L’autrice di questo post è Maria
E’ il detto che la maggior parte delle persone mi ripetevano in Francia appena chiedevo loro consiglio sul metodo per imparare velocemente a districarmi in quella sequela di accenti e suoni sibilanti imparati a suo tempo sui libri scolastici. “La lingua si impara sul cuscino”. Aspetta che diventi la tua lingua del cuore e vedrai che la mente e la favella seguirà.
Per diversi anni ho pensato che il nocciolo (duro) del bilinguismo fosse racchiuso in queste parole della tradizione popolare. L’apprendimento di una lingua straniera è un processo emotivo piuttosto che razionale; cosi come una durevole relazione tra due persone, la convivenza tra due lingue richiede una abbondante dose di empatia. Il bilinguismo non è altro che una bellissima storia d’amore, è la passione che ti permette di pensare o sognare in un’altra lingua, di dialogare senza tradurre e persino di posizionare la lingua tra denti e palato in quell’astruso modo che la fonetica francese esige contro ogni legge di genetica facciale !
Una volta sperimentato felicemente come l’alchimia tra due lingue fosse possibile anche all’età adulta, mi rallegravo di quanto sarebbero stato sorprendente ed entusiasmante poter crescere dei bambini bilingui. Pensavo che non ci sarebbe niente di più naturale, di innato, per le gemelline che aspettavo in grembo parlare italiano con la loro cara mamma e francese con l’amato papà.
Fu proprio dopo la nascita di C. e M. nel 2006 a Parigi che, dopo aver vissuto le meraviglie del bilinguismo italo-francese per più di 10 anni, il solido proverbio del cuscino cadde.
Le prime parole che le mie bambine mi indirizzarono furono in francese. ‘Maman, fais moi un calin, je veux faire dodo’. Cosa?!? Come sarebbe a dire che mi si chiedeva una coccola o che mi si diceva di avere sonno nella lingua del papà, quando le coccole ero soprattutto io a farle in italiano cosi come a cantare loro la ninna-nanna ?!? Era come se quella che avrebbe dovuto essere la loro lingua del cuore fosse andata persa o, peggio, mai esistita, perché le mie figlie, quelle a cui io leggevo appena nate “Gocce di voce” [1], avevano cominciato a parlare nella lingua del posto, del papà, della tata, della ludoteca, ma non nella mia. Ed il francese sembrava essere la regola anche durante i frequenti viaggi in Italia, in vacanza da nonni ed amici rigorosamente italiani.
Con altrettanto stupore, dovetti constatare come la lingua dominante passo’, in maniera subitanea e senza soluzione di continuità, dal francese all’italiano quando all’età dei loro 3 anni e mezzo ci trasferimmo a vivere da Parigi a Roma. C. e M. cominciarono ad articolare le loro frasi, ormai sempre più compiute con l’evolversi del tempo, in italiano e questa volta non solo con me e con il resto dell’ambiente, ma anche con il loro papà ! Ma come ? Come era possibile che un bambino si trasformi cosi rapidamente da bilingue passivo franco-italiano a bilingue passivo italo-francese ?!?
Devo ammettere di aver avuto molte più difficoltà io a riparlare, a ripensare nella mia lingua nativa che le mie bambine, il cui debutto attivo nella lingua italiana (che era invece minoritaria in Francia) aveva coinciso con l’entrata nel fantastico mondo della scuola materna. Niente di più normale, mi dicevo, il bambino assorbe gli stimoli esterni in maniera rapida, soprattutto se immerso in un contesto di apprendimento ludico e di felice scambio con i suoi coetanei.
Ma perché quasi tutti i bambini nati dalle coppie miste che conoscevo erano bilingui, con una delle due lingue dominante o perfettamente bilanciati, mentre C. e M. no? A cosa era da attribuire questo rifiuto di esprimersi almeno con i propri genitori nei due idiomi rispettivi ? Era tutta colpa della nostra incostanza nell’utilizzare il metodo OPOL ? Ma più del papà che spesso e volentieri parlava con le sue figlie la lingua del cuore piuttosto che la lingua materna o più della mamma che per non scordare il francese, che adora, parlava loro con la sua di lingua del cuore? E la scuola in tutto questo, quanta responsabilità aveva la scuola ?!?
E poi finalmente a febbraio scorso, al Centro culturale francese Saint Louis des Français di Roma, assistetti ad una conferenza sul bilinguismo in infanzia di Maria Kihlstedt [2] (maître de conférences en psycholinguistique à l’université Paris-Ouest) ed appresi che ogni bambino bilingue è diverso . E che il mio ‘non-metodo’ di parlare e lasciar parlare la langue dell’oreiller, del cuore, al di là degli schemi e delle regole era il più adatto alla situazione personale e familiare che stavo vivendo, ma non anche a quella della famiglia vicina anche se altrettanto bilingue italo-francese.
