Un giorno la domanda arrivera’: oltre al “Mamma perche’ il mare e’ bagnato” e “ Mamma, perche’ il cielo e’ azzurro”, saltera’ fuori anche un “Mamma perche’ noi parliamo tutte queste lingue diverse tra di noi?”
Io ogni tanto mi esercito a pensare cosa rispondero’.
“Noi abbiamo scelto di mantenere le nostre lingue, oltre ad impararne altre , perche’ grazie a queste lingue siamo liberi di essere noi stessi in qualunque parte del mondo”.
Per strada:
-Ma che bel bambino, come si chiama, madame?
-E’ una bimba (NB, succede anche quando e’ vestita di rosa dalla testa ai piedi, perche’ il passeggino e’ rivoluzionariamente azzurro): Beatrice.
-Ah, Patricia, che bel nome!
-No, Beatrice.
??? (espressione di sconcerto linguistico)
-Beatrice e’ Italiano, in Francese e’ Beatriis
-Aaaaaah Beatriis, ma che carini che avete scelto un nome francese per vostra figlia!
Dalla pediatra:
-E quindi, come fate con la lingua?
-Io le parlo in italiano, il padre le parla in polacco, lei ci sente tra noi parlare in inglese.
-Intendevo come fate col francese? Se voi non le parlate in francese, come fara’ a scuola?
-Non rimarremo cosi’ tanti anni qui, andra’ a scuola altrove (e probabilmente ad una scuola inglese)
-Si ma cosi’ non sapra’ il francese!
-Lo studiera’ a scuola, come ho fatto io (sempre che non le garbi di piu’ imparare lo spagnolo o vassapere quale altra lingua di suo gusto)
-Si, ma come fara’ a sentirsi francese intanto che abitate qui?
-Noi vorremmo che lei si sentisse italiana e polacca. (Siamo emigrati qui per il lavoro e ci piace vivere qui perche’ siamo aperti e curiosi, ma non vogliamo cancellare le nostre identita’)
con le vicine:
-Ma quindi tu non le parli in fracese?
-No, anche perche’ che francese imparerebbe da me? Non sono fluente.
-Nemmeno io lo ero quando sono arrivata dal Libano, ma ai miei fu categoricamente vietato di parlare in casa in arabo e tedesco, che erano le lingue dei miei.
-Tedesco?
-Si, mia mamma era tedesca. Ma io l’ho imparato all’universita’. Di arabo invece non ne so una parola.
–E non ti dispiace?
-No, tanto sono diventata francese, ho sposato un francese e i miei figli sono francesi.
-Anche a noi quando siamo arrivati dall’Algeria le maestre hanno fatto lo stesso discorso: i bambini che parlano arabo quando arrivano a scuola sono indietro rispetto agli altri e difficilmente recuperano, per cui meglio evitare il problema parlando solo in francese a casa.
–E non ti dispiace?
-No, tanto in Algeria non torneremo mai, non e’ come il tuo caso. Noi abbiamo rinunciato alla nostra lingua e scelto il francese perche’ volevamo far parte dalla societa’, essere uguali a tutti gli altri. Voi appartenete ad un’altra generazione, non avete piu’ bisogno di essere integrati per essere rispettati.
“Noi abbiamo potuto scegliere di mantenere le nostre lingue, oltre ad impararne altre, perche’ grazie a queste lingue siamo liberi di essere noi stessi in qualunque parte del mondo”.
E voi, cosa risponderete?
L’autrice di questo post è Valentina, che cura la rubrica Vita da expat
Immagine Le kididoc des pourquois…
lucia says
io gli racconterò di suo nonno, comandante della GIL, che, in tempo di guerra, salvò dalla fucilazione mio cugino e i suoi compagni, partigiani di montagna, perchè sapeva il tedesco.
e per restituirgli il favore, quando fu catturato dai partigiani di pianura i partigiani di montagna scesero a liberarlo.
le lingue salvano la vita.
gli racconterò della prima moglie,di mio papà. di come si conobbero quando lui lavorava in Canada come lettore all’università e della loro bella e avventurosa storia.
le lingue sono amore.
gli racconterò di come, tornato in Italia a fare il maestro si impegnò perchè la scuola di avviamento professionale del paese inserisse dei corsi di lingue nella programmazione.
le lingue rendono liberi.
gli racconterò che quand’ero piccola da maggio a ottobre l’inglese diventava la lingua di casa perchè iniziava il viavai di cugini e amici in vacanza.
le lingue uniscono.
gli racconterò che mio papà esigeva che la zia acquisita che spesso si occupava di me mi parlasse solo dialetto e non un italiano che non conosceva.
le lingue sono identità.
mio padre era solito ripetere “uno uomo che conosce una lingua vale per uno, un uomo che conosce due lingue ne vale due, uno che ne conosce tre vale tutto il mondo”
un po’ di saggia spocchia non fa mai male.
questo e tanto altro ancora dirò a mio figlio
Eleonora says
Di solito è una cosa talmente naturale che non si fanno poi più di tante domande
(al contrario di noi genitori :-)).
E spesso, come per le domande sul colore di occhi e capelli, una risposta tipo: ‘‘perché sono le lingue di mamma e papà,, basta ;-). Sarà più dura convincerli a ‘‘fare i compiti,, il doppio o il triplo rispetto ai loro compagni quando sono più grandicelli (dipendendo da che livello di lingua si intende ‘‘regalare loro,,) …ma con un po‘ di fantasia e strategia la pillola si può edulcorare 🙂
Cito dal post:
‘‘Siamo emigrati qui per il lavoro e ci piace vivere qui perche’ siamo aperti e curiosi, ma non vogliamo cancellare le nostre identita’,,
Credo che una cultura e una lingua in più non siano in grado di cancellare un‘ identità, semmai di arricchirla e potenziarla per affinità o per contrasto 🙂
valentina says
Lucia, che bella finestra hai aperto, grazie.
