Si fa presto a dire “racconta una storia”. Ricordo che chissà quando lessi da qualche parte in chissà quale lingua la riflessione di una persona (uomo o donna, non ricordo) che ricordava la propria nonna come una fantastica storyteller, una persona che riusciva a tirare fuori una storia da qualsiasi dettaglio, che giocava a osservare le persone e inventare delle storie su di loro, delle ipotesi di storie ovviamente.
Bello, bellissimo! Facile anche! Lo farò anche io, insegnerò a mio figlio a guardare le persone e inventarsi delle storie. Del resto che ci vuole, a me piace un sacco osservare le persone (e cucirgli addosso storie).
Già che ci vuole…
Ci vogliono le parole.
Attenzione, non il lessico, non la padronanza linguistica, proprio le parole.
Non starei qui a fare questa riflessione se non si fosse verificata una situazione particolare. Mio figlio, sempre lui… A. di quattro anni e mezzo, chiede storie incessantemente, chiede quasi più storie che caramelle.
Mi racconti una storia? I want a story. Lunga però. Un’altra storia. Ancora mamma.
e io annaspo…
E’ colpa di mio padre, a modo suo uno storyteller anche lui. Può passare le ore a raccontare storie ai bambini, storie create dal niente, da una parola, da un nome, da un animale o un personaggio di quelli moderni di cui lui (il nonno) non sa assolutamente nulla. E racconta, racconta, racconta. Ogni tanto vorresti spegnerlo, ma i bambini, A. incluso, ascoltano rapiti.
Risultato: A. vive di storie.
Non c’è verso di proporre ad A. uno di quei bei libri con finestrelle, oggetti, animali. Dimentichiamo i libri che spiegano e illustrano scienze, natura o arte. No, voglio un libro con la storia ti dice.
E qui si scopre che storyteller lo sei o non lo sei, e io forse non lo sono.
Non lo sono perchè il mio storytelling fa parte di un dialogo interiore, che mi riesce difficile tradurre in parole fosse pure per mio figlio. Inventare storie mi è faticoso. Non è che non lo so fare, è che mi stanca.
E’ grave? No, non è grave.
Qualche giorno fa facevamo il nostro gioco di capire in cosa ognuno è speciale.
Mummy is the expert in languages, Uncle in cartoons, Granny in cooking, Grandfather in telling stories.
Sì ma anche tu sei expert in telling stories, mummy.
True, but may be I’m expert in reading stories, grandfather in telling them, it’s a bit different.
Yes.
Ah sì, perchè a leggerle le storie invece sono brava… Dare vita a voci, suoni e misteri mi entusiasma, creare ritmo e musica nelle parole altrui è un viaggio piacevolissimo, per me e per i bambini. E’ una forma di storytelling anche questa, ma diversa.
Morale…, non c’è morale.
Storie e libri sono preziosi non solo per creare linguaggio e vocabolario ma anche per creare l’immaginario dei bambini, per creare una visione sul mondo, sugli altri e su sè stessi. Ma si fa presto a dire “Raccontagli una storia”, una storia per raccontarla devi viverla e comunicarla, e non è per tutti…
Se poi ci si mette il fattore seconda lingua le cose si complicano ulteriormente?
Secondo me no. Secondo me il vero ostacolo è saper o meno inventare una storia, poi se lo sai fare lo fai anche nella seconda lingua, ma forse questo è solo il mio punto di vista, condizionato dalla mia esperienza, voi che ne pensate?
Immagine Tiddler, the story telling fish, libro e CD su Amazon IT e Amazon UK
Lucia says
perchè non raccontare episodi accaduti durante il giorno mettendo come protagonisti animali, personaggi preferiti (noi spaziamo da fireman sam all’umanizzazione di fire engines e garbage trucks che hanno figli famiglie e ne combinano di tutti i colori) o un bambino x che ripercorre le tappe della giornata?
non tutti possono tenere in piedi un racconto lungo, è vero, ma a volte ai bimbi piacciono anche brevi narrazioni in cui potersi riconoscere.
Francesca says
Ci pensavo proprio ieri, al parco.
Una mamma spingeva la bimba sull’altalena e intanto le raccontava una storia.
