Sabato ho assistito ad una lezione che mi ha portata a mettere in discussione molti dei miei assiomi sulla relazione genitore bambino e sullo sviluppo del bambino stesso. E’ difficile sintetizzare in alcune righe la portata della ricerca della Prof.ssa Heidi Keller, ma proverò a riportare gli elementi che più mi hanno colpita.
Partiamo dai fondamentali.
La relazione mamma neonato è una relazione istintiva, giusto?
Il primo anno di vita del bambino è un anno fondamentale, nel quale la mamma (ok il genitore, ma la mamma in particolare) provvede amore e cure incondizionati all’interno dei quali il bambino compie la sua maturazione e sviluppo fisiologico, giusto?
Lo sviluppo motorio del bambino nel primo anno di vita segue una traiettoria più o meno standard, che procede per sviluppi successivi (impara a rotolare, a stare seduto, a gattonare, a camminare), giusto?
Comunque il ritmo e la velocità di questo sviluppo motorio sono largamente individuali, c’è chi cammina prima e chi dopo, e questo ritmo va rispettato, non si possono forzare i tempi di maturazione del bambino, giusto?
Siamo tutti d’accordo?
Credo di sì, ma solo noi genitori, pediatri e professionisti della prima infanzia cresciuti e formati in una società occidentale.
Tutti i punti di cui sopra costituiscono le nostre verità, testate e dimostrate solo nei nostri contesti sociali e familiari. Non costituiscono verità assolute, anzi sono radicalmente false in altre società.
Cambia?
Cambia molto…
Partiamo dal primo punto. La relazione mamma neonato è istintiva fino ad un certo punto, l’istinto è in realtà condizionato dalla nostra cultura, da ipotesi potenti e radicate che fanno ormai parte integrale del nostro modo di essere, di vivere, di comunicare e anche di relazionarci.
Noi siamo la società cartesiana. Siamo quelli della logica, della dialettica, del dialogo, dello sguardo analitico e della supremazia cognitiva.
Siamo quelli che guardano un bambino negli occhi, gli parlano, ci parlano, gli mettono in mano degli oggetti, fanno sentire suoni e provare esperienze. Gli spieghiamo le cose, comunichiamo emozioni, insegnamo a riconoscere le emozioni. Per non parlare di quando, e parlo di me e di tutti noi, gli insegnamo le lingue e gli leggiamo un libro. Quelli che vivono davvero la relazione col bambino quando il bambino comincia a sorriderti, e ad ogni sorriso ci sciogliamo, ci perdiamo, e ne vogliamo di più e ancora.
Siamo quelli della sdraietta, del tappetone, la palestrina, i giocattoli di legno colorati. Quelli che tutto ciò che costituisce pericolo deve essere allontanato. Quelli che si comincia a parlare di vasino verso i due anni.
Quelli che considerano essenziale che il bambino raggiunga autonomia psicologica (deve dormire da solo) e instauri con gli altri una relazione di emozioni (ah quei sorrisi….). Quelli per usare un termine tecnico della socializzazione distale (guardami ti sto parlando, ma ti tocco poco).
Siamo anche il 5% della popolazione mondiale (stima della professoressa Keller). Solo il 5%.
Tutto ciò che noi consideriamo verità assoluta nel tema della puericultura, le certezze dei nostri pediatri, sono vere solo per il 5% della popolazione mondiale (e a dirla tutta sono anche verità molto recenti, perchè questo 5% della popolazione mondiale tende a cambiare idea molto spesso).
E gli altri?
Beh, gli altri sono tanti, e diversi. Ma la Prof.a Keller stima che almeno un 40% della popolazione mondiale si collochi all’altro capo dello spettro.
Gli altri vivono la relazione con il proprio bambino attraverso il corpo, ce l’hanno sempre addosso, lo guardano poco in faccia (e infatti i bambini sorridono più tardi) ma riescono a sentire quando il bambino sta per… e prima dell’anno il bambino ha già il controllo degli sfinteri.
Gli altri credono che se non insegni ad un bambino a stare seduto eretto e a camminare ne stai limitando lo sviluppo, e infatti i loro bambini a 3-4 mesi stanno seduti da soli e verso i 9 mesi camminano, e se non camminano ci si industria perchè lo facciano.
