La disfluenza verbale, o balbuzie, è un disordine della parola che colpisce circa l’1% della popolazione mondiale: la fluidità è interrotta da ripetizioni involontarie e prolungamenti di suoni, sillabe, parole o frasi e da involontarie pause. Le disfluenze di questo tipo devono essere distinte dalle esitazioni comuni nel parlare e dalle incertezze che derivano da una scarsa padronanza della lingua.
Le disfluenze verbali si trovano in tutte le lingue e in tutte le culture, ma ci sono alcuni aspetti particolari che riguardano i bambini bilingui. Si calcola innanzitutto che il numero di bambini bilingui sia in crescita: i bilingui sono circa il 50% della popolazione mondiale, sono circa 4,6 milioni i bambini bilingui nelle scuole statunitensi e il 10% dei bambini delle scuole europee parla una lingua che non è quella parlata dalla maggioranza del paese in cui vive. Questa realtà porta principalmente a chiedersi se e come sia possibile occuparsi adeguatamente di plurilingui nei contesti clinici attuali.
Per fare un esempio della complessità nel trattamento di questi casi prendiamo ad esempio la storia di Sugrah (tratta da qui) che ha 6 anni ed è immigrata a Montreal dal Pakistan. I suoi genitori a casa parlano Urdu, anche se tutti i familiari hanno come seconda lingua l’inglese. Sugrah e i suoi fratelli maggiori frequentano la scuola francese ed è questa la lingua in cui Sugrah dimostra competenze migliori, anche se si registrano ritardi e difluenze in tutte le lingue che la bambina conosce. La soluzione terapeutica proposta alla famiglia di Sugrah è quella di rafforzare il francese, che però i genitori non conoscono bene.
Come si ricava da questo esempio, ci sono almeno cinque domande peculiari che le disfluenze verbali nei bilingui pongono alle famiglie, ai clinici e ai ricercatori. Anche se allo stato attuale la ricerca non è in grado di per rispondere in modo certo a tutti gli interrogativi che le disfluenze nei bilingui pongono, è utile conoscere i principali aspetti del percorso di diagnosi e trattamento.
1. La balbuzie è più frequente nei bilingui? Allo stato attuale della ricerca non ci sono sufficienti prove né per confermare né per rifiutare l’ipotesi che ci sia un collegamento tra bilinguismo e le disfluenze verbali. Il monolinguismo non è quindi da vedere né come soluzione né come prevenzione: nel caso di bambini bilingui con disfluenze verbali, viene consigliato alla famiglia di seguire un percorso adeguato al bambino bilingue, con personale specificamente preparato ad affrontare questa difficoltà nel modo migliore.
2. Il livello di conoscenza di una lingua influisce sulla fluenza? Ogni bilinguismo è diverso ed è importante tenere conto dei diversi percorsi di apprendimento: ad esempio, un bambino che ha iniziato da poco l’apprendiemtno di una seconda lingua potrebbe avere incertezze e sospensioni che potrebbero indurre ad un’errata diagnosi di balbuzie. Un caso simile è quello di ‘falsi errori’ linguistici dovuti all’influenza della lingua più forte sull’altra, nl caso si Sugrah, strutture del francese potrebbero emergere quando parla Urdu o inglese. Un caso a parte sono il code switching e il code mixing, da analizzare nella loro complessità, e naturalità, senza leggerli come segnali di un disagio. Concludendo, è importante a livello clinico conoscere la storia del bilinguismo individuale: per questo, la famiglia viene coinvolta per raccogliere il maggior numero di informazioni circa l’età in cui si è introdotta una nuova lingua, i contesti di interazione nelle diverse lingue, la scolarizzazione etc.
3. E’ possibile distinguere vere e proprie difficoltà di espressione da problemi di fluenza in una lingua non nota al personale medico?
Allo stato attuale, mancano le linee guida per un accurato riconoscimento della disfluenza in una lingua non condivisa tra clinico e paziente. E’ possibile che le difficoltà si manifestino in modo diverso nelle diverse lingue conosciute, o che alcune incertezze nella fluenza potrebbero essere imputabili ad una scarsa conoscenza della lingua da parte del bambino: è quindi importante poter fare una valutazione in tutte le lingue conosciute dal paziente e che questa venga fatta da personale che conosce le diverse lingue. In questi casi è utile chiedere aiuto ad un mediatore che, conoscendo la lingua e gli usi di una particolare cultura, possa contribuire all’identificazione di eventuali difficoltà di espressione e alla valutazione del livello di competenza in quella lingua. Quando non sia possibile ricorrere ad un mediatore, i medici possono chiedere la collaborazione dei familiari.