La sua voce era coinvolgente e la storia, per quanto semplice, affascinava anche me che ero lì con il piccolo G. a caccia di tartarughe.
Inglese o italiano non c’entrano. Su questo sono d’accordo con te. O lo sai fare o non lo sai fare.
O ti viene naturale o difficilmente riuscirai a creare dal nulla una storia che possa catturare l’attenzione del baby per più di qualche minuto.
Certo, come in tutte le cose, si può migliorare o tentare di migliorare …. Buone storie a tutti 🙂
alice says
Pensa io faccio le storie “su ordinazione”… tipo: P, che personaggio vorresti nella tua storia? e tu, G? e loro: io un pompiere, io un astronauta no io un mago… e a quel punto mi tocca inventare storie assurde in cui si incrociano un mago e un astronauta oppure un egiziano e un drago 😀 😀
Bilingue Per Gioco says
Ciao Alice, già ma il mio problema è che siccome A. non guarda i cartoni di Ben Ten e supereroi vari, di cui invece sente parlare dai compagni, ormai chiede solo storie con questi personaggi, cosa che mi smorza la fantasia completamente… Potrei in effetti fare come mio fratello, che racconta la storia di cappuccetto rosso versione Ben Ten, oppure la storia dei Cugini Ten (aggiungendo Ten in fondo al nome di tutti i membri della famiglia), e via così. Ma come dicevamo, o lo sei o non lo sei…
Comunque voglio vedere come te la caverai quando la piccola aggiungerà la fatina ai pompieri e gli astronauti dei fratelli, ma poi va a sapere, magari a lei le fatine non piacciono…
L.
maria says
Mi sono ritrovata molto in questo post. Le ‘storie inventate’ non mi appartengono e le mie bambine me le reclamano spesso perché il papà invece ogni tanto si cimenta su storie a tema (animali, personaggi,..). Sono invece molto brava ad interpretare quelle scritte dagli altri o a scriverle.
Credo sia una questione non solo di fantasia ma anche di carattere. C’é chi riesce a tramutare in frasi compiute e d’effetto le proprie costruzioni mentali e chi invece preferisce metterle per iscritto o lasciarle nella mente.
E questo in qualsiasi lingua. Credo che un cantastorie bilingue lo sia anche nella sua seconda lingua.
Bilingue Per Gioco says
ma che sia anche un problema di genere? mah…
Flavia says
Non credo Letizia, mia mamma è una ecezionale storyteller mentre io vivo una sorta di blocco. Penso dentro di me che potrei superarlo (ma non so da cosa dipenda: ansia da prestazione? Una volta passavo per avere una fervida fantasia, ma è passato molto tempo…), ma forse invece non è vero, e forse pure io, come dici di te, *non so* farlo. O meglio, invento storie all’occorrenza, che credo che potranno anche soddisfare il mio bimbo, ma io le trovo decisamente ordinarie e dozzinali:-) Anche a me piace invece molto interpretare le belle storie scritte da altri. E condivido il tuo punto di vista: ognuno è bravo *in qualcosa*, e in tutto non si può esserlo.
p.s. (Non c’entra nulla, ma per caso sai se online ci sono filmati sull’interessante incontro che avete tenuto il 12 a Milano?)
Bilingue Per Gioco says
(li stanno – ancora – montando…)
Elena says
Mi unisco al club delle negate a raccontare storie inventate. Sono decisamente più attrice che regista, mio marito invece è lo storyteller di casa, quando mette a letto lui mattia (once in a blue moon come dicono gli inglesi ) la mattina si sveglia con idee di squali che fanno massaggi shatzu, foche ragioniere, gatti con i sandali… Ps. È la prima volta che mi trovo a scrivere su un blog, mi deve aver colpito al cuore.
Bilingue Per Gioco says
Elena, le storie di tuo marito vorrei ascoltarle anch’io… Benvenuta!
L.
Elena says
Grazie!