Gli altri hanno ben chiaro quale sia il loro compito educativo di genitore, mettere il bambino in grado di far da sè, di collaborare, di agire. E quindi stimolano moltissimo il corpo del bambino: lo prendono, lo sbatacchiano, lo lanciano, lo danzano, lo sollevano. E i loro bambini hanno un controllo del proprio corpo che i nostri se lo sognano.
Gli altri hanno una socializzazione prossimale (il contatto fisico, il corpo, è la relazione)
Hanno ragione loro? No
Abbiamo ragione noi? No
E’ indifferente prendere un approccio o l’altro? No
Sono culture diverse e strategie adattive e di cura diverse. Ma una cosa è certa, il nostro modo è solo uno dei tanti, non è nè giusto nè sbagliato, lo si può mettere in discussione come possiamo mettere in discussione le tabelle di sviluppo dei pediatri. E comunque, che ci piaccia o meno, da questa parte del mondo, nel nostro 5%, il cervello e la razionalità la fanno sempre da padroni, anche quando crediamo di no.
Beh, a me questa sembra una scoperta sconcertante…
Immagine: Cultures of Infancy, Heidi Keller, su amazon UK, amazon IT e amazon DE
Davvero interessante, per ricordarsi sempre che esistono tanti modi di fare e punti di vista diversi e nessuno è meglio dell’altro, semplicemente diversi e vanno rispettati per quello che sono. Accanirsi da un estremo all’altro secondo me non va mai bene. Sarebbe ottimale prendere il buono da diversi metodi, realtà e sistemi, anche se non è sempre facile.
c’è un libro da cui partono tutte queste riflessioni sulle diversità antropologiche nell’educazione dei neonati: il Il Concetto del Continuum, di Jean Liedloff. e, se alcune sue tesi sono oramai davvero datate, tante altre cose che si leggono in quel libro sono entusiasmanti.
io l’ho letto e da allora ho sempre fatto del mio meglio per “annettere” tutti gli aspetti possibili delle altre culture nel mio stile di maternage, a partire dal portare (il mio bimbo non sa cosa sia un passeggino). così fabio ha davevro camminato a 10 mesi e tolto il pannolino a 18 più o meno.
conoscere le altre culture serve ad aprire la mente, come conoscere altre lingue. le due cose vanno insieme a braccetto.
se ti interessa l’argomento comunque ho mille altri libri da segnalarti…
un abbraccio,
francesca
L’argomento è interessantissimo, grazie Letizia e Francesca; e credo che se avessi voglia di postare un po’ di bibliografia saremmo in molte ad essertene grate!
ciao,
Flavia
Francesca,
più che la bibliografia in sè, se ti andasse di scrivere dei post sul tema sarebbe particolarmente interessante…
Ciao e grazie,
Letizia
In particolare vorrei capire come hai fatto a togliere il pannolino a 18 mesi…ma non solo….
Immagino anche che con il mangiare si può fare tutto in modo diverso …
Molto interessante.
Grazie
Concordo: benvenuta diversità: base della vita e dell‘ evoluzione.
Comunque capisco l‘ espediente stilistico dell‘ estremizzazione ma non credo sia tutto cosí bianco o nero, cosí ‘‘nostro,, o ‘‘loro,,. Cosí come istinto e cultura si compenetrano, miscelano, influenzano reciprocamente arrivando in certi momenti ad essere la stessa cosa, anche razionalità e fisicità, parole e feromoni si miscelano più o meno consapevolmente e in proporzioni diverse a seconda dell‘ epoca, della fase evolutiva, della giornata, addirittura del singolo istante nella relazione mamma-(papà!!) bambino.
Accanto a famiglie in cui i figli davano del ‘‘ Voi,, al genitore, venivano nutriti dalle famose balie, in cui le manifestazioni d‘ affetto erano considerate sconvenienti, sono sempre esistite famiglie che, a parità di condizioni socio-economiche, vivevano una vita affettiva (nutritiva) e comunicativa intensa e manifesta (per fare il più classico degli esempi).
Per istinto e razionalità comunque tendo a diffidare di chi ama vedere SOLO il negativo di una cultura (la propria, la altrui) e si rifugia in metodi, slogan, capitanati da guru, spesso americani (fantasisti nel decontestualizzare singoli aspetti di una cultura e tradurli in jihad dagli slogan accattivanti) ispirati ad un‘ empirica cultura di una non meglio definita maternità (mai genitorialità!) non-occidentale, contrapposta alla ‘‘nostra,, (pseudo) totalitaria cultura del distacco.
