Eccoci di nuovo alla scoperta di materiali da Tate publisher. Questa volta parliamo di un libro che è anche un’esperienza tattile ma soprattutto un’esperienza di vita: “Monday” di Anne Herbauts ci racconta, in modo lieve, cosa si prova quando si perde una persona cara.
La storia, in breve, racconta del pinguino Monday e dei suoi amici, Yesterday and Tomorrow: insieme giocano e fanno musica, dalla primavera all’autunno finché arriva l’inverno e all’improvviso la casa di Monday viene spazzata via dalla tempesta e il pinguino non si trova più.
Per descrivere la perdita si ricorre a due espedienti, uno narrativo e l’altro figurativo/tattile.
Quest’ultimo è più potente e definitivo:
quando Monday scompare, il lettore segue la ricerca da parte dei suoi amici: “Monday, where are you?”; il tempo passa, le pagine pure ma di Monday nessuna traccia finché comincia a nevicare…e lì la pagina si assottiglia, possiamo sentire con le dita i fiocchi di neve che scendono e si posano e coprono tutto anche…Monday! Ma allora sei lì!
Ti sento, anche se non posso vederti (si passano le dita sulla pagina e si possono sentire i contorni del pinguino, solo un sottile rilievo nel bianco). I bimbi capiscono cosa sta succedendo, seguono la ricerca con trepidazione “Monday, where are you?”, chiamano anche loro, si rassicurano “sentendo” che Monday è da qualche parte “but why can’t I see him?” e “did he come back for real?”.
A questo punto ci viene incontro l’espediente narrativo che, come dicevo, è meno netto di quello pittorico: innanzitutto non viene mai detto esplicitamente “Monday is gone” o, peggio, “Monday is dead” e non a caso i nomi dei personaggi si rifanno ai giorni della settimana. Questo fa sì che si possa parlare della ciclicità di giorni, settimane, stagioni, di ciò che torna ogni volta e ogni volta è diverso. Insomma, volendo si può evitare la “grande domanda”, si può tacere sul fatto che quel Monday, proprio lui in persona, non tornerà più; perché lo so, il tema è forte, molti ritengono non sia adatto ai libri per bambini ma i bimbi, si sa, fanno domande e una di queste prima o poi è: dove si va quando si muore?
Proprio perché non si sa cosa dire, ma qualcosa si deve pur dire, le risposte più gettonate sono: “è andato in cielo” o “è partito per un lungo viaggio”. Ma il bimbo non si arrende e magari ti chiede: “in cielo dove?” oppure “quando torna da questo viaggio? Io lo aspetto…”. Insomma, queste risposte risolvono poco, anzi, possono creare effetti molto controproducenti, come il fatto di aspettare per anni il nonno, il gatto, la zia che non c’è più e ovviamente non torna, sentendosi abbandonati o perfino in colpa.
Invece Monday ci ricorda una grande verità: anche quando qualcuno non c’è più si può sentire la sua presenza nel mondo, nelle cose, in noi stessi. Che, a mio parere, è l’unico modo in cui si può dire a un bambino che a volte è necessario “imparare a dirsi addio”: cito da Concita De Gregorio “Così è la vita”, da leggere assolutamente quando i figli cominciano a farti “certe domande” (sempre se, come me, siete di quelli che le risposte le cercano prima e soprattutto nei libri); per i più temerari, il libro della De Gregorio contiene anche una bibliografia di libri per bambini che affrontano la “grande domanda”.
Del suo libro cito anche questo passaggio molto bello e utile, da Françoise Dolto: “perché si muore? Si muore quando si è finito di vivere”. Non perché si è vecchi, malati o sfortunati: si è finito, come un compito che si è portato a termine, dopo il quale ci si riposa un po’ prima di iniziarne uno nuovo.
Ecco, il post doveva finire qui ma poi è successo che questa spiegazione cosi’ saggia, profonda e poetica mi sia venuta in soccorso quando ho dovuto spiegare a mia figlia (quindi in inglese) perché la mamma di un suo compagno di classe non c’è più. Ed ecco che la teoria è molto diversa dalla pratica, tanto piu’ che la spiegazione è avvenuta in un clima non proprio tranquillo poiché la bambina era venuta a conoscenza del fatto da una compagna di classe ed era molto spaventata (ché va bene informare i bambini ma sempre considerando la loro età e sensibilità e certamente evitando di essere bruschi…).