Eleonora, sono d’accordo che una lingua in piu’ sia un arricchimento, tanto e’ vero che ho piacere di parlare francese dove vivo, di leggere il quotidiano, di guardare i film, leggere i libri e interagire col mio francesissimo prossimo, anche se poi la mia lingua straniera principale e’ l’inglese, con il quale parlo con mio marito, amici, leggo,lavoro, guardo la maggioranza dei film etc. Con l’affermazione che hai riportato volevo esprimere il fatto che non accetto il modo di vedere di molti francesi secondo i quali sarebbe corretto che in casa nostra si parlasse SOLO francese, anche se io sono italiana e mio marito polacco, perche’ abitiamo in Francia!
lucia says
Grazie a te Valentina, per questo spunto.
E purtroppo non solo in Francia si chiede ai genitori stranieri di parlare solo la lingua dominante in casa.
Succede ovunque. E questo lo sapevo. Anche alla scuola di mio figlio. E avrei tanto sperato di no.
“e vorremmo raccomandare ai genitori stranieri di parlare italiano con i bambini a casa”.
non sono intervenuta subito, mi mancava la serenità…
ne ho parlato qualche tempo dopo ma so che non è stato sufficiente.
la fortuna è che fra le lingue che dovrebbero lasciare il posto all’italiano c’è il croato che, in territorio italiano, è tutelato dalla legge 482 del 1999 sulla tutela delle lingue minoritarie.
Tanti genitori stranieri hanno già un sacco di cose a cui pensare e certo non hanno modo di documentarsi sulla legislazione italiana in materia di tutela delle lingue minori, ma chi la conosce e ne veda la necessità li informi, sapere che la propria lingua è riconosciuta e tutelata non risolverà la vita ma certo sarà una bella spinta alla consapevolezza dell’importanza della propria identità.
anni fa, a Pordenone si organizzava la bella manifestazione Eurolenghis, e girava una maglietta che recitava (mi scusino i friulanisti per la mancanza di accenti…sono in lite col pc…): “mostre cui che tu ses : dopre la to lenghe” “fai vedere chi sei: usa la tua lingua”.
sarebbe bello ristamparla
Eleonora says
Premetto che non mi riferisco a nessun caso in particolare e non voglio sembrare polemica.
Anche qui in Svizzera si avverte una certa ‘‘pressione,, affinché si impari il tedesco. (Ma ovviamente nessuno ‘‘obbliga,, come credo da nessuna parte d‘ Europa). Prima di avvertirla dall‘ esterno personalmente l‘ ho avvertita io per prima dall‘ interno tanto qui, dove ho intenzione di vivere per tutta la vita, quanto in altri posti dove sono stata ‘‘di passaggio,,. Per molti è così, non voglio certo dire che sia qualcosa di eroico, ma certo non lo è per tutti: molti vengono qui per ‘‘mungere la mucca lilla,, economicamente parlando, ed innalzano un muro tra la loro cultura e quella svizzera (muro che passa anche attraverso la lingua, ma non solo) con il risultato che qui ci sono persone da 15-20 anni e più che -per pura pigrizia e disinteresse mascherati da mancanza di tempo e pseudo-patriottismo- conoscono una manciata di parole in tedesco, mentre le istituzioni promuovono si occupano dell‘ educazione linguistica dei loro figli (promuovendo e sostenendo concretamente anche lo sviluppo della lingua madre del caso) affinché non diventino degli emarginati. Questa realtà esiste anche in Svezia ed è una delle prime fonti di conflitto culturale. Problemi di identità linguistica si trovano ovunque, soprattutto tra lingue minoritarie e lingue ufficiali-maggioritarie (es. castillano-català-euskera tanto per citare la realtà che ho vissuto) ma è così semplice risolverli: basta studiare! Aggiungere una lingua in più non toglie niente a quelle che si conoscono, anzi, semmai le arricchisce e ce le fa conoscere più a fondo, quindi ce la fa amare di più. La coesistenza linguistica è una realtà estremamente semplice da realizzare e da vivere: lo so perché ci sono nata e cresciuta, senza troppi ‘‘sbandieramenti,, il problema si presenta quando si inizia ad affibbiare ad una lingua valori politico-campanilistici, quando la si usa come mezzo di chiusura e scaramuccia culturale o quando viene meno l‘ intenzione di comunicare e farsi capire.
valentina vaselli says
Ele sono d’accordo con te , io coesisto tra inglese e italiano da 11 anni e nemmeno mi ricordo com’era il mio cervello prima, uso bene il francese e sono motivata ad imparare il polacco. Per questo malsopporto chi si piglia la briga di venirmi a dire che dovrei privarmi di due lingue (nel caso la mia e quella di mio marito, ma mi urterebbe ugualmente se fosse l’inglese) per potermi integrare in un luogo che ne parla un’altra.
A. says
Abbastanza nazionalisti, in generale, i francesi, eh?