Parlo di Attachment parenting, co-sleeping, babywearing, prolonged breastfeeding, diaper free… conosciuto da sempre nelle valli alpine con il meno esotico: ‘‘fà fiöö,, (fare/crescere figli) 🙂
Ma infatti qui il discorso non è una è giusta e una è sbagliata, ma sono diverse e promuovono strategie e competenze diverse. Diverse però lo sono, ergo nessuna delle due strategie può dirsi assolutamente giusta…
L.
intendevo dire che secondo me non sono DUE strategie cosí facilmente separabili e definibili, opposte-complementari. Una occidentale una non-occidentale, una nostra una loro, una di cervello, una di pancia, ma che probabilmente i due approcci in diverse proporzioni co-esistono da sempre in tutte le culture. Un elemento sarà probabilmente più comune dell‘ altro in alcune culture ma non credo si possa semplificare tanto.
Sono sempre discorsi statistici, la statistica non fotografa mai situazioni assolute ma individua trend rilevanti.
L.
Ciao! Noi in questi primi 16 mesi abbiamo sperimentato l’intercultura: libertà di movimento assoluta (in piedi a 9 mesi e mezzo), tante chiacchiere con la bimba (anche questo non lo fanno tutte le culture), allattamento a richiesta e poi nuoto neonatale col maestro russo, marsupio africano, massaggio indiano 🙂
Salve a tutti e soprattutto a Letizia, per questo ottimo sito!
Mi chiamo Chiara e sono qui a chiedere delle informazioni che in parte sono state già date qualche tempo fa ma vorrei sapere se ci sono delle novità o delle altre nuove opportunità, visto che siamo davvero alle porte con le vacanze per i nostri bambini.
La mia richiesta e’ questa: vorrei portare i miei bambini all’estero per un periodo di 15- 30 giorni e vorrei poter usufruire di qualche servizio di accoglienza dei bambini che NON sia un baby parking, ma che invece supporti ed aiuti il loro percorso di bilinguismo.
Al momento infatti portiamo avanti il progetto familiare di bilinguismo italiano-inglese (nessuno e’ madrelingua, ma io adoro le lingue straniere) e volevamo iniziare ad introdurre una terza lingua, parlata esclusivamente da una baby sitter (tedesco) che pero’ io conosco abbastanza bene.
Il dubbio e’ quindi questo: DOVE portare 3 bambini di 2, 4 e 4 anni senza dover pagare una fortuna e con OTTIME strutture per i bambini (parchi, asili part time, parchi giochi, biblioteche, ludoteche ed altro)? Avevo come idee le zone vicine a Dublino oppure quelle di Berlino o Monaco o altro , ma vorrei sapere PRATICAMENTE quali sono per la vostra esperienza le migliori scelte.
Per il soggiorno pensiamo ad uno scambio di case, ma siamo aperti ad ogni idea economica, perche’ forse il bilinguismo lo si puo’ portare avanti anche senza essere per forza ricchi… : )
Grazie a tutti : )
Chiara
Se non l’avete ancora fatto vi consiglio di guardare il film/documentario “Babies”: http://en.wikipedia.org/wiki/Babies_(film)
È privo di narrazione e di qualsiasi analisi esterna; segue lo sviluppo nel primo anno di vita di quattro bambini nati in quattro differenti zone del mondo (Giappone, Namibia, Stati Uniti e Mongolia), mettendo a confronto ogni singolo step dell’apprendimento.
Guardandolo con mia moglie arrivammo alla conclusione che i metodi adattati in Mongolia e Namibia fossero proprio quelli più adatti (dal nostro punto di vista e dagli obiettivi che ci siamo prefissi) alla crescita di un neonato/bambino, però ci sorse un dubbio: perché nella società moderna, nonostante il bambino africano e quello mongolo siano di gran lunga ed oggettivamente più indipendenti e “forti”, finisce sempre che prevale l’occidentale (dove per occidentale si intende anche il giapponese)?
Noi una risposta ce la siamo dati. Non mi esprimo perché vorrei che anche voi guardaste Babies e traeste le vostre conclusioni. Ve lo consiglio vivamente.