Ora, lungi da me dal confutare la Dolto, pediatra e psicanalista di chiara fama, ma vi posso assicurare che mi sono sentita molto stupida mentre dicevo che la mamma di un bimbo piccolo e di una neonata ha finito di vivere. Come è possibile! con tutto quello che aveva ancora da fare…e mi sono sentita salire la rabbia quando ho pensato che il fatto che questa donna abbia finito di vivere sia dipeso con tutta probabilità da un caso di malasanità.
Ovviamente mia figlia a quasi sei anni queste cose non le sa e si è accontentata della spiegazione, anzi mi è sembrato che la abbia rassicurata, il problema è senz’altro più mio.
E questa sua reazione mi fa pensare che in effetti Françoise Dolto abbia visto giusto nel dare questa risposta alla “grande domanda”:
magari lei è riuscita a mettersi nei panni e nella testa di un bambino, cosa che per gli adulti quasi mai è facile fare.
Versione originale in francese: “Lundì” on amazon uk
In inglese: “Monday” on Amazon uk e Amazon IT
In italiano: “Lunedì”, Amazon it
C. De Gregorio “Così è la vita. Imparare a dirsi addio” su Amazon it
Images’ credits:
© Anne Herbauts. From “Monday”, Tate Publishing
2DMe says
Grazie mille per la segnalazione.
Sono diventato padre da soli due mesi, però mi sto già preparando a questo tipo di scenari.
Questo libro è appena entrato nel mio carrello di Amazon.
Mia moglie è giapponese ed anche io ho vissuto in Asia per un po’ di tempo.
Questo deve avermi sicuramente influenzato, tant’è che non prenderò neanche in considerazione frasi come “è andato in cielo” o, peggio ancora, “è andato in viaggio”.
I giapponesi hanno un rapporto con la morte molto diverso: se ne parla fin da subito e, perdonate la frase ad effetto, ma nessuno si gratta quando vede una tomba o quando si ribadisce il concetto che, prima o poi, ce ne andremo tutti.
Arianna says
Concordo in pieno: molto spesso nella cultura occidentale la morte (e la malattia e la disabilità…) sono tabù, meno se ne parla meglio è. Chiaro che non si sappia poi come affrontarle…per tornare al confronto tra culture proposto da Letizia in questo post
http://bilinguepergioco.com/2012/05/28/noi-che-amiamo-cognitivamente/
a me sembra che sia in questi ambiti, nell’elaborazione dei concetti di vita e di morte ad esempio, che il confronto fra culture e usanze diverse può fornirci strumenti educativi davvero preziosi, che vanno molto al di là dell’età a cui i bambini camminano o abbandonano il pannolino…
2DMe says
Avevo già commentato quel post. Decisamente molto interessante… ne stavo discutendo in questi giorni con mia moglie e la suocera (al momento mi trovo in Giappone) perché anche loro hanno le loro fisse e credenze basate sulla propria cultura, come se non esistessero altre realtà nel mondo. È chiaro che quando ci sono in mezzo differenze culturali si rischia di litigare per nulla, quindi l’ho presa alla leggera, però è anche bene ribadire che ci siamo evoluti in migliaia di anni e miliardi di bambini sono cresciuti nelle situazioni più disparate, dal vivere completamente ovattati o senza neanche un tetto.
Detto ciò, io consiglierei ad ogni genitore di affrontare il discorso della morte il prima possibile, ma chiaramente in modo molto “soft”. Come promette Monday, per l’appunto.
Crescere con questo tabù potrebbe rivelarsi dannoso per diversi motivi.
Per quanto possibile, perché poi siamo tutti umani, sarebbe consigliabile cercare di comprendere ed accettare i meccanismi della vita. Certo, poi in casi come quelli descritti dal post (mamma che se ne va precocemente) è difficile, per non dire impossibile, razionalizzare ed “accettare”.
Arianna says
Sì, ciò che è accaduto a questa famiglia è uno di quei casi in cui accettare è pressoché impossibile…però vi posso assicurare che anche in questo caso dal punto di vista dei bambini la cosa migliore è stata parlarne: con i genitori, con gli insegnanti in classe, disegnare ciò che ci fa felici o tristi…mentre l’incertezza, il non capire, il non sapere cosa è successo intuendone la gravità, il negare di alcuni adulti che temevano di spaventare sono le cose che inizialmente avevano creato panico e paura nei bambini. Come ho sentito dire dal papà di Lulù (il musicista Niccolò Fabi) una frase che viene spesso detta è “non ci sono parole” e invece le parole ci sono e bisogna dirle.
