” o “Hippo has a hat”…)
Ti rinnovo i miei complimenti per il tuo sito, sempre fonte di nuove idee e riflessioni!
Bye
Elle
Valeria says
Grazie davvero Arianna per il tuo racconto, è vero, è bello leggere gli aggiornamenti da parte di chi ha… iniziato prima. I miei bimbi sono ancora piccoli (il maggiore ha due anni e mezzo) e l’inglese lo conoscono solo da 6 mesi, per cui siamo ancora in piena perseverance, ma mi metto un segnalibro qui per il futuro, sperando anche io un giorno di accorgermi che i tempi sono maturi per provare un approccio come il tuo. A presto!
Arianna says
Un grande in bocca al lupo Valeria e tienici aggiornati!
A presto,
a