Non si rendono conto, le vicine immigrate da tempo, che hanno perso o rinunciato a qualcosa di molto importante? E in nome di cosa, dover rinunciare a essere se stessi, per diventare “uguale agli altri”? Che tristezza! Spero per loro che almeno non cerchino di schiarirsi la pelle per sembrare più europee…
Sul fatto poi che “i bambini che parlano [una lingua minoritaria] quando arrivano a scuola sono indietro rispetto agli altri e difficilmente recuperano”, ci sarebbe da obiettare che le difficoltà non gli vengono dal parlare a casa un’altra lingua (o due, tre…) ma da persone poco attente e spesso piene di pregiudizi che gli stanno intorno! Tempo fa avevo scoperto che qui in Inghilterra si segue (almeno ufficialmente) la politica di cercare di mantenere la lingua minoritaria dei bambini per cui l’inglese non è la prima lingua, perché è proprio la lingua di casa che aiuta a sviluppare l’altra lingua (e avevo mandato il link a Letizia). Approfondendo l’argomento, ho trovato un’associazione in Inghilterra per chi lavora con alunni con l’inglese come lingua aggiuntiva ( http://www.naldic.org.uk ), che spiega chiaramente:
“Developing and maintaining a home language as the foundation for knowledge about language will
support the development of English and should be encouraged. Insistence on an English-only approach
to language learning in the home is likely to result in a fragmented development where the child is denied the opportunity to develop proficiency in either language. The best outcome is for children and their families to have the opportunity to become truly bilingual with all the advantages this can bring.”, che potete leggere nel capitolo “The importance of home languages” qui: http://www.naldic.org.uk/docs/resources/documents/ealeyfsguidance.pdf ma ci sono altri esempi cercando in giro sulla rete.
Per la pediatra… beh, anche la nostra in Italia sembrava altrettanto incompetente sul bilinguismo (e anche su un altro paio di argomenti, dalle basi di psicologia infantile all’allattamento al seno), non la rimpiango affatto ora che ci siamo trasferiti.
Eleonora says
Ciao, A.
>‘‘Non si rendono conto, le vicine immigrate da tempo, che hanno perso o rinunciato a qualcosa di molto importante? E in nome di cosa, dover rinunciare a essere se stessi, per diventare “uguale agli altri”? Che tristezza! Spero per loro che almeno non cerchino di schiarirsi la pelle per sembrare più europee,,
È molto difficile giudicare situazioni che non si conoscono da vicino o, meglio, da dentro. Magari la concezione di ‘‘essere sé stessi ,, per le vicine di Valentina significa parlare-pensare-sognare-mangiare-essere in francese, perché no? L‘ identità linguistica ha delle affinità con quella culturale, fisica e sessuale: capita che il sesso, l‘ aspetto fisico o la cultura ‘‘capitataci per caso‘‘ non coincidano con il nostro ideale, perché considerare triste il cambiamento se frutto di una scelta sentita e ponderata?
A. says
Ciao Eleonora,
ti spiego perché no: nel primo caso non vedo una scelta (“ai miei fu categoricamente vietato di parlare in casa in arabo e tedesco”) ma un’imposizione; lei ha poi deciso di studiare tedesco all’università, ma le è stata comunque preclusa una conoscenza da madrelingua. Tra l’altro questa decisione ha, guarda caso, privilegiato la lingua socialmente “più accettata” dell’altra.
E nel secondo caso, per il “non avete piu’ bisogno di essere integrati per essere rispettati”, che ha il sapore amaro del rimorso.
Mi sembrano quindi bilinguismi mancati per ignoranza (nel senso di mancanza di conoscenza specifica sull’argomento!), per un disperato tentativo di annullamento per essere accettati più che per scelta sentita e ponderata. Un po’ come quelli che vogliono rifarsi il naso come l’hanno visto su una rivista: soffriranno pure per il loro problema (e ogni sofferenza va rispettata), ma non si rendono conto che gli è stato imposto un modello di aspetto fisico ideale che non gli appartiene, e magari se ci riflettessero di più tutto sommato si accetterebbero come sono. Per tornare alle lingue: non credo che nessuno abbia chiesto mai a un inglese o a un americano di non parlare la sua lingua a casa sua allo scopo di integrarsi meglio in un altro paese o per essere più rispettato (al massimo, è una scelta personale). Perché allora chiederlo all’algerino o all’arabo? Secondo me, è un problema culturale… e, come dicevo prima, un problema di mancanza di conoscenze sul bilinguismo.
E, da bilingue mancata, provo tristezza davanti a casi del genere.
Bilingue Per Gioco says
Sicuramente l’Inglese e l’Arabo non vengono trattati allo stesso modo, per non parlare di lingue ancora meno “note”, e sicuramente in quest’ambito fa più danni l’ignoranza della cattiveria. Ma piano piano le cose cambiano, e magari non tutte per il peggio… Comunque pare che anche le mamme angolofone vengano rimbrottate, magari non dalle maestre, ma dalla vicina/la passante/quella che se non sta zitta scoppia, figuriamoci cosa deve sopportare chi parla altre lingue…
L.
Eleonora says
>‘‘ai miei fu categoricamente vietato di parlare in casa in arabo e tedesco,, Continua a sembrarmi una scelta responsabile: credo che nessuno abbia puntato una pistola alla testa proibendo di parlare le lingue d‘ origine. È stata fatta una SCELTA, magari poco coraggiosa e dettata da una certa ignoranza: quella di preferire offrire ai propri figli un futuro da monolingui integrati piuttosto che da bilingui emarginati (dal punto di vista dei genitori, al di là dell‘ attendibilità di queste convinzioni).
Immagino fossero altri tempi, magari gli anni ‘70? Ed i genitori non avessero nessuna voglia di fare i pionieri del bilinguismo sulla pelle dei propri figli, come dar-loro torto? La signora dice di non essere dispiaciuta, perché non crederle?