4. Le disfluenze verbali possono essere trattate in modo adeguato nei bambini plurilingui?
Non ci sono ad oggi trattamenti terapeutici standardizzati: le strategie di trattamento in uso spaziano dal differimento nell’introduzione della seconda lingua, alla sospensione temporanea del bilinguismo, al trattamento della lingua più forte, come il francese nel caso di Sugrah. Si segnala anche un nuovo tipo di trattamento, sviluppato presso l’Università di Sydney, il Lidcombe Program, che sembra molto promettente, anche se i dati della ricerca non sono ancora sufficienti per generalizzare i risultati. La famiglia viene spesso chiamata a partecipare alla decisione, perchè il suo ruolo di sostegno e di aiuto pratico nelle interazioni quotidiane è molto importante.
5. Quale ruolo giocano le differenze culturali nel trattamento?
Ci sono due aspetti fondamentali da tenere presenti: in primo luogo, gli aspetti psicosociali dell’inserimento di un bambino in una nuova cultura; in secondo luogo, le credenze e le aspettative della famiglia riguardo al bilinguismo e alla nuova lingua. Gli aspetti emotivi potrebbero influire sulla balbuzie, aggravandola, o renderne più difficile il trattamento; gli atteggiamenti, gli usi e le credenze della famiglia potrebbero interferire con un trattamento che non tenesse adeguatamente in considerazione il contesto psicosociale e familiare.
Come si vede da questa breve introduzione, la famiglia è chiamata più volte in causa. E’ ritenuto sempre più importante, non solo in questo caso, che i pazienti possano avere gli elementi di base per comprendere i fattori in gioco nella diagnosi e nella cura. In italiano, ‘paziente’ indica chi ‘subisce’ (< patior in latino) il processo di cura. In senso opposto a quello etimologico, è utile invece promuovere una cultura dell’im-pazienza, del paziente attivo che partecipa e collabora con i professionisti al processo di cura. Una collaborazione particolarmente auspicabile nel caso di incontri tra culture e lingue diverse.
Per approfondimenti
Immagine: Bloodstein, O., & Bernstein Ratner, N. (2008). A handbook on stuttering (6th ed.). Clifton Park, NY: Delmar., su amazon IT e amazon UK
In cammino verso l’im-pazienza: Dal dottore
Fonti principali
John Van Borsel, Elise Maes, Sofie Foulon (2001). Stuttering and bilingualism A review. Journal of Fluency Disorders 26: 179±205.
Rosalee C. Shenker (2011). Multilingual children who stutter: Clinical issues. Journal of Fluency Disorders 36: 186–193.
Marina says
Interessante.
Volevo chiedere il tuo parere anche su un altro problema linguistico. Un’amica ha un bambino che a tre anni non dice una parola, emette solo suoni (la mamma infatti ha paura che il bambino possa essere autistico anche se i medici per il momento sono vaghi). In questo caso il bilinguismo puo’ essere secondo te un problema? Bibliografia in proposito? Ti ringrazio molto anticipatamente.
Jessica says
Ciao! grazie. Ti lascio tre link in merito alle tue domande, con il suggerimento per la tua amica di chiedere più pareri a persone che possano vedere di persona il bambino, valutando anche altre sue capacità e tenendo conto delle interazioni di cui fa esperienza:
http://www.pianetamamma.it/il-bambino/sviluppo-e-crescita/se-le-prime-parole-si-fanno-aspettare.html
http://www.multilingualchildren.org/milestones/late_talker.html
http://www.babytalk.it/wordpress/autismo/
Spero che tutto si risolva nel modo migliore, Jessica
Mammadesign says
Articolo molto interessante!
