Questa settimana metto da parte le recensioni di libri particolari, per proporvi una riflessione di carattere più generale sui cosiddetti “libri per l’infanzia” (per quello che può valere una simile definizione).
Circa un anno fa girava su Facebook un giochino in italiano dove si chiedeva quanti libri avessimo letto su una lista di 100 libri stilata dalla BBC. Una cosa che mi colpì subito, come estranea alla cultura italiana, era l’alta percentuale di libri classificabili come “letteratura per l’infanzia”. La lista (che poi ho scoperto essere stata “ritoccata”, nel senso che classici molto “British” erano stati sostituiti da testi di letteratura italiana) era nata da “The Big Read”, un’iniziativa del 2003 con cui la BBC aveva chiesto al suo pubblico di votare per il libro più amato del Regno Unito. Circa 750.000 votanti hanno dato luogo ad una lista di 100 libri, con in testa “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien. Già tra i primi dieci ci sono ben cinque libri “per bambini”, da Philip Pullman a J.K. Rowling, da C.S. Lewis a A.A. Milne. Potremmo discuterne a lungo, ma qui vorrei limitarmi a due punti: 1) gli autori che si rivolgono ai bambini come loro pubblico privilegiato non sono relegati in un ghetto, ma si presentano fianco a fianco (e a testa alta) con gli autori più “seri” che scrivono per gli adulti; 2) alla richiesta di nominare il proprio libro preferito, moltissimi hanno pensato (e non si sono vergognati di dirlo) ai libri che avevano letto da piccoli, evidentemente perché sono quelli che ti lasciano una traccia indelebile nel cuore.
E qui in Italia? Confesso che faccio fatica a trasferire questi dati al nostro contesto nazionale. Anzitutto perché si legge poco, lo sanno tutti, siamo ben al di sotto della media europea (cfr. dati del 2006 qui). E poi, forse proprio perché la lettura e la cultura sono dominio di pochi, mi sembra che ci sia un certo snobismo diffuso e poca compenetrazione tra generi e lettori. Ai bambini quel che è per i bambini, agli adulti quel che è per gli adulti. J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis erano due accademici, due professori universitari che, già diversi decenni fa, non avevano paura delle favole. Ecco quanto affermava Lewis, il creatore del mondo di Narnia: “Critics who treat ‘adult’ as a term of approval, instead of as a merely descriptive term, cannot be adult themselves. To be concerned about being grown up, to admire the grown up because it is grown up, to blush at the suspicion of being childish; these things are the marks of childhood and adolescence. And in childhood and adolescence they are, in moderation, healthy symptoms. […] When I was ten, I read fairy tales in secret and would have been ashamed if I had been found doing so. Now that I am fifty I read them openly”.
Se scorro i titoli degli scaffali “per bambini” in casa nostra (che per comodità sono disposti a parte, anche se in realtà includono volumi letti da mamma e papà, ancora troppo complicati per il treenne di famiglia), vedo nomi di autori altrimenti famosi per il pubblico adulto: da Henning Mankell a Daniel Pennac, da Isabel Allende ad Amos Oz, passando per Luis Sepúlveda, per fare solo alcuni nomi. Si tratta di autori best-seller dei paesi più diversi, che non snobbano di scrivere per il pubblico dei piccoli, ma non mi vengono in mente casi analoghi nel Bel Paese (smentitemi, vi prego!). È anche un fatto di mercato, certo, ma è anche vero che, nel desolante panorama della lettura in Italia, la quota più alta di lettori si riscontra tra gli 11 e i 17 anni (ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi oltre il 59% dei ragazzi contro la media del 46,8% della popolazione totale), con un picco del 65,4% tra gli 11 e i 14 anni (dati Istat 2010).
Con ciò non voglio nulla togliere al lavoro assolutamente meritevole degli operatori del settore, autori, editori, illustratori che si specializzano per il pubblico infantile. Anzi, ci sono cose bellissime che vengono prodotte nel nostro paese. Però mi dispiace che queste persone, tendenzialmente, operino un po’ in disparte e non vengano valorizzate pienamente dalla società, cui per altro rendono un servizio quanto mai prezioso. E non riesco a non inserire questo atteggiamento in un contesto più ampio, dove i bambini e le loro famiglie non trovano lo spazio che meriterebbero. Sogno un paese dove la lettura familiare ad alta voce sia una pratica “mainstream” e non un’abitudine di nicchia, dove si vada in biblioteca perché è un posto bello e divertente dove passare il tempo insieme ad altri bambini e genitori. L’Italia è un paese per vecchi? Vedere e toccare con mano che in altri paesi le cose vadano diversamente mi fa sperare che, partendo dal nostro piccolo familiare e con l’aiuto dei nostri bambini, anche con i libri possiamo costruire una società migliore.