2DMe says
Assolutamente d’accordo, però, sai, a volte è la società in cui vivi che un po’ tende a bloccarti e a non esprimerti in certe situazioni. Io, come già scritto, affronterò questo discorso con mia figlia in ben altra maniera, ma capisco pure Niccolò Fabi quando rilascia quella dichiarazione.
È una dichiarazione in politichese perché sappiamo tutti che se in Italia provi a dire, per esempio, “È una tragedia, ma bisogna accettarla e andare avanti. Per fortuna la bimba ha ancora il padre.” il giorno dopo ti ritrovi con migliaia di persone che gridano allo scandalo perché sei troppo “freddo” o perché “forse della moglie non te ne fregava niente” o “forse si stavano separando…”.
È difficile anche esprimersi, a volte, con la gente comune ed è per questo che sono felicissimo di poter affrontare questa discussione con voi. Io stesso mi trovo spesso in difficoltà ad esprimermi in presenza di italiani perché se dico la mia riguardo molti argomenti, spesso vedo la reazione negli occhi della gente come a dire “questo è scemo”. E devo anche ammettere che mi trovo in imbarazzo di fronte a quegli sguardi.
Fortunatamente ho un gruppo di amici con cui mi trovo perfettamente a mio agio, quindi a parte questo ho una vita sociale più che buona. 😀
Arianna says
Scusate, devo aver omesso delle necessarie virgolette nella citazione, per amor di chiarezza preferisco riportare per intero quella parte del discorso fatto da Fabi in apertura al concerto svoltosi il 30 Agosto del 2010, in quello che sarebbe stato il secondo compleanno di sua figlia Lulù: “…in questo periodo la frase più frequente che sentivo da quelli che si avvicinavano era: non ci sono parole. E invece ci sono eccome, hanno un’importanza enorme, ogni singola parola che ci è stata detta, anche quella smozzicata o solo intuita, ci ha aiutato tantissimo. Il dolore se non è condiviso diventa rabbia e disperazione. Noi siamo musicisti: un concerto per noi è il modo più diretto per parlare e stare insieme. Magari non riusciranno neppure a cantare tutti, gli amici che sono venuti, ma sono tutti qui. Quello che è accaduto è stato talmente forte che doveva scatenare qualcosa di altrettanto straordinario: il dolore condiviso si trasforma, genera forza. Eccola”. Poi sale sul palco e comincia a suonare. (sempre da C. De Gregorio “Così è la vita”, pag. 40)
2DMe says
Effettivamente ho interpretato male la citazione-non-citazione di Niccolò Fabi. 🙂
Ora è tutto più chiaro.
Camomilla says
E’ vero Arianna, non poteri essere piu’ d’accordo, come gia detto nell’altro post, non sono l’ora della nanna o l’eta dello spannolinamento ad essere vitali, i bambini nascono e crescono ovunque e da sempre, credo che ogni genitore con un minimo di buon senso riesca a capire cosa sia meglio per la propria famiglia, ma e’ proprio su questi temi, della morte, della malattia, del distacco, che bisognerebbe avere il coraggio di aprirsi alle altre culture ed imparare qualora la nostra non sia all’altezza.
Per la mia famiglia la morte e la malattia sono sempre stati dei tabu’, e quando sono arrivate, non sono stata affatta pronta ad accettarle e capirle, non lo sono ancora oggi, ancora oggi preferisco dimenticare che ricordare e non e’ bello.
Cerchero’ per quello che posso di non ripetere l’errore ma gia so che non sara’ semplice.
Grazie del post.
Arianna says
Hi Camomilla, grazie a te per aver condiviso. La tua storia mette in luce quanto sia cruciale il ruolo della famiglia nel favorire o impedire lo sviluppo di capacità individuali di reazione agli eventi avversi. Nel nostro caso, ad esempio, lo stesso evento (perdita precoce di un genitore, anche se a distanza di una generazione) ha prodotto nella mia famiglia di origine e in quella di mio marito due risultati opposti: nel nostro caso la sofferenza condivisa e il dialogo ha prodotto l’accettazione, nella famiglia di mio marito il tabù su questi temi ha prodotto l’incpacità di accettare perfino un raffreddore…con il nostro incontro, e soprattutto con la nascita delle figlie, mio marito ha affrontato una sorta di terapia sul campo e posso dire che, se pure è ancora lungi dall’accettare la vita come viene e soffre ancora d’insonnia, sicuramente è ormai vaccinato contro gli eccessi d’ansia 😉
Camomilla says
Come capisco tuo marito Arianna!