>‘‘non avete più bisogno di essere integrati per essere rispettati,, (a parte che si tratta di un enorme abbaglio) tu ci vedi il sapore amaro del rimorso, io il sollievo della pigrizia.
>‘‘Un po’ come quelli che vogliono rifarsi il naso ma non si rendono conto che gli è stato imposto un modello di aspetto fisico ideale che non gli appartiene, e magari se ci riflettessero di più tutto sommato si accetterebbero come sono,,
Mai visto ne‘ letto ne‘ sentito parlare di episodi del genere, limite mio.
Per quanto riguarda inglese-arabo-algerino non saprei, non avendo statistiche e fonti attendibili alla mano e non avendo svolto studi nel campo, non trovo molto utile basarmi sui ‘‘credo‘‘ e i ‘‘secondo me‘‘ personali.
vanna says
ciao, premesso che sono totalmente in sintonia con ciò che dice valentina, il racconto delle sue vicine mi ha fatto un po’ tornare indietro nel tempo a questa riflessione: i miei nonni, sardi entrambi di due paesi diversi, si trasferirono “in città” a 20 anni, e non parlarono più tra loro il sardo, e quindi neanche con i figli e tanto meno con noi nipoti. penso lo fecero per sentirsi più avanti, per dare – darsi – un segnale che stavano abbracciando la modernità, la città, la cultura etc..
ovviamente non si sono posti il problema che ci stavano negando un mondo, che io oggi terribilmente rimpiango. mi ritrovo nel paradosso di aver imparato inglese e francese, ma non il sardo per il quale faccio una enorme fatica.
non vorrei che il mio esempio sembrasse limitato, quantomeno geograficamente, ma ciò che volevo dire, è che spesso la via dell’emancipazione e della integrazione passa, a torto, anche per la negazione delle proprie radici, soprattutto quando queste non sono “apparentemente” all’altezza.
devo dire che per me questo è uno dei motivi che mi spinge con più forza a lavorare sul tema linguistico con la bimba, non solo di quelle “del mondo”, ma anche su quelle che più ci avvicinano alle nostre radici. poichè a questo credo tanto, ho chiesto al padre di mio marito, che invece ha una conoscenza approfondita della lingua sarda, di trasmettere questo dono alla bimba.
spero di aver contribuito alla vostra discussione, un abbraccio a tutti
lucia says
Eleonora, sono d’accordo con te: più lingue si sanno meglio è, ed è fondamentale conoscere la (o le…) lingua ufficiale del Paese in cui si vive. Nel caso che ho riportato non si propone di aggiungere una lingua alle conoscenze dei bambini ma di togliere la lingua madre dei genitori.
Aggiungere una lingua è un valore aggiunto, togliere una lingua che valore è?
Eleonora says
Ciao Lucia, mi devi scusare, ma non ho capito bene la situazione geografica e linguistica della tua famiglia.
‘‘togliere una lingua,, è una cosa grossa, un reato può succedere solo durante una dittatura. Cosa intendi per ‘‘togliere una lingua,,? Pressioni psicologiche da parte degli insegnanti? Mobbing da parte degli altri bambini? Divieto di parlare una lingua? O semplici consigli come nel caso di Valentina, che una persona, magari di una certa età e con un certo background, che ama la propra cultura e la propria lingua ha tutto il diritto di dare? Mi piacerebbe capire prima di continuare la discussione.
lucia says
Eleonora,
cito :” vorremmo raccomandare ai genitori stranieri di parlare solo italiano con i propri bambini a casa”.
in classe ci sono 3 bimbi bilingue inglese, 1 bilingue francese, 2 spagnolo, 1 croato e 1 arabo.
secondo te a chi si rivolgevano le maestre mentre facevano questa raccomandazione?
A me, italiana cresciuta bilingue che parla inglese a suo figlio, no.
Chissà perchè guardavano le ultime due.
Io ho lavorato per diversi anni in progetti legati al bilinguismo. Molti stranieri che vivono la propria lingua come discriminante tendono ad abbandonarla e non trasmetterla ai figli per i quali sarebbe una ricchezza (e a tutti i valori aggiungiamoci pure quello economico, una lingua in più è una competenza in più, di questi tempi può tornar utile, no?).
Io ho avuto la fortuna di lavorare con docenti che mi chiedevano di includere nei progetti, finanziati per il friulano, anche tutte le lingue dei bimbi stranieri della classe, perchè i genitori sapessero che la lingua è un valore da trasmettere, non un’onta di cui vergognarsi.
Le mamme dei compagnetti del mio bimbo invece questa fortuna non l’hanno avuta.
Le maestre dei loro bimbi si raccomandano di non parlare la propria lingua in casa.
Allora Eleonora, immagina, immagina di essere straniera, lontana da casa, di far fatica con la lingua, col lavoro, con tutto, e di desiderare solo che tutto vada per il meglio, che tuo figlio abbia una vita migliore, e a scuola la maestra di tuo figlio ti raccomanda di parlargli solo in italiano, che tu sai ancora poco. Dove trovi le parole per argomentare, per difendere il diritto di tuo figlio a crescere bilingue? Non le trovi, non le sai, ti vergogni e stai zitta. e avremo un bilingue in meno.
Si può e si deve promuovere l’apprendimento della lingua maggioritaria senza ledere le lingue minoritarie, tutelate o meno che siano dalle normative dedicate. lo richiede il buonsenso. e il rispetto.