Ormai sono 2 anni che vivo a Roma, C. e M. praticano tuttora, e con loro grande gioia e determinazione, il bilinguismo passivo, ma nel frattempo ho messo da parte tutti quegli interrogativi ed ho cercato di passare all’azione.
Nei prossimi post cerchero’ di farvi condividere il nostro piccolo mondo bilingue tra Roma e Parigi, fatto di libri, scuole, spostamenti tra le due capitali, viaggi tra i due paesi, scontri tra due culture, cosi apparentemente vicine, eppur lontanissime almeno sul tema dell’educazione dei bambini, e soprattutto tanti (mamma mia quanti) ‘faux amis’.
[1] Gocce di voce, immagine in alto, Libro di poesie e filastrocche, rigorosamente in italiano, frutto del progetto nazionale NATI per LEGGERE, ideato da una rete di studiosi con l’obiettivo di aiutare lo sviluppo psico-fisico del neonato attraverso il suono delle parole. Un’interessantissima lettura che merita un post a parte, promesso…
Marika says
Maria, grazie per gli spunti.
La mia/nostra esperienza non è così ricca come la vostra,
la vita filo-francese è meno strutturata, abbiamo meno possibilità e, quindi, meno contatti
eppure, via via leggendo, mi sono ritrovata nelle tue parole al punto da credere di aver trovato sia la regola che la chiave di volta… sbagliando (come hai spiegato alla fine).
Questo perchè ho notato che GM (2 anni e mezzo), quando è in Francia, dà la priorità alla lingua francese..pensavo fosse sul serio una questione di switch celebrale.. non si finisce mai di imparare!
valentina says
bel post, ricco di spunti e novita’ per me, grazie Maria!
Eva says
grazie per aver condiviso questa esperienza, maria! aspettiamo con ansia i prossimi post! 🙂
Roberta says
Bellissimo post! Utile, chiaro, fluido e molto, molto divertente! Non sono una mamma bilingue, ma lo sai che adoro quella “erremoscia” di M.! Grazie per aver condiviso questa esperienza.
Maria says
@Marika: si, penso proprio sia una questione di switch cerebrale e …geografico. “Papà, siamo in Italia e vogliamo parlare italiano”. Ed in effetti non farebbe una piega come ragionamento se quando sono in Francia dicessero “Mamma, siamo in Francia e vogliamo parlare francese”!
Sono sicura che anche quel giorno arriverà prima o poi, sicuramente quando prenderanno coscienza della ricchezza del loro ‘essere bilingui’. O solamente quando riusciranno a rimanere nel loro paese natio per un periodo lungo di tempo (fino ad ora ci torniamo de temps en temps mais jamais pour longtemps)
@tutte : grazie dei vostri commenti. Non esitate a contraccambiare gli spunti (ho visto che qualcuna di voi abita dans la ville lumière…)
Al prossimo post.
Maria
Giovanna says
ciao a tutte,
anche la nostra bambina ha un papà francese e una mamma italiana, abitiamo in Italia sin dalla sua nascita. dopo alcune difficoltà iniziali alla parlata in generale la nostra bambina ha cominciato a parlare con suo padre in francese e con me in italiano, così come noi facciamo con lei sempre e in ogni circostanza oramai da tre anni. la lingua dominante è l’italiano tutto attorno a lei a cominciare dalla scuola materna. eppure quando incontra i suoi parenti francesi parla con loro solo in quella lingua.
noi non guardiamo la tv e lei vede i film solo in francese così come le favole serali sono lette quasi esclusivamente da suo padre e in francese. spesso non sa come dire un termine in francese e me lo domanda in italiano.
per ora mi sembra perfetto. forse maggiori problemi si avranno con la scuola elementare ma immagino sarà sufficiente farle prendere delle lezioni da un madrelingua e accompagnare quanto apprende in italiano con una versione simile in francese. solo così potrà essere veramente bilingue.
la nostra bambina canta sia in francese che in italiano quando gioca per i fatti suoi e usa spesso termini in francese anche quando è con gli altri.