Anche per me e’ stato ed e’ lo stesso, il primo anno di mia figlia e’ stata una terapia d’urto piu’ potente di 10 anni di psicoanalisi (che non ho mai fatto…).
2DMe says
Purtroppo anche gran parte dei componenti della mia famiglia (quelli più anziani) reputano questo discorso tabù. Basti pensare che mio nonno se n’è andato all’età di 73 anni senza sapere che aveva un tumore (ed ha vissuto le ultime due settimane in ospedale a soffrire ogni giorno di più).
Mio nonno non sapeva perché mia nonna non accettava la malattia e le sue figlie (tra le quali mia madre) pensavano “se adesso gli diciamo che ha un cancro, molla tutto e ci abbandona sul momento”. Andò all’ospedale pensando di avere un’ernia, pensate un po’.
Io non potevo crederci, tant’è che dissi a tutti (pur avendo 23 anni) “oh, se capita a me non provate a nascondermi neanche il più inutile dettaglio: io VOGLIO sapere tutto e lo pretendo”.
Trovai il tutto molto assurdo. Mio nonno se ne andò, io riuscii ad accettare la sua morte preparandomi psicologicamente nel corso di quelle due settimane. Piansi un po’ al suo funerale, è chiaro, ma la presi con filosofia e la vissi più come un ringraziamento a ciò che ha fatto per noi nella sua vita che ad una tragedia (perché le tragedie sono altre).
Lo stesso non si può dire di mia madre, delle sue sorelle e di mia nonna, che purtroppo da quel giorno sono cambiate radicalmente.
Per non parlare delle complicazioni burocratiche che comporta una morte…
Arrivare preparati può rivelarsi mooooolto utile anche da quel punto di vista.
Chi ci è passato, sa di cosa parlo.
fiorelena says
Vorrei ringraziare Arianna per questo utilissimo post. Io sono convinta, come tutti voi a quanto pare, che i bambini vadano “educati” piano piano, ma fin da piccoli, a concetti difficili come questo. Io mi sono ritrovata a parlare a mia figlia della morte quando aveva 12 mesi mostrandole una pianta con boccioli, fiori completamente sbocciati e fiori appassiti sull’erba; le ho spiegato che tutto comincia e tutto finisce, che tutto nasce e tutto muore. Il concetto lo ribadisco, banalmente, anche quando non vuole venire via dal parco: tutto comincia e tutto finisce, anche il tempo del gioco al parco. Ma Monday mi sarà certamente molto utile sebbene, ammettiamolo, è sempre così complicato emotivamente da accettare!
Bilingue Per Gioco says
Grazie davvero ad Arianna, per la proposta e la recensione, ma grazie anche a tutti voi per aver condiviso storie così personali. Grazie in realtà non è la parola giusta, ma non saprei quale altra usare… In ogni caso quello che voglio dire è che la profondità di questo scambio di esperienze è veramente toccante e aiuta molto la riflessione.
Sempre nell’ottica del guardare ad una stessa cosa con diverse lenti, voglio condividere anche un altro esempio che avrebbe dovuto andare nel post http://bilinguepergioco.com/2012/05/28/noi-che-amiamo-cognitivamente/ ma che sulle prime non ho avuto la forza di scrivere nel post (per motivi culturali a questo punto evidenti…). La professoressa Keller ha parlato anche di come in certe popolazioni africane se il bambino cerca lo sguardo della mamma con intensità (avete presente quegli sguardi mamma-bimbo che ti ci perdi…?), ecco se il bambino fa questo la mamma distoglie lo sguardo, lo evita.
Perchè?
Preparatevi.
Perchè in una società in cui l’aspettativa di vita è così bassa non è (testuale) “una strategia adattiva creare legami molto forti con una sola persona”, è molto meglio che il bambino crei legami con tante persone, con il gruppo, e possa un domani fare a meno di qualsiasi singolo, anche della mamma.