Ardo says
ciao, sto maturando un’idea, non è ancora completamente pronta ma sembra a tema, quindi…
io credo che uomini e donne abbiamo sviluppato due tipi distinti di intelligenza creativa, credo che l’origine sia ancestrale e si sia sviluppata nell’arco dei millenni. Mi spiego, le donne hanno in sè il dono e il potere di mettere al mondo nuove vite, un processo creativo di potenza inaudita. Gli uomini no, la cosa più creativa che possono fare non può competere. Ma questo non vuol dire che non ci provino. Inoltre ci sono delle radici comportamentali che possono sviluppare queste capacità. L’istinto materno delle donne le porta sviluppare una fantasia di ambito domestico-antropologico atta alla perseverazione (e persecuzione) della specie: ” NON PROVARCI, tu sei mio figlio, so cosa hai in mente, so cosa combinerai con quei colori che papà ha lasciato sul tavolo!” Si chiama “Mamma Visione”.
Gli uomini si sono scontrati con altri tipi di problemi “mammut peloso con grandi zanne viene contro di noi, noi spostare a destra, fare rumore e mammut cadere dentro trappola. Chi vince mangia, augh! Ora invento disegno per spiegare caccia a mio cugino Zanna Puzzolente!” Con il fatto che il mammut non è un parente stretto di cui si conosce il carattere e si sa dove vuole andare a parare, e poi diciamolo Zanna Puzzolente non è una cima che le cose le capisce al volo: gliele devi proprio far vedere. Mi servirebbe una scatola di colori, pensavo di averla lasciata lì, sul tavolo. Chi mai può averla presa?
Bilingue Per Gioco says
Ora nevica, fino ad oggi ho pubblicato 664 post e al 664esimo, guarda un po’, commenta pure mio fratello.
In effetti comunque fa un freddo becco in questo maggio anomalo…
L.
Francesca says
… in un momento in cui la mia MAMMA VISIONE si scontra ogni 2 per 3 con la sua PAPA’ VISIONE questo commento mi ha messo un po’ di allegria!
Valeria says
Non so se fosse lei, ma Tracy Hogg nel libro Il linguaggio segreto dei neonati ( secrets of the Baby Whisperer) parla della sua favolosa e ispiratrice Nan che inventava storie sulle persone intorno quando per esempio erano in coda al cinema, in contrapposizione alla nonna paterna Granny che le avrebbe dato uno scapaccione se si fosse lamentata per la noia. Quel passaggio, anche se solo nell’introduzione, mi era rimasto impresso.
Bilingue Per Gioco says
E’ lei! Ricordo perfettamente il dettaglio della coda al cinema!
WOW!
L.
Martina says
Ho scoperto da poco questo sito, e lo trovo molto interessante. Grazie! E da mamma puro sangue italiana, trasferita a San Diego, CA, con (e a causa, direi) del marito, anche lui puro sangue italiano, e con la voglia pazza di rientrare in Italia. Si, lo so, dai, ditemi che in Italia fa tutto schifo, che la situazione economica e’ disastrosa, che non e’ proprio il momento giusto per tornare, che torni a fare, stai dove sei che si sta molto meglio, qui chi puo’ scappa…non importa, chi non vive e non ha mai vissuto lontano dalla propria terra natale, non sa di cosa sto parlando, della nostalgia di casa, della voglia di crescere Caterina, 3 anni, e Penelope, 1 anno e mezzo, nella stessa cultura dove sono cresciuti la mamma e il papa’ non perche’ sia migliore, ma perche’ e’ piu’ “mia”, la conosco, so come comportarmi, non come qui, dove le amicizie vanno e vengono come le onde dell’oceano e i nonni non ci sono, perche’, a meno che uno non si sposi con un Americano (e anche anche), il gap culturale restera’ immutato negli anni a venire. Dopo cinque anni da immigrata, ormai sono convinta che, almeno per quanto riguarda San Diego, e’ cosi’.