Grazie per i contenuti sempre interessanti
Alex says
Salve a tutte,
Sono italofrancese, nato in Italia ma cresciuto in Francia dall’età di 6 anni) e papà di Y., un bimbo di 8 mesi. In un altro post, alcuni mesi fa, avevo scritto a Letizia quanto questo blog mi avesse aiutato a superare una fase di esitazioni tra le due lingue, per decidermi finalmente a parlare italiano con mio figlio. Temevo di non farcela, avendo io stesso troppo poco contatto con quella che ormai stento a considerare la mia lingua materna. E invece adesso mi farebbe quasi strano parlargli in francese ! Quindi io solo italiano, la mamma solo russo (madrelingua), tra di noi parliamo francese (davanti a Y.) e russo (quando siamo soli, abbiamo stabilito la regola cosi’, anche se a volte c’è qualche strappo). Tra un anno torniamo in Francia (viviamo a Sarajevo, per lavoro) e vi sapro’ dire come andrà avanti quaesta bella avventura…
Arrivo al dunque : nonostante tutta la motivazione trasmessa dal nostro bellissimo blog, come tanti altri hanno scritto su questo sito c’è sempre il momento del dubbio : ma come si dice “la chaise haute” (il seggiolone), “le transat” (la poltroncina, la sdraietta)… tutte parole che so in francese perché ho un fratellino nato in Francia. E allora cerchi sul vocabolario (figurati…), su internet (a volte…), scavi nella memoria (si’, buona notte, quando ero piccolo non c’era il “babyphone”…). Sono tutt’ora alle prese con “le bib’ ” e “arrête de gigoter” 🙂
Ora, questo non è forse il blog giusto, pero’ se c’è qualche italiana madrelingua che ha voglia di scambiare un po’ di lessico “per bambini”, italiano contro francese… Sarà la mia “déformation professionnelle”, pardon, sono prof di lingue ! Forse possiamo creare un blog apposta, tanto per non intasare “Bilingue per gioco”.
Grazie e… à bientôt !
Alex
Bilingue Per Gioco says
In realtà ho finalmente trovato la soluzione a questo problema. Dovevo presentarvela la settimana scorsa, quella che finisce oggi, ma ho avuto talmente tanti problemi col blog (vi siete accorti che era più down che up in questi giorni?)… Se il blog tiene parto questa settimana, quella che inizia domani. Un attimo di pazienza e ci siamo…
L.
maria ghezzi says
@Alex: il lessico per bambini sarà sicuramente oggetto di uno dei miei prossimi post. E’ il ‘bagaglio culturale’ che gli adulti acquisiscono solo una volta diventati genitori e che spesso si impara e si tramanda solo ed esclusivamente nella lingua del paese dove si vive al momento della nascita dei pargoli. Io ancora adesso, nonostante sia tornata a vivere in Italia e sia 100% italiana, parlo di chaise haute, di doudou, dodo’, etc etc!
Ancora una conferma di come la ‘lingua del cuore’ prenda sempre il sopravvento e forse é bene che sia cosi.
Maria
Marika says
Oh Alex, in attesa della novità di Letizia, eccome se accetterei uno scambio del genere!
Non creerei un blog, ma in forma privata sarebbe eccome utile
..mi sa che, però, la sorprendente Letizia e i fantastici post di Maria riusciranno già a venirci incontro!
Alex says
Grazie delle vostre risposte.
@ Maria : si’ e no, perché con mia moglie ad esempio, del bosniaco/croato/serbo [ovvero bcs] (che capiamo discretamente ma parliamo da B1) ci siamo presi solo una parola o due che usiamo in casa (tipo la “pelena” [=il panno, lo strofinaccio] che sta bene anche in italiano). Ci vengono forse certi termini medici in “bcs”, ma non direi che sia diventato quel ‘bagaglio culturale’ di cui parli tu : ci vuole comunque una certa padronanza per tramandarlo. E ci vuole anche la voglia di parlarlo in casa : sarà semplicemente che il serbocroato, ahimé, non è diventato la lingua del cuore…
@ Marika : Va bene, allora a questo punto incomincio io : come lo dite in italiano “le doudou” ? “gigoter” ? “aller à quatre pattes” ? e esiste qualcosa di simile al vezzeggiativo “bib’ ” (per biberon) ? Aspetto in cambio le vostre domande di traduzione dal francese !
maria ghezzi says
Avete visto, Alex, Marika, cosa ci ha preparato l’eclettica Letizia ?!? una bella rubrichetta (in alto a destra del blog) giustappunto intitolata ‘Lingua straniera per i genitori’ di bambini bilingui.
Conto partire al più presto con il francese, ma il vostro aiuto é prezioso per rimpinguare la rubrica.
Affinché nessuno spunto venga perso, utilizzate il form qui sotto, fa riferimento all’inglese ma penso vada bene lo stesso (o ne esiste uno specifico per lingua, Letizia?).
http://bilinguepergioco.com/2011/10/21/inglese-per-bambini/
A presto pour la langue des couches/culottes!
Maria
Bilingue Per Gioco says
Ciao a tutte! Il form va bene per tutti, come vedete poi mettiamo insieme tutte le lingue e ognuno si prende quella che gli interessa. Self service…
Maria, se metti i testi in francese te ne saremo grate!
L.
Alex says
Si’, non mi ero accorto, grazie ! Ho messo la versione francese per “lavarsi i denti”. Maria, se vuoi aggiungere qco, n’hésite pas !
Provo a dare un’occhiata anche agli altri argomenti entro lunedi’. (PS : lo sapevate che esiste un equivalente esatto di “entro” in francese ? in Belgio si dice ‘endéans’… l’ho scoperto l’altro giorno, in Francia non lo usa nessuno. Tanto per dire quanto la “francophonie” sia un ideale più che una realtà…)