Questa cosa mi ha fatto una tristezza enorme, dà la misura della distanza abissale tra la nostra esperienza di vita e la loro. Anche se razionalizzando è questa la condizione di vita naturale (nel senso che non è nell’ordine delle cose che si viva fino a 90 anni, è una nostra devianza, o lusso).
L.
Elena says
Grazie del post, capita nel momento giusto e mi aiuta ad affrontare un argomento difficile. Settimana scorsa è morto la nostra cara cagnona wanda, un golden di ormai 15 anni. Io e mio marito ci siamo trovati a dover spiegare il concetto di morte al nostro bimbo di 4 anni, che proprio in questo periodo già si faceva domande sul cosa succede poi. Avevamo opinioni diverse sul come, alla fine a domanda diretta abbiamo risposto che wanda non c’è piu fisicamente, ma c’è ancora nei nostri pensieri, vive ancora in ogni ricordo. Oggi abbiamo fatto una scatola, un “treasure chest” e ho chiesto a mattia di metterci tutto quello che gli ricordava la nostra golden ( ho visto questa cosa una volta in sos tata e brancolando nel buio sul cosa fare , ho pensato potesse andare bene). Mattia ha scelto un biscotto, un sasso, il suo pollo di gomma. Sembra abbia funzionato e che abbia interiorizzato il concetto, tanto da farci dell’ironia: io volevo mangiare in giardino, lui no. Mi ha detto che potevo stare fuori da sola, tanto wanda nel mio cuore, mi avrebbe fatto compagnia.
Eleonora says
Scusa, Letizia ma continua a lasciarmi perplessa questo ‘‘noi,, -muro- ‘‘loro,, e non per ignoranza o una una presa di posizione di correttezza estetica. Due generazioni fa -due- baciare i propri figli in molte zone d‘ Italia era per lo più considerato sconveniente per gli stessi identici motivi da te descritti. La bis-nonna pugliese di una mia carissima amica, resasi conto in punto di morte, dell‘ assurdità della ‘‘strategia adattativa,, allora collettivamente ritenuta conveniente, confessò ai figli di baciarli e coccolarli la notte, mentre dormivano in modo che non se ne accorgessero, e consigliò di non ripetere l‘ assurdo errore con i nipoti. In particolari situazioni culturali, tutt‘ oggi, sempre in Italia, i padri non baciano e coccolano i figli maschi per non crescerli sentimentali e ‘‘deboli,, ma indipendenti (sottinteso: pronti a prendere il ruolo di capo-famiglia nel caso il padre dovesse morire).
Agi says
Mi e’ venuto da pensare alle vicende familiari al tempo dei miei nonni e bisnonni: certo ai bambini si voleva un gran bene e (al tempo) venivano tirati su dalle nonne che le madri, piu’ giovani, prima dell’anno di eta’ dei piccoli spesso se ne tornavano a lavorare nei campi, ma ancora parecchi si trovavano a morire di malattie infettive per cui oggi non si muore piu’ (pertosse, morbillo, …).
In quella realta’ la morte (purtroppo, dei bambini, dei neonati) non era un evento cosi’ raro.
Anche allora capitava che i legami genitore-figlio fiorissero quando il bambino raggiungeva un’eta’ piu’ avanzata… Pero’, non e’ che ai bambini non fosse voluto bene: mia madre ha, in un certo senso, avuto due madri (mia nonna e la mia bisnonna) e un sacco di fratelli (il suo vero fratello e i suoi cugini: tutti insieme nella grande famiglia “patriarcale” di un tempo).
fiorelena says
Letizia, credo di non aver mai letto nulla di più triste nella mia vita! Nella nostra società sarebbe drammatico anche solo pensare di poter privare i nostri figli e noi stessi di una simile gioia…santo cielo quanto siamo fortunati! Grazie
Eleonora says
Arianna, credo sia un libro molto utile per un genitore impreparato a parlare di morte con i figli (e quindi, probabilmente, a monte impreparato anche con sé stesso), le illustrazioni in oltre sembrano molto belle!
Io ricordo perfettamente il giorno in cui ho -letteralmente- scoperto la morte a 6 anni. Me la sono trovata di fronte agghindata di tutto il lugubre dramma della ritualità cattolica (era una vicina di casa) ma nella mia famiglia la morte era un tabú taciuto (leggi negato) per ottusa superstizione.
