Vi voglio parlare di questo mese passato alla scuola internazionale da Grillina, trascorso in modo un po’ altalenante. Per chi si fosse perso le puntate precendenti (qui e qui ) Grillina, di cinque anni compiuti, frequenta una scuola materna internazionale di lingua inglese, Ometto, appena tre anni, frequenta invece una scuola locale, ovvero non internazionale, la cui lingua ufficiale quindi è la lingua del paese in cui viviamo (extra-europeo, di lingua non indoeuropea) e che qui sarà chiamata korotese,
Dopo un inizio faticoso e stancante, Grillina pare si sia definitivamente ambientata e, al momento, le maestre mi dicono che si sente così a proprio agio da cominciare a dare problemi riguardo al comportamento a scuola: le maestre mi hanno riferito di un paio di episodi in cui Grillina si è comportata decisamente fuori luogo (una volta, lei e un’altra bimba hanno preso le “scarpe-da-scuola” di un loro compagno e le hanno bagnate con l’acqua, un’altra volta lei ha tirato i capelli ad un’altra bambina e l’altra l’ha graffiata, non ho capito in quale sequenza).
Spesso a casa Grillina mi racconta di una situazione tra i bambini che non definirei certo idilliaca, e di cui io, da piccola, non ho mai avuto lontanamente esperienza. Dai suoi racconti deduco che le bambine della classe (credo, la meta’ circa su diciotto bambini) socializzano a gruppi piuttosto chiusi, e ci sono bambine che dettano legge e che non vogliono giocare con alcune altre bambine e nemmeno permettono che le loro amiche giochino con loro. In classe, non è raro che, tra bambini, ci si faccia i dispetti e più di una volta ho notato che Grillina tornava a casa graffiata. Altre volte una delle sue compagne mi ha detto che Grillina le dava i pizzicotti sulla mano. Non sto ad elencare tutti gli esempi di comportamenti negativi di cui sono venuta a conoscenza, ma sono parecchi e variegati.
Forse sarò un po’ esagerata a preoccuparmi per questo, ma mi chiedo se questi atteggiamenti siano normali tra bambini così piccoli e se gli insegnanti e le famiglie possano fare qualcosa. Dal canto mio, io cerco di insegnare ai miei figli che non bisogna assolutamente fare male agli altri, e che, nel caso qualcuno faccia loro male o dispetti, non dovrebbero restituirgli lo stesso trattamento ma informare la maestra, in modo da interrompere la catena. Lo stesso pare che facciano gli insegnanti: quando c’è un problema, intervengono prima parlandone con i bambini e, se lo ritengono necessario, ne informano anche i genitori. Inoltre, cerco di insegnare ai miei figli che non è giusto escludere qualcuno: come si può sentire un bambino se tutti gli altri gli danno addosso e non vogliono giocare con lui?
Non so come sia la linea di condotta degli insegnanti su questo punto, anche se mi aspetto che non possa essere troppo diversa da quanto mi immagino.
Mio marito invece è piuttosto scettico, avendo lui vissuto sulla sua pelle una situazione in cui gli insegnanti, per principio, non interferivano in nessun modo per indirizzare i comportamenti sociali dei ragazzi: pur essendo a conoscenza del fatto che alcuni studenti erano esclusi o presi di mira, accettavano il fatto senza batter ciglio e senza sentirsi in dovere di fare qualcosa per creare uno spirito di rispetto, senso di comunità e collaborazione tra tutti gli appartenenti ad una stessa classe. L’esperienza di mio marito è relativa ad una fascia di età ben diversa da quella di mia figlia, ma la condizione in cui egli si trovava allora era molto simile a quella in cui si trova mia figlia ora, sotto molti aspetti.
A parte questo, le cose alla scuola sembrano procedere bene: questo mese è stato il primo in cui Grillina ha consapevolmente ed entusiasticamente raccontato a casa dell’unità didattica che stavano svolgendo a scuola. Questa svolta positiva è probabilmente dovuta all’ulteriore miglioramento nella comprensione dell’Inglese e al maggiore interesse personale verso le tematiche affrontate: si è parlato delle forme dell’acqua nella natura (solido-liquido-gassoso), del ciclo dell’acqua, e di tante altre caratteristiche della materia usando un approccio molto efficace, quello di fare dimostrazioni concrete e tangibili di ciò di cui si sta parlando, quindi: esperimenti, esperimenti, esperimenti, da mostrare ai bambini e poi da lasciar fare a loro, da soli o in gruppetti. Inoltre in un paio di occasioni le classi del Kindergarten hanno collaborato con gli studenti di classi più avanzate: mia figlia è stata entusiasta di quando, insieme ai ragazzi del Settimo grado, ha assistito e partecipato alla preparazione del gelato. Quale metodo migliore di coinvolgere i bambini, se non quello di lasciarli collaborare e guidare da bambini più grandi di loro?
A coronare il tutto, come di consueto, un paio di uscite didattiche, in questa occasione un museo della scienza e un museo di storia naturale.
Questa unità didattica si è da poco conclusa con un bilancio molto positivo da parte di mia figlia; spero la sua partecipazione continui e si sviluppi ulteriormente anche nella prossima unità didattica, volta a sottolineare il trascorrere del tempo e il fatto che la realtà d’un tempo era molto diversa dalla realtà del giorno d’oggi.
La prossima volta vi parlerò più in dettaglio della giornata tipo di mia figlia al Kindergarten: in realtà, ne avevo un’idea fin dall’inizio, ma solo ora che mia figlia riesce a raccontare con precisione quanto succede mentre è a scuola posso dire di essermene fatta un’idea abbastanza verosimile.