Viviamo a Londra ed ho una bimba che inizia a mostrare segni di balbuzie, soprattutto in italiano, mentre in inglese il fenomeno sembra meno accentuato. Noi parliamo italiano in famiglia, ma mio marito e’ tedesco e le parla anche in tedesco, anche se non molto (infatti lei dice solo qualche parola in tedesco, per adesso). Naturalmente l’inglese lo impara alla nursery, e lo capisce e lo parla molto meglio dell’italiano. Ha quasi quattro anni (a giugno).
Finora non ho dato molta importanza al fenomeno, dato che lo imputavo piu’ ad una minore conoscenza della lingua italiana, dato che la maggior parte della giornata la passa all’asilo. Tuttavia la situazione rimane, e anzi mi sembra di aver notato una leggera tendenza anche in inglese. Mi chiedevo, dunque, quando e’ il momento adatto per farla vedere ad uno specialista e se lo ritieni necessario….. Inizio ad avere un po’ di preoccupazione!
Jessica says
Ciao Mammadesign, è difficile dare consigli non conoscendo la situazione ma è sempre saggio consultare uno specialista che possa valutare la situazione, magari rassicurarvi o comunque darvi indicazioni per un intervento precoce che è sempre di maggior beneficio. La cosa importante da ricordare è di consultare uno specialista esperto in bilinguismo (per quanto non sia sempre facile trovarne uno) perchè un’apparente difficoltà potrebbe semplicemente essere dovuta ad una scarsa conoscenza o pratica della lingua e perchè ci sono una serie di aspetti specifici da considerare che da una persona non esperta potrebbero essere interpretati erroneamente come ‘problemi’.
Sabina says
Ciao Jessica! la mia situazione è simile a quella di mammadesign….la solo differenza sta nel fatto che sia io sia mio marito siamo italiani, quindi non ci sarebbe il problema della terza lingua.
Ti spiego la mia situazione. Mia figlia è nata in un paese anglofono dove ha vissuto i suoi primi due anni e mezzo di vita, frequentando un nido locale in inglese. La bimba non parlava quasi per niente, non riusciva a formulare delle frasi, ma usava soprattutto parole per farsi capire, mescolando inglese e italiano. Voglio premettere che mio marito ha deciso di parlare solo in inglese con lei (essendo lui stesso trilingue), mentre io ho sempre cercato di parlarle solo in italiano. Impresa non facile perchè la bambina ha sempre capito meglio l’inglese rispetto all’italiano. Poi, l’anno in cui ci siamo trasferiti in un paese di lingua slava, dove attualmente ancora viviamo, per vari motivi, abbiamo iscritto la nostra bimba, allora di quasi tre anni, alla scuola francese. Inizialmente sembrava tutto bene, ma poi ha cominciato a manifestare grandi disagi, dovuti forse anche alla nascita della sua sorellina. Forti dolori di pancia, insofferenza, mancanza di entusiasmo, asocialità, paura di confrontarsi con i suoi coetanei. A maggio dell’anno scorso, dopo aver parlato con una specialista dell’infanzia italiana, abbiamo deciso di cambiarle scuola e abbiamo iscritto la nostra bambina ad una scuola internazionale di lingua inglese. Dopo un mese nostra figlia ha tolto il pannolino (nonostante avesse 3 anni e mezzo non voleva ancora privarsene) e ha ripreso ad essere la bambina socievole di sempre. Purtroppo, a questi miglioramenti sostanziali, si è affiancato lo svilupparsi di una balbuzie che oramai è alquanto evidente. O meglio, già si era manifestata nell’anno di frequentazione della scuola francese, ma la notavo poco perchè la bambina parlava solo, e male, in italiano (di francese non ha imparato niente in 7-8 mesi di frequentazione del primo anno di maternelle). Voglio aggiungere che la bambina non ha mai smesso di essere esposta all’inglese e ha sempre visto i cartoni animati in inglese, capendoli perfettamente. Quando gioca usa l’inglese e pensa in inglese. Posso dire che la sua prima lingua è l’inglese, e non l’italiano. Inutile dire che dopo pochi mesi di scuola americana il suo inglese è perfetto, a parte, appunto, questa balbuzie.