Immagine: Don’t Tell the Grown-Ups: The Subversive Power of Children’s Literature di Alison Lurie www.amazon.it e www.amazon.co.uk
Arianna says
Ciao Eva, molto interessante. In italiano a me sembra rilevante il progetto della Scuola Holden, in particolare la collana Save the story, curata da Alessandro Baricco e destinata a ragazzi dalle elementari in poi (noi li leggiamo già dallo scorso anno però): si basa sul proporre grandi classici della letteratura italiana e straniera raccontati da altrettanto grandi scrittori del nostro tempo (Eco racconta I promessi sposi, Benni il Cyrano de Bergerac, Camillari Il naso di Gogol, etc.) http://www.scuolaholden.it/Projects/savethestory
Umberto Eco ne ha parlato anche nell’ultima Bustina di Minerva su L’Espresso.
Mi viene in mente che lo stesso Stefano Benni ha scritto libri illustrati per ragazzi, ricordo Miss Galassia ma mi pare anche altri…
A
Arianna says
Camilleri, ovviamente.
Bilingue Per Gioco says
Ma si può essere grandi autori di letteratura per adulti E per bambini?
Tolkien e Lewis saranno due universitari ma sono noti per i loro libri per ragazzi. Io trovo Sepulveda un autore ai limiti della genialità (penso a Cecità) ma sinceramente il suo ultimo libro per bambini non mi ha particolarmente colpita. Rodari è un classico intramontabile, un riferimento, ma per la letteratura per bambini.
Sicuramente qualche autore ci sarà che ha eccelso in entrambi i campi (ci aiutate nella ricerca?) ma credo che la questione non sia se i grandi autori si dedicano o meno alla letteratura per ragazzi, ma se la grande letteratura per ragazzi viene riconosciuta come tale, e questo alla fine dipende in gran parte dai volumi delle vendite, come del resto succede anche per la letteratura per adulti… Certo, potremmo metterci a disquisire sulla differenza tra i grandi autori e gli autori che vendono tanto, ma il discorso si complica…
L.
raffa says
Grazie Eva, quante suggestioni! Se penso alla mia famiglia di origine, noi figli in generale avevamo poche cose oltre ai pasti condivise coi genitori, né il gioco, né la cucina, né la lettura, facevamo invece molto fra fratelli e con coetanei. Io penso che, almeno in Italia, questa abitudine di “fare coi figli” sia relativamente recente. Rispetto alla lettura il progetto “nati per leggere” che invita alla lettura condivisa intercetta un bisogno effettivo, e devo dire che fra pediatri, maestre e biblioteche oggi si fa davvero molto (anche se mai abbastanza), ma forse anche questo dipede da città a città, o da regione a regione? banalmente quasi 40 anni fa io sono stata “salvata” dalla bibliotechina di classe, che poi mi ha portato alla biblioteca di quartiere e sono diventata una lettrice forte. un po’ OT: alle feste di compleanno a cui vengono invitati i miei figlioli i regali si spacchettano spesso alla fine, uno dietro l’altro, e quindi hai il colpo d’occhio, ci sono miriadi di giochi di tutti i tipi, capi di abbigliamento, ma libri vengono regalati sempre in maniera molto residuale, perché?
Jessica says
Molto interessante, Eva, grazie! Lo segnalo subito su FB!
Eva says
grazie a tutte dei commenti e scusate se non ho risposto prima, ma questa settimana in casa siamo stati stroncati dall’influenza…
@arianna non conoscevo il progetto Save the Story, grazie per la segnalazione!
@raffa ottimo progetto Nati per leggere!
@letizia secondo me ci sono autori in grado di raccontare belle storie, facendosi leggere ugualmente da grandi e piccoli (anche se su livelli diversi, ovviamente). il nodo per me non è tanto chi scrive cosa, ma appunto chi legge cosa e quale considerazione sia riservata agli uni o agli altri testi a livello, diciamo così, sociale-culturale… lo stesso c.s. lewis (i cui romanzi di fantascienza per adulti mi dicono siano molto belli, anche se io personalmente non li ho ancora letti) diceva che un libro che non valga la pena di essere letto da un adulto non dovrebbe leggerlo nemmeno un bambino… insomma, un buon libro è un buon libro e basta. poi secondo me il nodo di fondo è quanto si legge in generale in una società, tutto il resto segue da lì…