Colgo l’occasione per ringraziare Letizia. Circa un anno e mezzo fa, prima ancora che T. nascesse (è nata il 6 aprile di quest’anno), acquistai Bilingue per Gioco, facendomi consigliare anche altri libri da leggere per aiutarci nella crescita bilingue di nostra figlia. Grazie a lei siamo venuti a conoscenza di The Bilingual Edge, che di fatto è diventata la nostra bibbia per quanto concerne il lato linguistico dell’educazione della bimba.
Grazie di nuovo.
Grazie Letizia per il bellissimo post!! Si, si può fare tutto in mille modi diversi. Per citare Woody Allen “Whatever works!”.
Per Francesca: sul mangiare certamente si può fare tutto in modo molto diverso e consiglio a chi è alle prese con neonati di leggere il libro “Io mi svezzo da solo” e di consigliarlo alle amiche perchè è davvero un bellissimo libro, tra l’altro scritto da un pediatra italiano.
Bellissimo poi il trailer di Babies. Devo assolutamente vedere il film!
Grazie per aver tirato fuori questo tema.
Personalmente io sono una persona molto cerebrale in tutto, però è proprio con i bambini che riesco a tirare fuori il mio lato più fisico: li bacio, li annuso, li stringo… peccato che poi crescono e non sempre vogliono di queste attenzioni. Ora che sono mamma di tre penso con terrore al fatto che sono arrivata all’ultimo neonato e che per spupazzarmene un’altro come si deve mi toccherà sperare nei nipoti..
Elisabetta
Wow, negli ultimi post avete praticamente tccato tutti punti choave della nostra vita!
Come penso di aver gia scritto in altri commenti, viviamo in Uk, in un borough londinese a forte prevalenza hindi, io lavoro per una multinazionale USA che opera nell’ Oil and Gas che per ovvi motivi ha tra i suoi dipendenti molti cittadini USA, ma anche provenienti dal Middle East, far East e molti latino americani, prevalentemente Venezuelani.
Mia figlia frequenta il nido “convenzionato” (non nel senso stretto che intendiamo in Italia, ma e’ troppo lungo da spiegare) con la societa’ che dunque ospita bimbi/e provenienti, veramente da un mix estremamente eterogeneo di culture.
Quando visitai la prima volta il nido, chiesi alla responsabile della classe 0-1, una donna di colore, credo di provenienza caraibica, alta quasi due metri e larga quasi altrettanto, che mia figlia tuttora adora e vuole salutare ogni mattina, come appunto riuscivano a gestire questa estrema interculturalita’, se avrebbero seguito rigorosamente gli orari inglesi, l’approccio anglosassone alla puericultura eccetera.
La sua risposta: “What? We do whatever it works, everything else is a bla bla bla”
Io ho seguito il consiglio dell’ “esperta” e adottato in pieno questa filosifia, per noi funziona alla grande!
La sua
Questo è un tema che tocca da vicino anche noi. Siamo entrambi italiani, viviamo in Italia ma siamo estremamente esterofili e appena possiamo andiamo a vedere un’altra parte di mondo, anche solo per un week-end.
Quando la ns. piccolina era in arrivo abbiamo sentito diversi pareri di amici che vivono sparsi qua e là e ci siamo documentati un pò sulle differenze tra le varie culture nel crescere i bimbi piccoli.
Alla fine ci siamo resi conto che l’unica cosa importante è.. whatever it works for our family!
Pertanto la ns bimba è stata presa in braccio pochissimo e non ha mai visto la ns. camera da letto.. E’ amata e coccolata, ma è stata un pò guidata verso quello che (forse un pò egoisticamente) faceva comodo un pò anche a noi. ha iniziato a gattonare a 7 mesi ma a camminare a 13 quando lei si è sentita di partire (in compenso è partita subito correndo), Dal nostro punto di vista è stata incoraggiata alla sicurezza e l’indipendenza. Ora che ha 18 mesi mangia da sola con la sua forchettina, ha già tolto il pannolino e va a nanna (senza capricci) prima delle 21, cosi mamma e papà si possono godere un film o una chiacchierata… Inutile dire che ci siamo sentiti dare dei “crudeli” persino da alcuni parenti.. ma come dicevo prima:
whatever it works for your family!
Voi crudeli? Allora immagina che la nostra bimba va a dormire verso le 20.30, lo fa praticamente da quando ha iniziato il nido.
Quella e’ l’ora in cui ha sonno, e’ stanca e va a dormire.
Ecco, la regola del “buon genitore” da queste parti vuole che la prole alle 19.00 massimo 19.15 siano a dormire.