A risentirci tra un mese!
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antonia says
ciao Agnese, grazie per la tua testimonianza, anch’io come te in agosto sarò catapultata in un’altra nazione con i miei cuccioli di 3 e 5 anni!sono molto felice ma anche un pò preoccupata proprio riguardo alle scuole che frequenteranno e ai problemi che potremo avere: scuola internazionale o locale? come reagiranno i piccoli e cosi via…e anch’io come te non ho un inglese fluente,e sto cercando di mettere in atto quelle strategie che mi sembra siano state anche le tue: fargli fare sin d’ora un pò di inglese e prender una au pair, ma al di la di tutto penso con fermezza che sarà una esperienza molto importante per i miei figli e che valga la pena di superare paure e timidezza per regalare questa possibilità ai bambini. Anch’io trovo Bpg una ‘palestra’ di spunti di riflessioni e di crescita molto ben fatta, tutte le mattine, prima che i bimbi si sveglino, controllo la posta elettronica e qulche volta sono in anticipo sulla nostra cara Letizia, e le sue mail sono sempre un bel leggere e …crescere! grazie Agnese, mi hai fatto riflettere sul fatto che al di la del tipo di scuola ciò che conta è che i bimbi siano sereni e partecipativi. Aspetto con curiosità il tuo prossimo resoconto, e con molta probabilità ti farò un mucchio di domande! adesso devo sedimentare!a presto.
Agi says
Cara Antonia, benvenuta, e grazie del tuo commento!
Ricordo ancora la mia trepidante attesa del trasferimento l’anno scorso, di questi tempi, quando in famiglia e’ arrivata la grande notizia. Quanti dubbi, quante paure insieme all’entusiasmo e alla curiosita’ verso la nuova destinazione… ripensandoci, vedo quante paure inutili ho avuto, e quanto sia diverso l’effettivo vivere qui rispetto a quanto mi ero figurata.
Certo, come sempre la piu’ grande preoccupazione e’ data dai figli: un genitore si chiede come si troveranno, si adatteranno, sara’ troppo difficile per loro, ne varra’ la pena di buttarli in una situazione del genere? E’ possibile prepararli in qualche modo a quanto li aspetta?
A dire il vero, certe cose che prima di partire mi davano pensiero non le ho nemmeno sentite, mentre sono spuntati altri problemi che non mi sarei per nulla aspettata.
Vi auguro di partire il piu’ possibile entusiasti e ben disposti, ma anche “preparati” e con aspettative realistiche: anche nel migliore dei casi, l’adattamento ad una nuova situazione e’ graduale e di solito comporta problemi… superabili. Non dico che sara’ tutto facile, ma con pazienza, buon senso e nervi saldi credo si superi tutto! (o quasi)
Per quanto riguarda la scelta delle scuole… cerca di sentire le persone del luogo: se vi spostate per lavoro, probabilmente parlate con i vostri futuri colleghi, vi sapranno consigliare.
Noi, a dire il vero, siamo stati un po’ incoscienti a riguardo: abbiamo piu’ o meno accettato l’opzione che ci veniva offerta nel pacchetto trasferimento, fidandoci un po’ alla cieca. NOn dico che siamo caduti male, anzi: la scuola locale di cui dubitavamo si e’ rivelata una splendida scelta. L’altra scuola non e’ male, ma, ad essere sincera, mi aspettavo di piu’. La terremo in osservazione, ma, nella nostra situazione, le alternative non sono molte. Ne parlero’ prima o poi in un post, ovviamente i genitori che mandano i figli alla scuola internazionale non ne parleranno mai male (si paga un bel po’!), ma io i miei dubbi ce li ho, e, quando li avro’ bene organizzati, li esporro’.
Buona fortuna a tutti voi per la vostra nuova avventura!
Alessandra says
Cara Agi,non vedevo l’ora di leggere la seconda puntata!!Sto vivendo la tua stessa situazione in Cina con due figli piccoli e tanti dubbi sulla scuola che abbiam scelto(bilingue e costosa!)..ma credo che li avrei avuti in qualunque caso…leggere i tuoi racconti e’ un po’come condividere dubbi,ansie,emozioni…grazie e complimenti!!!Ad ogni modo,i bambini hanno sempre mille risorse e son davvero capaci di sorprenderci!!
Alessandra says
Una sola domanda:conosci il korotese??altrimenti in quale lingua comunichi con le maesrte di ometto?quello dell’ostacolo linguistico e’ stato infatti uno dei motivi x cui abbiamo iscritto i miei piccoli ad una scuola internazionale!
Agi says
No, lo sto “studiando” ora piano piano, purtroppo con discontinuita’… ma procede.
Ovviamente per comunicare con le maestre di ometto parliamo inglese: la responsabile della divisione di mio figlio parla abbastanza inglese da comunicare con me. Quando c’e’ stato l’incontro tra maestre e genitori e non riuscivo da sola a seguire il lungo discorso in korotese, uno dei genitori mi si e’ seduto vicino e mi ha tradotto le cose piu’ importanti.
La cosa piu’ bella e’ vedere quanto sono ben disposti verso i genitori in generale: nel mio caso, vedo che si sforzano molto di parlare con me, nonostante per loro l’inglese non sia facile. Questo anche mi motiva a cercare di imparare il korotese. Lo farei comunque visto che sono qui, ma mi impegno di piu’ anche per riconoscenza verso le splendide persone alla scuola di mio figlio.