Una chicca: le maestre di mio figlio lo riprendono quando, dopo che qualcuno ha starnutito, dice “bless you” e gli fanno dire “salute”…ma non mi pare l’abbiano ancora ripreso quando dice “a me mi”.
Chissà perchè…
Eleonora says
Ti chiedo in tutta serenità: ne sei sicura o è una tua conclusione? E se ne sei sicura su cosa si basa la tua sicurezza? Dopotutto anche bambini bilingui italiano-inglese/francese/spagnolo/ immagino che in casa non parlino solo italiano.
Una lingua in più è una ricchezza, fin qui siam tutti d‘ accordo, ma mi sembra che spesso si tenda alla mitizzazione (‘‘avremo un bilingue in meno,, e???). Suonare uno strumento, giocare con la logica e la matematica offrono le stesse possibilità di realizzazione rispetto allo studio di una lingua in più, se vogliamo (anche se sono temi meno à la page, per cui si investe molto meno in studi e ricerche).
Se una persona vive la propria lingua come discriminante, ci sarà un motivo no? O il genitore è un visionario con maníe di persecuzione? E questo genitore ha o non ha il diritto di insegnare al proprio figlio la lingua che ritiene più adatta? (ovviamente tale opinione non potrà prescindere dal contesto sociale, culturale, economico siccome trattasi di comunicazione). Io sto vivendo esattamente la situazione che hai descritto con la differenza che non mi viene chiesto di parlare tedesco in casa. Se mi venisse chiesto lo farei senza nessun problema (si fa per dire trattandosi di tedesco :-)), siccome ho ben chiaro perché sono qui e so per certo che in Italia i miei bambini non potrebbero avere buoni studi, alta qualità della vita e prospettive per il futuro secondo i miei standard, e che quindi l‘ italiano si ridurrebbe ad una lingua fine a sé stessa, quindi inutile -anche se c‘è sempre il Ticino…-
Per potenziare la comunicazione dei due emisferi, prevenire l‘ Alzheimer, aprirgli la mente e realizzare tutti gli altri miracoli che è in grado di provocare il bilinguismo, farei suonare loro il pianoforte, o la fisarmonica pentatonica, li iscriverei ad un corso di ballet o di scacchi…
Perfettamente d‘ accordo sul discorso delle lingue maggioritarie e minoritarie: buonsenso e rispetto a profusione anche per le scelte dei genitori, qualsiasi esse siano.
lucia says
Eleonora, mio figlio dispone, in casa, di un pianoforte, un mandolino, diversi flauti, bastoni della pioggia, e una serie di altri strumenti veri con i quali può giocare liberamente quando gli pare. e dispone di una mamma che può parlargli in inglese. ( e può insegnargli a fare la carta a mano. a fare gli inchiostri con le piante tintorie e un sacco di altre cose che fanno parte della nostra vita).
senza affanni, senza “investimenti”, semplicemente perchè è una cosa normale.
Io a mio figlio trasmetto quello che sono e quello che so.
La lingua uno può scegliere o meno di trasmetterla ai figli ma non è certo un bel messaggio quando sono gli altri che ti impongono una scelta.
Nessuna mitizzazione: parlare la tua lingua a tuo figlio non ti costa nulla e lui avrebbe una competenza in più, così, naturalmente, come bere il latte.
Se non gliela parli, che succede, allora? ha dei traumi? no. diventa un fallito? no. muore? no. ma magari un giorno se ne dispiacerà.
Bilingue Per Gioco says
Eleonora,
ci sono diversi studi che confermano che indurre i genitori ad abbandonare la loro lingua madre in favore della lingua maggioritaria, che parlano poco e male, ha effetti deleteri sul bambino, sul genitore, sulla relazione genitore e bambino e in ultimo sulla società, perchè un genitore che non è in grado di parlare efficacemente con i propri figli non può svolgere al meglio il proprio ruolo di genitore. Per contro, è altrettanto dimostrato che i bambini imparano senza problemi la lingua maggioritaria a scuola, soprattutto se dove necessario hanno il supporto adeguato. Ovviamente la casistica varia molto a seconda dell’età del bambino al momento dell’immigrazione, il livello di istruzione dei genitori e altri fattori socio economici.
Nessuno mette in discussione la libertà dei genitori di scegliere ciò che ritengono più opportuno, il problema però è come vengono indotti i genitori a decidere cosa sia più opportuno. Vengono informati in modo esaustivo sui pro e i contro di ogni opzione? O andando a monte, chi li informa è a sua volta informato sui pro e i contro di ogni opzione? O fa delle valutazioni personali e anche abbastanza di comodo? (devo coprire un programma e il bambino che non capisce bene l’Italiano mi rallenta)
Ci si sta spendendo molto nel cercare di informare insegnanti e pediatri sul peso delle loro parole, ma solo programmi ministeriali estesi, tipo quello del volantino di cui parlavi nelle scuole svizzere, può avere un vero impatto, e in Italia siamo ad anni luce da ciò.
Infine, non si può mettere la lingua madre sullo stesso piano della musica, senza nulla togliere alla musica, la lingua è uno strumento primario di comunicazione e identità, la cui importanza va ben al di là degli studi sul ritardo nello sviluppo dell’Alzheimer….
Hai ragione quando dici che è uno scandalo vivere per 20 anni in un paese e non parlarne la lingua, ma in questo caso il problema sono gli adulti, non i bambini. I bambini la lingua la imparano di sicuro, e bene, a scuola, se il problema sono gli adulti si affronti il problema con gli adulti. Anche se c’è da dire che questo fenomeno c’è sempre stato e credo sempre ci sarà dove c’è immigrazione, fa parte del gioco…
L.