Ho parlato con una logopedista del posto del problema di mia figlia, ma qui sono dell’avviso che intervenire all’età di 4 anni è prematuro. In genere, si inizia una terapia a sei anni, quando i bambini cominciano ad andare a scuola e allora, a quel punto, diventa essenziale intervenire. Non ho ancora parlato con una logopedista italiana, ma a maggio ho un appuntamento con una terapista in Italia per avere anche un’altra opinione. La mamma di una compagna americana della scuola di mia figlia è logopedista e mi ha suggerito di farla controllare seriamente perchè questi problemi non vanno presi sotto gamba. Può darsi che la balbuzie di mia figlia sia legata allo sviluppo del linguaggio, ma voglio esserne certa perchè non vorrei intervenire troppo tardi, con il rischio che la bimba venga ghettizzata o presa in giro per il suo modo di parlare. Devo dire che la sua balbuzie non è continua, ma varia molto, a seconda dei periodi. Sicuramente quando è molto stanca balbetta di più…o quando parla italiano e non riesce a trovare le parole, oppure quando ha fretta di dire un concetto. Oramai sono mesi che la bambina “stutters” e non mi sento affatto tranquilla. Soprattutto perchè probabilmente fra un anno e mezzo rientreremo in Italia e a quel punto si porrebbe il problema della scuola. La bambina ha scelto l’inglese e ho paura che in una scuola italiana possa trovarsi male. Poi in Italia ci fermeremo solo alcuni anni, di conseguenza si porrebbe di nuovo il problema di quale scuola da scegliere. Tutto questo non faciliterebbe i problemi della bimba, anzi. Cosa fare? Devo intervenire adesso? E se dovesse fare una terapia, dovrebbe farla nelle sue due lingue? Nel caso di bambini balbuzienti bilingui, in base a che cosa scegliere la scuola? C’è sempre una lingua prevalente nel bilinguismo? Nel caso di mia figlia posso dire che c’è una lingua prevalente, ossia l’inglese…seguita dall’italiano. Proprio in quest’ultima mostra più esitazioni.
Cara Jessica, cosa mi consigli di fare? Mia figlia ha adesso 4 anni e mezzo. E’ veramente troppo presto per parlare di disturbo del linguaggio?
Grazie per il tuo aiuto!
Sabina
raffa says
mamma di bimbo ex balbuziente a rapporto. nel nostro caso – a posteriori – secondo me il bilinguismo non c’entrava. G. era un bimbo che pensava in modo più veloce delle sue allora capacità di parlare, e il suo papà finito in ospedale e tornato dopo un po’ con evidente malattia + fasciature. nel dubbio siamo andati dal foniatra, e abbiamo chiesto alla maestra della materna di dargli un occhio inquesto senso, ambedue ci hanno dato consigli su come interagire con lui. si è risolto da solo ma molto lentamente, io sono dell’idea che è meglio condividere i propri dubbi con uno specialista, certo che trovarne di preparati – anche – sul bilinguismo è un’impresa.
il non parlare del tutto a 3 anni può essere legato al sentirci male, può essere un problema di linguaggio, di articolazione, può essere tutto, lì oltre a sentire medici forse sarebbe utile iniziare una terapia logopedica?
Jessica says
Ciao Raffaella, per il bambino citato ma non solo, un’eventuale terapia logopedica potrà partire dopo una diagnosi. E’ molto interessante quello che ci dici del tuo caso personale: puoi raccontarci di più? quali sono state le indicazioni che foniatra e insegnante hanno dato a voi genitori?
Jessica says
@ Sabina, scusa del ritardo, ma ho apsettato epr chiedere consiglio ad un’amia logopedista per rispondere alla tua domanda che è molto complessa. Posso dirti che per esperienza anche mia personale, l’istinto della mamma ha sempre ragione e quindi se non ti senti soddisfatta delle risposte che ti hanno dato, hai un motivo in più per approfondire il discorso. Potresti cercare di parlare con un team in cui sia compresa la terapia psicologica, per evitare di affrontare la difficoltà della bimba solo in un senso, ma anche per affrontarla nel modo giusto da punto di vista relazionale. L’età preoce fa pensare che il tutto può risolversi da sè, ma impostare da subito un trattamento adeguato (non necessariamente logopedico, vi possono dare anche indicazioni da seguire a casa) può aiutare tutti voi a fare le scelte giuste, visto che se ne profilano di importanti, e ad affrontarle con la serenità necessaria. Spero di esserti stata utile, scrivi pure se hai altri domande!