Come hai giustamente detto tu, in Italia, chi manda i figli/e a letto prima delle 22 viene visto come un nazista crudele.
Risultato, siamo degeneri da un lato e nazisti dall’altro…ma sapete che c’e, funziona per noi, anzi per lei, le regole e i giudizi degli altri lasciano il tempo che trovano!
E questo e’ soltanto un insignificante esempio…
Scusate, ho scritto in fretta: “la prole…sia”
A me viene in mente, per esempio, anche quanto sia diverso il significato dei colori nelle varie culture: da noi le spose si vestono solitamente di bianco ma in altri paesi è il colore del lutto.
Concordo tantissimo con l’autosvezzamento proposto da “Io mi svezzo da solo” e con lo spannolinamento precoce (anche se su questo punto noi siamo un po’ in difficoltà…), e soprattutto con “whatever it works in your family” e che per certe situazioni definirei “whatever it works with your different kids”, perchè ogni giorno io mi trovo a scoprire quanto le “regole” stabilite con una mia Pulce non possano valere con l’altra perchè sono diametralmente opposte.
Ciò che trovo affascinante è poter riflettere sulle diversità, grazie a Letizia quindi per questo post. Spesso infatti siamo un 5% molto egocentrico che davvero crede di rappresentare la verità assoluta e confronti/scoperte di questo tipo ci ridimensionano nello spazio.
Se poi riuscissimo sempre a trarre il meglio da ogni cultura e a farlo parte di noi, saremmo a cavallo. C’è però anche da dire che: cosa intendiamo con “il meglio” di ogni cultura?
Ivonne
Non si può parlare neanche di “meglio in ogni cultura”, secondo me, proprio per ciò che hai appena scritto, ovvero ogni singolo bambino è un individuo diverso dall’altro. Il meglio di ogni cultura lo si valuta a seconda di quali sono gli obiettivi individuali.
Partendo da questo presupposto, risulta difficile creare delle regole generiche. Io infatti diffido da chi dice “questo va fatto così perché Tizio dice che va fatto così”.
Concludo col dire che il meglio che possiamo offrire ai nostri figli va valutato in base ai loro caratteri/predisposizioni ed obiettivi che ci siamo prefissati come genitori.
Ciao a tutti,
in questi giorni sono molto impegnata con il training delle nuove insegnanti Learn with Mummy e quindi un po’ latitante, ma vi seguo vi seguo…
Sarò sincera al 100%, io Babies l’ho visto, e non mi ha entusiasmato, o meglio, mi ha lasciato un retrogusto amaro.
Magari ero in una giornata no, ma più che il meglio di culture diverse ho visto il peggio di culture diverse.
Le famiglie “moderne”, quella americana e quella giapponese per intenderci, mi sono sembrate un po’ neurotiche, asfissiate, tristi. Mi ha colpita la sensazione di “mancanza di libertà”. Mi ha amareggiata pensare che loro rappresentano anche me, o meglio che anche io sono come loro. Sempre in bilico tra bambino e lavoro, in appartamento, costretti in spazi innaturali, sempre a pensare, sempre a cercare il famoso “meglio”, un “meglio” che è come l’orizzonte, più ti avvicini, più si allontana…
La famiglia africana però pure mi ha lasciata perplessa. Prendendo tutto con le pinze e con il dovuto filtro culturale, mi ha fatto rabbia pensare che ancora oggi persone debbano vivere nelle polvere e nello sporco, sì la sensazione dello sporco mi ha dato “fastidio” (e io non sono una maniaca della casa, come potrete immaginare se lo fossi Bilingue per Gioco non esisterebbe…), come pure mi ha colpita l’assenza di un “lavoro” vero e proprio, di uno scopo, un progetto.
In effetti la famiglia che mi è piaciuta di più è stata quella Mongola. Guardando loro sì ho pensato guarda questi come vivono bene, mi stanno proprio simpatici. Immersi nella natura, in spazi enormi, con una casa semplice, tradizionale, ma accogliente, e un bambino che scorrazza tra gli animali ma sporco giusto quanto basta per essere felice. Poi magari loro racconterebbero un’altra storia, magari ci direbbero quant’è difficile vivere allevando animali in Mongolia oggi, o forse anche no, temo non lo sapremo mai…
L.