Agnese says
Un po’ mi sono riconosciuta nel post di sopra, cominciando dal fatto che nella nostra famiglia sono presenti due lingue diverse e che abbiamo vissuto in un paesi in cui esiste una terza lingua che per nessuno di noi due genitori e’ una lingua che parliamo a livello decente (anzi la lingua attuale non la parliamo proprio, essendoci appena trasferiti).
I nostri bambini pero’ non sono piccolissimi: per loro, e’ importante interagire anche con qualcuno fuori dell’ambito familiare.
Imparare la lingua locale e’ comunque di vitale importanza per lo sviluppo del bambino come persona (ma anche per un adulto: e’ difficile vivere in un posto e non saper comunicare, od essere costretti ad interagire in modo approfondito con un numero di persone ridottissimo).
Certo, se nemmeno i genitori la parlano, e’ difficile che proprio loro debbano usarla per rivolgersi ai bambini. Quando sara’ ora (ad esempio, di frequentare l’asilo nido, la scuola materna, …) i bambini saranno costretti ad interagire con persone del luogo e da loro impareranno la lingua. Anche se non guasta avere anche nella famiglia un po’ di sostegno, ovvero: buttare un bambino nella mischia, in full-immersion per sei-otto ore al giorno senza prepararlo minimamente e’ qualcosa di pesantissimo da sopportare, per cui il genitore, per quanto puo’, deve contravvenire al comandamento di parlare solo nella propria lingua madre e cercare di rendere piu’ leggero questo periodo di inserimento, per esempio insegnando le parole ed espressioni piu’ utili.
Nel caso della nostra famiglia, noi parliamo nelle nostre lingue madri per necessita’ (ovvero: non esiste un’altra lingua che parliamo con padronanza da madrelingua) ma per quanto riguarda il periodo conclusosi pochi mesi fa, siamo giunti alla conclusione che i nostri figli, anche per nostra negligenza, non si sono mai sentiti a loro agio nel paese che li ha visti nascere e trascorrere i primi anni di vita. Per paura di perdere le nostre radici nazionali, abbiamo mancato di offrire ai nostri figli un piede nella realta’ che li circondava. Risultato: si sono sentiti “estranei”, interagire con gli altri era difficile, e cio’ influiva pure sulla loro serenita’ e sul loro equilibrio interno.
Ora siamo di nuovo all’inizio in un paese diverso, addirittura siamo ancora nella fase di ambientamento. Per quello che riguarda noi, abbiamo deciso di non rinunciare (ovviamente) alle nostre due lingue familiari, ma di aggiungere spazio alle due lingue che i bambini si trovano ad affrontare per interagire col mondo circostante.
Sembra una stupidaggine, ma anche se di turco non sappiamo ancora niente, il solo fatto di imparare insieme rende le cose molto piu’ facili ai bambini.
Non so cosa ne sara’ dei nostri figli una volta cresciuti, come si sentiranno, quante e quali lingue parleranno, pero’ dopo l’esperienza passata di una cosa sono certa: le persone, e quindi anche i bambini, per essere equilibrati e sereni hanno bisogno di rapporti umani, di essere inseriti in una societa’ di cui si sentano parte. Mi sento colpevole di non aver messo piu’ energia ad aiutare i miei figli a parlare tedesco, non perche’ avessi voluto che diventassero tedeschi, ma perche’ non li ho aiutati, per un periodo della loro vita, ad inserirsi e ad avere normali relazioni con i coetanei, a sentirsi parte di un tutto, di un’entita’ piu’ grande della famiglia.
lucia says
Agnese il tuo è un bell’ input: imparare insieme ai propri bimbi.
e sarebbe un bel messaggio da dare ai genitori alloglotti…e certo funzionerebbe.
in bocca al lupo!
Octavia says
la pressione di parlare la lingua dove si vive e di rinunciare parlare la propria lingua con i figli succede anche in Italia. Sono straniera sposata con un italiano e viviamo in Italia. Parlo le mie lingue (vengo da un paese bilinguo) con mio figlio mentre mio marito gli parla in italiano. La famiglia del mio marito mi dice sempre di non parlare la lingua oltre italiano per non confondere il bimbo…italiano è la lingua più importante perchè viviamo in italia e andrà a scuole italiane. Di certo non mi importa di quello che dicono, anche se mi viene un pò dubbio se gli parlo troppe lingue, non mi capisce niente. Io parlo 6 lingue e di solito parlo 4 lingue con il bimbo…però dopo esser criticata in continuazione, commincio a parlargli soltanto 2 lingue. cmq sto ancora cercando il miglior metodo per insegnare le lingue al mio bimbo che ha 14 mesi adesso.
Un amico cinese che abita in francia usa il metodo OPOL ai figli. Con la prima genita lui parla in cinese, la moglie parla indonesiano, e a scuola la figlia impara il francese e poco dopo l’inglese. Con il secondo figlio, lui gli parla sempre cinese, la mamma indonesiano, la sorella gli parla in inglese e a scuola impara francese. Le maestre dicono sempre di non parlare la lingua oltre a francese in casa perche il bimbo è indietro rispetto agli altri bimbi….ma non è per niente vero perche il bimbo cmq impara frencese velocemente e adesso a l’età di 5 anni è già poliglotto, parla 4 lingue benissimo.
lucia says
errata corrige:
la maglietta di Eurolenghis recitava
“Tu s?s libar, fasilu sint?: dopre la t? lenghe!”
