Oggi vi propongo un gioco. Non mi piacciono molto le etichette, le categorie, le definizioni, ma vorrei che ci soffermassimo un attimo e pensassimo a quale tipologia bilinguistica apparteniamo. Spesso non facciamo parte soltanto di una, ma a seconda del momento, del periodo, dei risultati ottenuti, dei traguardi raggiunti possiamo rientrare in più categorie. Nella mia esperienza personale ho incontrato queste (le denominazioni sono volutamente scherzose):
– Il determinismo bilinguistico. Quando si dà il bilinguismo per scontato. Di solito si fanno affermazioni del tipo Ah che bello, mia figlia parlerà due lingue, oppure Sarà bilingue, chissà come vivrà questa sua dualità. Le cose sono così perché sono così. Ma se c’è una cosa poco scontata è il bilinguismo.
– Il fatalismo bilinguistico. Accettiamo passivamente il corso degli eventi. Se ha da diventa’ bilingue, così sarà. Ma ci diamo poco da fare. Se la nostra prole non diventa bilingue è perché era destino.
– Il negazionismo bilinguistico. Quando si vuole cancellare ogni traccia di una cultura madre per perseguire l’integrazione. Oppure per “evitare di confondere”.
– Il positivismo bilinguistico. Essere bilingui è naturale, noi continuiamo a comportarci come sempre, inutile stare lì a scervellarsi. Se il bimbo deve diventare bilingue, lo diventerà e noi non è che dobbiamo fare niente di che. Just be ourselves.
– La psicosi bilinguistica. Ci scervelliamo, impazziamo, andiamo nel pallone alla prima manifestazione di code-switching. Mio figlio DEVE diventare bilingue.
– L‘assertività bilinguistica. Siamo consapevoli che in questa vita non c’è (quasi) niente di scontato e dunque ci informiamo, indaghiamo, ci confrontiamo e mettiamo in preventivo che i bambini possono anche non diventare bilingui, ma che sono di gran lunga più importanti il loro benessere e la loro serenità.
Personalmente mi sono riconosciuta in quasi tutte queste categorie (in alcune proprio mai), soprattutto in determinati momenti dell’inizio del mio percorso di madre di bambini bilingui. Alcune volte, all’interno persino di una fase x, mi sono scoperta a fare ragionamenti y. Questa è una delle caratteristiche del plurilinguismo: è in continuo divenire. Le lingue non sono statiche: cambiano, evolvono. Anche il nostro rapporto con loro fluttua ed è soggetto a mutamenti. Il bilinguismo non è un’eccezione.
Avete altre categorie da aggiungere anche voi? Sono curiosa!
Immagine: My First Bilingual Book – Opposites, Contrari (su amazon.co.uk, mentre su amazon.it ancora non c’è, c’è solo questo della stessa serie)
Bilingue Per Gioco says
Interesting! Io mi sento assertiva, che del resto, diciamocelo, sa un po’ da risposta esatta…
L.
paola says
Beh, ma senza positivismo non si va da nessuna parte, bisogna essere spontanei, niente forzature!
Da quanto spontanea sono mi tocchera’ riprendere corsi di tedesco per star dietro a Morgan….con Axèl a 8 mesi ancora ce la faccio!
Chiara says
Cosa ne dite di “passione bilinguistica”? Ci appassiona tanto la conoscenza delle lingue che si cerca di trasmetterla ai figli sin dalla nascita. E vista l’eta’ gli facciamo scoprire giochi, canzoni, personaggi di libri e cartoni animati nella loro lingua originale, stimolandoli ad apprenderla proprio per conoscere meglio i loro beniamini.
Melanie says
Che bello! E vero che ci sono tanti tipi. Io faccio parte del determinismo bilinguistico, essendo madrelingua inglese sposata con un italiano, ma con tanti momenti di psicosi… Insomma come fa una mamma madrelingua e perlopiu insegnante ad avere figlie che non sanno l’inglese? DOVEVANO crescere bilingue, oppure significava che io ero un fallimento totale sia come mamma sia come insegnante. Psicosi? Di sicuro.
Ivonne says
Io mi definirei appassionata bilingue, molto assertiva ma anche un po’ fatalista. Insegno Inglese alle mie bimbe per passione ma spero potranno scegliere autonomamente cosa farne, un giorno.
Che ne dite di una categoria “evoluzione bilinguistica”? Io non sono bilingue, ma parlarlo ogni giorno con le mie bambine mi permette di scoprire sempre una parola nuova!
Marika says
Che post delizioso!
Non so dire che tipo di “bilingue” sono,
anzi, in modo pignolo, non potrei nemmeno definirmi bilingue
da mamma mi aggrego al vagone “passione bilingue” di Chiara e a quello del positivismo,
senza troppo rifletterci. Decisamente.
A. says
isterica, testona e pessimista di natura… mi fascio sempre la testa prima di rompermela (e forse per questo non me la sono mai rotta per bene)… pianifico prima, e poi correggo navigando a vista, dove vedo che serve un supporto, cerco di mettercelo. Ah, rifiuto di essere categorizzata, sia pure come anarchica 😀
Agi says
Io mi sono riconosciuta in fatalista, positivista, determinista ed assertiva. Un bel minestrone insomma. Sarebbe bello essere sempre assertivi, ma in questa fase confesso di pendere piu’ dalla parte positivista, causa tanto lavoro.
Carolina says
Grazie a tutti dei commenti! Vi chiedo scusa se intervengo solo ora, ma sono stata malino.
Partivo dicendo appunto che non mi piacciono le categorie. Più che essere categorizzati (anche anarchici come A. :D), a me interessava offrire uno spunto di riflessione a tutti quanti, perché spesso siamo presi dal “come fare” (quali libri, quali materiali, quante ore, chi parla cosa), e meno dal “come essere”. 🙂
Io mi sono trovata più o meno in tutte le categorie (tranne in quella negazionista, giammai!). Ora mi ritengo assertiva, anche se ogni tanto ci sono momenti di “determinismo” (“chissà come vivranno i miei figli la loro identità da bilingui…”), ma finché è così ci sto: ritengo sia normale scervellarsi un pochino, soprattutto quando il bilinguismo come fenomeno lo studi a livello accademico come faccio io. Anzi, questo è spesso un rischio, perché lì subentrano altre paranoie: io mi occupo di bilinguismo a livello accademico e professionale, pensa se i miei figli non diventano dei bilingui bilanciati… In quei momenti poi, come meccanismo di difesa, tendo al fatalismo (“aoh, come va, va”, detta proprio alla romana, ché nel bilinguismo entrano in gioco anche i dialetti!), ma poi mi riprendo e torno assertiva: la cosa più importante è il loro benessere 🙂
Un casino, insomma :-))