Solo due ulteriori commenti minimalisti… questo ‘babies’ lo devo proprio vedere… forse darà fastidio anche a me perchè sono sì un’amante della libertà ma anche della pulizia. Per esempio non potrei mai tenere animali in casa (morirebbero per eccesso di shampoo e profumo..)
L’altro è sull’andata a letto… quando le mie prime due figlie erano più piccole l’orario in cui spegnevo la luce erano le 20! D’inverno anche le 19,45…
Ora spengo la luce alle 20,30 a volte le 21 (dipende da quanto leggono a letto), però contate che le mie hanno ripettivamente 10 anni e mezzo e otto anni… Poi c’è il neonato che si addormenta con il tramonto, per la gioia del resto della famiglia che può cenare in tranquillità.
La figlia maggiore tenta proteste ‘sindacali’ ogni sera e comincia ad avere le sue ragioni perchè spesso se ripasso verso le 21,30 o 22 è ancora sveglia.. L’anno prossimo farà la prima media e diventa sempre più difficile mandarla a letto presto, sia perchè ha bisogno di meno sonno, sia perchè quello che fanno gli altri dai 9 – 10 anni comincia a ‘pesare’ sempre di più.
Alle soglie dell’adolescenza la peer pressure si comincia a sentire, specie con le femmine, e diventa sempre più difficile non essere omologati alla cultura corrente, anche sui tempi del sonno (altri magari vanno a dormire alle 11 o vedono in tv programmi che io trovo insulsi quando non volgari). Ecco, questo è un profilo da considerare che forse tocca più la cultura occidentale di altre: che noi abbiamo una lunghissima adolescenza, tra l’altro vittima prediletta del marketing di prodotti inutili, mentre credo che in altre culture più ‘rurali’ si passi dall’infanzia all’indipendenza in modo più repentino.
Che dire….tenetevi pronti
Elisabetta C.
Difatti Babies lascia un po’ di perplessità per quanto riguarda il nostro (occidentale) modo di fare.
La bimba giapponese ed il bimbo americano risultano decisamente molto più stressati e poco “umani” in confronto agli altri due.
Che il quadro occidentale non ne esca in modo positivo, anche secondo me, è fuori dubbio, però io penso che la realtà sia proprio questa, ovvero che i “nostri” metodi e stili di vita non siano proprio il massimo per un bambino dai 0 ai 12 mesi. Siamo troppo artificiali, per quanto ci si possa impegnare, e spesso noto quanto mia figlia (ora ha 2 mesi) si lamenti apparentemente senza motivo. Apparentemente, perché appena usciamo di casa e vede una nuvola in cielo, lo stess sparisce all’improvviso.
Ecco quindi che se dovessi scegliere l’ideale per questa età, anche io andrei sul mongolo. Senza dubbi.
Anzi, avessi la libertà assoluta di vivere la vita ideale, farei trascorrere i primi due anni della vita della nostra bimba in Mongolia come fa Bayar (il bambino di Babies) e poi tornerei in Italia o in Giappone per impartirgli un’educazione scolastica occidentale. In realtà sarebbe tutto fattibile in Italia, ma era per estremizzare il concetto.
È proprio questo il punto a cui alludevo precedentemente. La fine del film ci ha portato a pensare che la netta differenza tra occidentali ed abitanti del secondo o terzo mondo sia, ovviamente, proprio la scolarizzazione.
Mentre il bimbo africano cammina e trasporta degli oggetti in testa, restando in equilibrio, i bambini occidentali riescono a malapena a stare sul seggiolone senza cadere. E che brutto effetto che fa quel seggiolone di plastica!
Poco dopo, però, il bambino occidentale comincia a prendere in mano i primi libri, i primi giochi educativi, a colorare, ecc., mentre quello africano continuerà per il resto della sua infanzia a fare praticamente nulla.
Ciao sono appena tornata dal Giappone con il resto della famiglia e tempo fa vidi anche Babies… ovviamente quel caso descritto in Giappone non rappresenta tutti i bambini, insomma e’ difficile -anzi impossibile- generalizzare per nazioni o per emisferi del mondo, ma l’articolo fa senza dubbio riflettere su due punti: 1) l’importanza del lasciar fare al bambino; 2) non lasciarci tentare dalla tentazione di “criticare” altri genitori solo perche’ fanno diversamente da noi. Due punti che ho vissuto sulla mia pelle pochi giorni fa su territorio italiano. Buona continuazione!