“Sei libero, fallo sentire: usa la tua lingua!”
scusate l’inesattezza, saran gli anni che passano…
lucia says
gli accenti si ribellano, scusate…
Tu ses libar, fasilu sinti: dopre la to lenghe!
Sei libero, fallo sentire: usa la tua lingua!
valentina vaselli says
anche io sto imparando il polacco con mia figlia, in questi giorni che mio marito e’ via per compensare l’assenza di polacco ci guardiamo insieme i dvd di mis uszatek, peccato non ho ancora trovato dei cartoni con i sottotitoli, mia figlia non ne ha bisogno ma a me farebbero comodo per imparare meglio!
Eleonora says
@ Lucia
La mia intenzione era andare un po‘ oltre l‘ auto-promozione, il metro-quadrato dell‘ esperienza personale e le cose già dette mille volte qui su BPG ormai canonizzate e considerate come assiomi.
Vedo che non è possibile. Va bene così.
lucia says
Eleonora, scusa, in cosa consisterebbe l’autopromozione?
Eleonora says
Considero ‘‘auto-promozione‘‘ quando si fa riferimento a sé stessi più si 4 volte in tre periodi in modo univoco ignorando palesemente le domande che sono state poste. Una discussione basata su queste premesse non può andare molto lontano.
Bilingue Per Gioco says
Eleonora, Lucia, accettiamo che non ci stiamo capendo e evitiamo gli scontri, non per evitarli per sè, ma perchè non mi pare portino a molto. I commenti ad un post sono una buona opportunità per scambiare idee ma hanno i loro limiti, ovviamente non permettono la ricchezza di scambio, confronto e comprensione che si avrebbe con il dialogo, anzi rischiano di far peggio, e sinceramente mi sembra che questo sia il caso… Il tema è spinoso, ricchissimo e molto sfaccettato, dibattiti su dibattiti ancora non l’hanno esaurito, non saranno i commenti a questo post a mettere la parola fine a questa diatriba.
Se l’obiettivo è condividere idee, riflessioni, esperienze di vita direi che l’obiettivo è stato raggiunto, se l’obiettivo invece è convincere gli altri ad adottare un punto di vista piuttosto che un altro direi che è un obiettivo da rivedere e comunque non è questo il luogo nè il canale giusto per farlo.
L.
Eleonora says
Hai perfettamente ragione, chiedo scusa a te e a tutti gli utenti di BPG. Anche se non mi pare di essermi espressa in termini di scontro ne‘ di aver alimentato una diatriba. osso sbagliarmi. Certo le cose filano più lisce quando si è tutti d‘ accordo.
lucia says
Letizia, sicuramente la tua è una buona interpretazione, non ci stiamo capendo.
Mi spiace che non ci sia stato molto spazio per l’input dato da Valentina: “e voi cosa risponderete?”
Ognuno di noi ha una sua personale storia con la lingua che parla e ci sono tantissime risposte a questa domanda. sarebbe bello leggerne qualcuna, no?
Eleonora says
@Letizia
Si, siam tutti d‘ accordo, queste cose sono state dette mille volte su BPG, quello che mi infastidisce è il giudizio assoluto emerso in alcuni commenti sulle scelte di genitori di cui non conosciamo nulla.
Si tirano in ballo ‘‘studi‘‘ ‘‘si dice‘‘ ‘‘è dimostrato‘‘ ‘‘credo‘‘e tutto si automatizza, nessuno si prende la briga di andare a verificare queste fonti e ci si permette di sparare sentenze (come quella sullo schiarimento della pelle che ho trovato di pessimo gusto).
Non mi sembra un approccio costruttivo. La sola denuncia-continua di un problema non ha nulla a che vedere con la sua risoluzione.
I genitori ‘‘vengono indotti‘ da chi? Da cosa? Da un osservazione di una vicina? Dal consiglio di un insegnante? Dalla pressione sociale? E perché esiste questa pressione sociale? Andiamo a vedere e proviamo a fare un lavoro di empatia con questi genitori che scelgono la lingua ambientale come principale anziché giudicarli tristi e ignoranti.
Conosco molte persone -e ne ho sposato uno- ‘‘vittime,, della politica anti pluri-linguista degli anni ‘60-‘70, i genitori di molti suoi coetanei però se ne se infischiati e hanno educato i loro figli controcorrente. In entrambi i casi si è trattato di scelte personali. I genitori non sono poveri allocchi non in grado di intendere e di volere che il cattivo mostro sistema plasma a sua immagine e somiglianza. Ci sono persone più o meno informate, più o meno istintive, più o meno intraprendenti (quelle differenze che sono alla base dell‘ evoluzione insomma) con tutte le migliaia di variabili che ogni caso richiede. Io capisco perfettamente la generazione di mia suocera che ha deciso di parlare solo una lingua ai propri figli, lo farei anch‘io se mi trovassi in quell‘ epoca, in quel contesto sociale e in quel pease ma non mi va di andare sul personale.
>‘‘Vengono informati in modo esaustivo sui pro e i contro di ogni opzione? O andando a monte, chi li informa è a sua volta informato sui pro e i contro di ogni opzione? O fa delle valutazioni personali e anche abbastanza di comodo?‘‘
Ripeto, domande intelligenti che è utile proporre e approfondire, ripeterle più volte senza analizzare in profondità caso per caso però non mi sembra abbia molto senso.
