Da quando sono rimasta incinta della mia primogenita (che ora ha un po’ più di tre anni e mezzo) avevo le idee chiare sul suo bilinguismo. Nonostante ciò, o proprio per questo motivo, ho letto tanti libri, cercato tanta informazione su internet (BpG ancora non esisteva 🙂 ) parlato con tante persone. Il punto era che, a casa mia, non si parlava spagnolo. Con mio marito la lingua è stata sempre l’italiano (lui non parlava una parola di spagnolo prima di conoscermi) e dunque diventava artificiale cambiare lingua. Però avevo le idee chiare per quanto riguardava mia figlia.
Avere le idee chiare non vuol dire che fosse tutto facile o scontato. Accadeva una cosa curiosa: al lavoro io parlavo entrambe le lingue (da quando sono in Italia ho sempre lavorato per la Spagna), dunque lo spagnolo “ufficiale” e l’italiano “ufficiale”, e con i colleghi lo spagnolo (o l’italiano) “cordiale”. Poi c’era anche il fatto che, come tutti quelli che si sono appena trasferiti in un altro Paese, volevo praticare il più possibile la seconda lingua, convinta che tanto la prima lingua non si perde. Pertanto, mi circondavo di amici italiani. Inoltre, c’erano sempre la mia famiglia in Spagna, i miei viaggi, gli amici dall’altra parte del Mediterraneo. E poi, io lavoravo in spagnolo!
Eppure mi sono trovata a parlare in uno spagnolo strano a una pancia che cresceva sempre di più. Sono rimasta incinta dopo quasi sei anni che stavo in Italia. L’italiano era diventato la lingua degli affetti. Con la mia famiglia ci si sente spesso al telefono, ma insomma, non è che passi il tempo a fare pucci pucci al telefono. A un certo punto mi ero resa conto che stavo perdendo il legame affettivo con la mia madrelingua, e che mi risultava più facile esprimere affetto e coccole in italiano.
Sono andata nel pallone. Ma allora mi sono proprio rincretinita, mi sono detta. Com’è possibile dimenticare la propria madrelingua? Come è possibile che mi venga più naturale carezzare la mia pancia e dire “amore mio bello” piuttosto che “corazón mío”? E invece accade, e non è un fenomeno strano. Può essere una delle conseguenze del bilinguismo, dell’adoperare le lingue a seconda del contesto. Il mio spagnolo affettivo, quello legato alle tenerezze dell’infanzia e dei rapporti molto stretti, era rimasto indietro, e aveva lasciato il posto all’italiano, la lingua con la quale ora comunicavo il mio essere più intimo.
Ho dovuto riconquistare la mia lingua, riprendere possesso di me stessa, di quella parte di me lasciata nel passato, e che ora stava di nuovo tornando a galla (quando diventiamo genitori la nostra infanzia ritorna, vero?). Il fatto che i bambini, per i primi mesi, non distinguano molto bene le parole, ma piuttosto i suoni, le cadenze, mi ha aiutato. Ero scesa a patti con me stessa: avrei usato delle frasi fatte, decise a tavolino con me stessa (tutto in spagnolo, chiaramente), senza lasciare spazio alla spontaneità poiché questa mi fuorviava, mi portava irrimediabilmente verso l’italiano.
Gli appellativi con cui mi sarei rivolta a mia figlia erano tratti dalla mia infanzia: amor mío, corazón de mamá, lucerito del alba, mi preciosidad.
Avevo anche delle frasi fatte con le quali rivolgermi a lei, per i momenti di condivisione (allattamento, ninna, cambio pannolino, coccole). Non usando io in prima persona la lingua delle coccole (lo spagnolo attivo in me era molto ufficiale e didattico) e non sentendo la nella mia quotidianità (le – poche – mamme che conoscevo erano tutte italiane!), non avevo scelta se volevo essere coerente e adoperare il metodo OPOL.
Questo patto linguistico con me stessa è stato fondamentale. Mi ha dato sicurezza, mi ha permesso di non compiere strafalcioni (niente povera stella se si faceva male, niente amore mio, etc). Ho fatto pratica mentre lei era in pancia (era uno dei compiti della mia gravidanza, come prendere l’acido folico e non mangiare il prosciutto crudo). In questo modo la mia lingua del cuore è tornata in poche settimane, dopo che ho partorito. Perché era lì, in stand by, soltanto in attesa che qualcuno la risvegliasse.
Immagine: El Canguro tiene Mamà?