Scusate lo sfogo e la divagazione. Torniamo alle storie. Io adoro le storie e sono felice di aver trasmesso alle mie figlie la passione per i libri. E’ un incanto vedere che uno dei modo che Caterina ha per rilassarsi e’ quello di prendere un libro e fare la teacher, come dice lei. Si siede sulla sua sedia, tiene il libro aperto rivolto ai suoi studenti immaginari e parla, parla, parla, e gira le pagine. Ripete a memoria le frasi di tutti i libri che leggiamo, quelle che la colpiscono di piu’, in italiano e in inglese. E quando e’ ora di andare a fare nap time, Caterina ora e’ diventata molto esigente. E visto che ne’ io ne’ il papa’ siamo particolarmente dotati di fantasia creativa, abbiamo introdotto le storie di “quando tu eri piccolo/piccola”. E funzionano! Ed e’ cosi’ bello raccontare e ricordare aneddoti della propria infanzia che sembravano spariti nel nulla. E cosi’ condividiamo con lei i nostri ricordi, le nostre bugie, le nonne che si arrabbiavano con noi, le nostre paure, le nostre vacanza al mare, i nostri amici e le nostre marachelle. Caterina apprezza, per ora. Tutto questo per dire che, si, e’ vero, alcuni sono storytellers piu’ dotati di altri, ma a volte ai bambini basta anche solo sentirci parlare e sapere che siamo li’ con loro, e non per forza dobbiamo inventarci storie con personaggi fantastici. Quindi, ben vengano tutte le storie e storielle possibili ed immaginabili 😉
Ciao!
Martina
Bilingue Per Gioco says
E’ vero, le storie di quando tu eri piccolo o di quando io ero piccola, sono fantastiche. Anche A. se le ripete e ci ritorna, e si sente che se ne appropria!
Comunque io ti capisco Martina, non so quanto ciò ti aiuti, ma ti capisco. Se ti consola, la vita è sempre un compromesso e alla fine come la fai la sbagli, l’unica consolazione è sapere di aver fatto la scelta migliore con i dati e le risorse al momento disponibili, per il resto un po’ di fatalismo non guasta…
Ciao!
L.
Elena says
Ti capisco anch’io. Ho fatto l’emigrante come te, con bimbo (allora 1) al seguito, in kentucky, per 2 anni. Anche se amo viaggiare piu di ogni cosa al mondo, ho toccato con mano che a volte le nostre radici ci tirano verso la nostra terra, che quando succedono cose importanti a casa è duro essere lontani. Ma penso anche che tornare in fondo sia sempre più semplice che partire, e che partire sia una vera e propria avventura ed un dono ai nostri figli che non tutti hanno la fortuna di vivere. Quindi tieni duro ! Un abbraccio virtuale. Elena
Francesca says
In Italia fa tutto schifo? Chi lo dice?
Io la amo da impazzire questa Italia! 🙂
alice says
Letizia fai un workshop di storie che partecipiamo tutti!!
Chiara says
Ciao! bello e sentitissimo post (come succede molto spesso!). io addirittura sono impacciata nel raccontare storie lette qualche tempo prima su un libro. allora anch’ io mi diverto a raccontare di quello che facevo da. piccola, oppure, visto che ho una formazione scientifica cerco di ‘romanzare’ argomenti reali di storia naturale o scienza.va forte: “c’era una volta milioni di anni fa qu_ando ancora l’uomo, non esisteva, un’isola popolata da rettili giganteschi chiamati dinosauri…” e via così raccontando anche nei particolari ma con parole semplici dei dati scientifici. lui mi ascolta perché è appassionato di natura (e chi potrà mai avergliela trasmessa secondo.voi?). Quindi secondo me si può raccontare di tutto. anche se non abbiamo la fantasia della Donaldson (a proposito Tiddler ci piace un sacco!.
Chiara says
Scusate ci sono un sacco di full stops che non dovrebbero esserci! ho perso il controllo della tastiera
Luca says
Ma, più che altro, perché non usi le maiuscoli dopo i “full stops” (inutile inglesismo, che tra l’altro andrebbe al singolare in un contesto italiano)?
Dario says
Io ho provato a raccontare ad un gruppetto di amiche di mia figlia, lei presente, alcune favole classiche, tutto in inglese. Temevo che siccome mia figlia era l’unica a comprendere le parole, le altre si sarebbero stufate alla seconda pausa e invece…con mia grande sopresa ho notato che, soprattutto i bambini fino a 4 anni, sono più interessati al tono e alle facce di chi racconta più che al contenuto vero e proprio. Mi hanno seguito tutte fino alla fine, anzi ne volevano sempre altre! E le più grandine ripetevano anche qualche parola (breve) che avevo marcato di più (tipo il solito wolf oppure help me). Bella esperienza!