Non ho messo la lingua madre sullo stesso piano della musica, ho sottolineato alcuni ‘‘effetti collaterali,, comuni al bilinguismo e all‘ educazione artistica sottolineando come, pur rinunciando al primo, esistano molti modi per stimolare i propri figli il che contribuisce a scalfire questo fastidioso ‘‘elitismo,, che spesso noto quando si parla di multilinguismo.
La smetto qui perché ho rubato già molto spazio e inizio a sentirmi un troll.
Grazie a tutte per l‘ interessante discussione, lo scambio di idee e a Valentina per l‘ imput! 🙂
valentina vaselli says
Urca.
Mi sento come quel cretino che lancio’ la mela (la visione di Pollon e le lezioni di epica delle medie sono al momento troppo lontane per ricordarmi se era Paride o altri).
Il motivo per cui ho scritto questo pezzo di dialoghi tratti nel mio attuale quotidiano e’ perche’ mi hanno dato da pensare alle diverse maniere di vedere l’educazione linguistica. Per quanto e’ ovvio che chi si ritrova su BPG abbia deciso di provare ad educare i propri bambini comei bilingue o multilingue e io sia la prima a credere nell’ OPOL molto seriamente, dubbi o scoraggiamento possono comunque sbucare dietro l’angolo e darmi da pensare.
Soprattutto mi sono resa conto che la liberta’ con cui ho approcciato, studiato e impostato il discorso linguistico per mia figlia non e’ una liberta’ assodata e scontata per tutti, sia per motivi di mentalita’ personale che per motivi di mentalita’ sociale. E scoprire che una liberta’ per me ovvia, invece non lo e’, me l’ha resa ancora piu’ preziosa.
Cosi’, quando stamani la vicina libanese mi ha detto tutta allegra che ha passato il weekend a insegnare canzoncine in tedesco ai suoi bimbi, ho pensato che forse in questo suo slancio c’e’ il mio zampino. Ora, gia’ che non lavoro e mi occupo di casamaritofiglia, penso possiate capire che queste piccole cose per me son soddisfazioni 🙂
valentina vaselli says
no Ele, non fraintendermi, io sono contenta di aver suscitato punti diversi, come dice Letizia il confronto e’ costruttivo (il cercare di convincere gli altri meno). La faccenda di Paride era una battuta per alleggerire l’atmosfera 🙂
valentina vaselli says
ops, scusate avevo letto dalla posta elettronica e pensavo che l’ultimo commento di Eleonora fosse dopo il mio. E dopo questa figurella, mi ritiro in buon ordine
Valeria says
mi avete dato da pensare 🙂 (sottointeso: grazie, fa sempre bene!)
Sono non native speaker, da 8 mesi parlo inglese con i miei bimbi di 2 anni e mezzo e 1 anno.
Il mio bimbo più grande è piccolo per i perchè e così non ho pensato in anticipo alla risposta.
E poi tutti gli adulti che frequento, o anche gli sconosciuti a cui è capitato di sentirmi parlare inglese ai bimbi, non mi avevano ancora fatto la fatidica domanda: o se ne stavano diplomaticamente zitti o al limite commentavano che gli sembrava una buona idea.
Ultimamente sono stati dei bambini (l’ingenuità no?), i cuginetti per esempio, che mi hanno chiesto “perchè gli parli in inglese se sai l’italiano?”. Lì mi sono accorta di non avere poetiche risposte, ma solo un banale “io so l’inglese e parlandolo insieme loro lo imparano”.
E po ci ho un po’ ripensato, soprattutto dopo questo post.
Penso che la mia motivazione principale è proprio quella semplice (banale?) che più o meno ho dato a quei bimbi… io so una lingua che fra l’altro è utile, se i miei figli la orecchiano sentendola in modo “facile” è un regalo, un’opportunità che gli sto offrendo, come tante altre cose che cerco di fare per loro.
Certo, poi posso dirmi che ho altre ragioni oltre a tutte quelle generali già citate, che presto ci trasferiremo all’estero (e la consapevolezza che esistono più lingue sarà d’aiuto ai miei figli), posso dire che è una (piccola) parte di me e della famiglia visto che abbiamo parenti in USA dove ho passato un anno importante della mia adolescenza e che ho anche passato due anni in UK. Ma penso vengano parecchio dopo.
Forse per questo sin dall’inizio non ho sentito la mia motivazione solidissima e anche adesso tengo questo progetto in fase di continua di revisione e osservazione. E sotto sotto, accolgo anche la possibilità che una delle mie spinte sia “l’autocompiacimento” nella misura in cui cerco sempre di fare la mamma perfetta anche se razionalmente so che non è possibile e soprattutto che non necessariamente tanti begli stimoli producono dei bambini felici, che è quello che mi interessa veramente.
Però sto continuando, anzi sempre meno soft, e sono comunque contenta della scelta e quindi aggiungo questo intervento.
Un po’ con la filosofia degli interventi del post “Ci sono anch’io, e non mi sento speciale”
*divagazione (una storia sentita da una piscologa che si rivolgeva a delle neomamme) “Un contadino ha un seme prezioso e ne vuole far crescere una bellissima pianta. prepara un terreno concimato perfetto, nel campo più adatto che ha proprio le giuste condizioni climatiche e sceglie il momento giusto dell’anno per piantare il suo seme. Poi lo annaffia con cura e lo protegge dalle intemperie. Passa il tempo e la pianta non nasce.” Morale: per fare crescere una pianta bella e sana non è che ci vuole anche qualche svista e qualche grandinata? Utile per quando si è dubbiosi se si sta facendo bene o male)
valentina vaselli says
valeria grazie per aver preso il tempo di scrivere della tua esperienza…divagazione inclusa!