L’autrice di questo post è Carolina, che cura la rubrica Itañoles
Nicoletta says
Anche a me è successa esattamente la stessa cosa…. solo che all’inversa. Dopo 30 anni in Spagna, il compagno spagnolo, il lavoro in spagnolo, i legami con l’italiano ridotti a qualche amico e parenti lontani con cui parlavo quasi solo via email, i genitori con cui comunicavo spesso e volentieri in itagnolo, mi sono trovata a dover (e voler) parlare con il mio bimbo in un italiano che non veniva per niente spontaneo, e poi… parlare in spagnolo col babbo e in italiano col figlio… ¡qué lío! finivo per ri-parlare in spagnolo a tutti. Umf… io durante la gravidanza non pensavo proprio che sarebbe successo così, anzi, davo per scontato che tutto sarebbe venuto “da solo”, si parla in italiano al bimbo e basta. Invece no. E devo dire che qui l’intervento del padre è stato fondamentale, visto che lui l’italiano lo parlicchiava decise che in casa si parlava italiano. E così fu. Siamo passati da OPOL a MLAH e così tutto è diventato più facile. Il babbo ha imparato un sacco di filastrocche, canzoncine, modi di dire e di parlare ai bimbi in italiano, tanto che adesso fa confusione a parlare ai bimbi degli altri e gli viene di parlare loro in italiano 😀
È vero che questo sistema mi ha fatto venire qualche dubbio perchè, adesso che il bimbo parlicchia, impara e ripete tutto quello che sente, ho paura che “impari” gli errori del babbo che, anche se adesso parla più che discretamente, è pur sempre uno straniero… ma in fondo, se non fosse stato così, sarebbe sicuramente stato molto più difficile ingranare il bilinguismo in casa!
Carolina says
A me ha aiutato tanto parlare con altre persone, ma soprattutto in rete. In tanti si vergognano di dire che hanno un po’ dimenticato la propria madrelingua. Insomma, è come ammettere un grossissimo peccato! E invece è normalissimo, il nostro cervello mette da parte (o addirittura rimuove) quello che non ci serve nella nostra quotidianità! Per questo è fondamentale il lavoro di riflessione, di introspezione.
Come era possibile che io fossi capace di redigere un documento in perfetto spagnolo, oppure di fare lezione di spagnolo, e non di dire due frasette semplicissime a mia figlia? Perché per sette anni non lo avevo sentito da nessuno, perché per sette anni non le avevo dette io in prima persona. A me ha aiutato molto quando è arrivata mia madre, un paio di settimane prima di partorire. Tenerla vicino ha richiamato i nostri momenti insieme quando io ero piccina, ha rievocato il nostro legame non più tra due adulte, ma tra madre e figlia.
W la mamma! 🙂
valentina says
anche io mi sono allenata fin dall’inizio a parlare alla viatrix nella pancia (il cui nome in codice allora era polpetta, in quanto il papa’ non voleva sapere se era bimba o bimbo) in italiano, pur essendo innamorata in inglese..i primi giorni seguire il metodo opol mi risultava complesso perche se altri parlavano a me e alla bimba in francese o inglese mi veniva per educazione di parlare anche a lei in quella lngua ma dopo il primo mese ho preso solidamente il giro!
Arianna says
Io semplicemente adoro i vezzeggiativi in spagnolo! Mi ricordano tanto la dolcezza di quelli del nostro sud, Sicilia in particolare (gioia, gioiuzza, vita mia, sangre mio…). mia figlia piccola usa spesso “corazón” per rivolgersi alla bambola, o a un bimbo più piccolo, perché lo sentiva al nido dalle maestre ispanofone e mi fa una tenerezza… A pensarci bene anche il suo italiano riflette molto l’esposizione precoce allo spagnolo (la ‘b’ che in alcune parole sembra ‘v’- molto latinoamericano!- le vocali strette, la ‘r’ “arrotata”, il parlare velocemente).
Bel post Carolina, grazie mille.
A presto,
a
Sonia says
Come ben sai, x me l’inizio è stato difficile….non riuscivo proprio a parlare al piccolo in spagnolo, anzi, mi veniva da piangere!!! I primi mesi facevo una gran confussione e spesso usavo frasi fatte pure io….poi piano piano è stato più facile, e questi ultimi mesi ormai è diventato normalissimo parlargli in spagnolo mentre con tutti gli altri comunico in italiano…Beh, sebbene questa estate in Spagna lui era diventato “muto” (non parlava ancora, ma in Italia faceva tanti versetti), devo dire che i giorni scorsi abbiamo trascorso una mini vacanza dal nonno in Spagna, e lui non sembrava sentire la differenza, anzi, a suo modo “rispondeva” e “chiacherava” con tutti….E, le piccole soddisfazioni sono che capisce se gli dici, per esempio “dì adiòs”, oppure “di ciao”…. 🙂 Lui muove cmq la manina….Ohhhh, sono soddisfazioni, sì!!!!
Carmen says
Io avevo anche dimenticato tutte le canzoncine e ninne-nanne in spagnolo, perciò li dovevo inventare. Ricordo che mentre cullavo a mia figlia canticchiavo “mi niña chiquitita, se toma su tetita y se duerme tranquilita…” con la melodía de “The Sounds of Silence” (de Simon & Garfunkel). In cambio per i vezzeggiativi sempre mi venivano in mente quelli usati in famiglia (nena, nenita, preciosa, muñequita, chiquitusa…).