Ciao Nadia,
chiaramente Babies segue il percorso di un bambino di Tokyo, quindi non rappresenta in alcun modo la totalità dei bambini giapponesi. Banalmente sarebbe come dire che un bambino di Milano viene cresciuto come uno nel paesino più sperduto della Sicilia, ed ovviamente non è così, però a mio modo di vedere rappresenta bene la realtà del Sol Levante.
Il Giappone, come l’Italia, è un paese molto vario dove esistono metropoli e paesini di campagna, però ti posso assicurare, soprattutto ora che la sto vivendo sulla mia pelle, che a crescere il bambino in un ambiente così “ovattato” sono la stragrande maggioranza dei giapponesi, sotto consiglio di pediatri e personale ospedaliero.
Basti pensare che la prassi è non uscire assolutamente di casa e per nessun motivo entro il primo mese di vita.
Oltre a questa, decine di altre “regole”, almeno dal mio punto di vista, discutibili, tipo non uscire di casa se c’è il rischio che piova, coprire bene il bimbo con un cappello anche se è nuvoloso, ecc.
Una conclusione generale sul Giappone: il Giappone che si vive da turista e quello della vita di tutti i giorni sono due nazioni completamente differenti. Dirai “be’, ma vale per tutti i paesi del mondo”, ed è vero, ma nel caso del Giappone questo aspetto è ancora più marcato.
Ciao 2DMe, grazie per la tua reazione e ne approfitto per manifestare la mia differente percezione della realta’ giapponese specialmente quando si parla di pioggia. Avendo vissuto a Tokyo e mandando le bambine in scuole materne pubbliche, sia io che mio marito, abbiamo imparato a dover fare tutto con la pioggia (ne approfitto per comunicarvi che ora inizia la stagione delle piogge “tsuyu” che durera’ fino agli inizi di luglio). Ci siamo attrezzati con raincoat, boots e ovviamente ombrelli, e abbiamo letteralmente imparato a viverci la giornata di pioggia con naturalezza….cosa di cui invece ci lamentavamo nei nostri paesi italiani (e meridionali, nel caso facesse la differenza).
Continuando sulla linea dello scambio culturale, vorrei aggiungere che anche in altre aree (ad esempio l’India) e in epoche passate (anche in Italia, almeno quella meridionale), il bambino nei suoi primi mesi di vita veniva tenuto a casa o comunque al riparo da possibili “mali” (a seconda della cultura tale termine ha interpretazioni differenti, ma non penso di sbagliarmi interpretandololo come “malattie”), per ovvie ragioni quali ad esempio un sistema immunitario debole che li esporrebbe a gravi richi (specialmente laddove il sistema sanitario e’ carente).
Insomma per concludere cito una frase che ripeto sempre alle bambine “il mondo e’ bello perche’ e’ vario”, e ritengo che la diversita’ abbia sempre delle motivazioni che in fondo noi…che seguiamo bilingue per gioco…siamo protese a cogliere attraverso l’apertura ad altre lingue e quindi culture. Che bello!
Una cosa al volo . Pur essendo fatalista, vivo con apprensione alcune situazioni tipo: se nostro figlio avesse una crisi respiratoria o uno shock anafilattico in pochi minuti sarebbe in ospedale con codice rosso. In Mongolia o in Africa, cosa accadrebbe? Anche a me piacerebbe vivere più in armonia con la Terra, ma sapremmo davvero sopravvivere fuori di qui? Il primo anno dei bambini è un anno di scoperte ma nasconde anche molti pericoli, sapremmo noi mamme occidentali accettare il “destino” come una mamma africana, per esempio? Io so che farei fatica.
Nemmeno a me Babies è sembrato bello da impazzire, però mi ha fatto riflettere su un punto: la nostra arroganza. Il nostro modo di concepire sempre il mondo come NOI e LORO (questo l’ho pensato leggendo i commenti qui sopra, se devo essere sincera) come DENTRO o FUORI… Invece quel documentario, in un modo o nell’altro, racconta di una dignità – nonostante tutto – su cui a me piacerebbe si riflettesse. Sporco o non sporco. E di un amore che è sempre identico: sul più alto grattacielo di Tokyo come nella sabbia e nella terra della Namibia…
Grazie Francesca, hai espresso un pensiero che condivido pienamente. (…comunque a me Babies mi era piaciuto, e come sempre quando vedo bambini mi sono anche emozionata!). Buona giornata!