Con i miei bambini credo di aver parlato da sempre di morte, o, se vogliamo usare un‘ eufemismo che mi piace molto, di ‘‘passaggio di testimone,,. A cominciare dal nome: ho messo loro come secondo nome quello dei bisnonni, perché si sentissero da subito parte di un processo in divenire. La grande (8 anni) è già ben cosciente di portare parte del patrimonio genetico di mamma e papà, dei nonni e cosí via a ritroso (sotto forma di abilità, colori, talenti, attitudini…) Lei è nata due giorni dopo la morte della sua tris-nonna e ho lasciato che traesse da sola le sue conclusioni da questo episodio già dall‘ età di 4 anni.
In oltre viviamo in mezzo ad una natura florida ed è più semplice capire il processo della continua rinascita, come dice fiorelena, e vedere il lato, se non positivo, creativo della morte: l‘ humus fertile che permette la vita della meravigliosa foresta vicino a casa è nutrito da foglie, insetti e animali morti. Ciò non toglie che a volte si ponga con preoccupazione il problema del giorno in cui moriranno i suoi adorati nonni e bis-nonni, soprattutto quando capita qualcosa di simile ai suoi amichetti…
Arianna says
Ciao Eleonora, in effetti quest’ultimo è proprio il punto che al momento mi viene più difficile affrontare: come parlare della morte di una persona cara, con la quale le bimbe hanno instaurato un forte legame affettivo? Finora, infatti, ci è sempre capitato di parlarne a proposito di persone che le mie figlie hanno conosciuto solo in fotografia e attraverso i discorsi fatti in famiglia o, come nel caso della mamma del compagno di scuola, che hanno conosciuto in maniera troppo superficiale per percepire il distacco.
Ci sto appunto riflettendo molto perché a breve bisognerà affrontare il discorso riguardo alla morte di mio nonno, avvenuta dopo una lunga malattia: non viveva nella nostra città quindi le bimbe non lo vedevano quotidianamente ma si adoravano… con mia mamma ci stiamo industriando per trovare il momento e l’occasione giusta, ovviamente si accettano consigli
Eleonora says
Certo non è facile, comunque sono convinta che i bambini piccoli abbiano più risorse di noi adulti di fronte all‘ accettazione della morte, soprattutto se sopraggiunta in modo ‘‘naturale,,, se non altro per il rapporto che hanno con il tempo e di conseguenza con concetti come ‘‘per sempre,, ‘‘mai più,,. Nei momenti chiave dell‘ esistenza come questo (cosí come per esempio nel passaggio dall‘ infanzia all‘ età adulta, dall‘ età fertile alla senilità …) credo sia indispensabile appoggiarsi alla tradizione, ad un credo filosofico o religioso, meglio se coerente, familiare/collettivo, non improvvisato, coltivato in precedenza, sentito in modo sincero, che possa offrire ai bambini la possibilità di metabolizzare ed esorcizzare lo ‘‘shock,, attraverso il conforto della ritualità condivisa.
Anch‘io come 2DMe sarei contro il ‘‘partire per un viaggio,,, il ‘‘volare in cielo,, il ‘‘trasformarsi in un angelo,, ma non precluderei al bambino la possibilità di fantasticare su una possibile non meglio definita ‘‘vita,, dopo la morte fisica… meglio lasciare nichilismo ed esistenzialismo all‘ adolescenza 🙂
Comunque sia, in bocca al lupo e tanta forza!
Eleonora
Lucia says
un’amica mi diceva anche di un libro molto bello per bambini che parlava più specificamente della morte della mamma. Non ricordo il titolo, forse qualcuno lo conosce già. Io ero curiosa ma non l’ho cercato, è un’argomento che conosco bene ma ancora mi fa specie.
silva says
Sto cercando un libro per la mia bambina di quasi 3 anni che ha da poco perso il papà….qualcuna di voi ha qualche suggerimento?ho perfino pensato di creare io un libretto con una storiella che le dia serenità e sicurezza. Le ho spiegato che il papà aveva una malattia che i medici non hanno potuto curare, e che è dovuto andare via, è andato in cielo ma noi ce l’abbiamo nel nostro cuore e rimarrà sempre con noi…è stata dura raccontargliela senza singhiozzare, ma ce l’ho fatta….ogni tanto mi chiede quando verrà giù dal cielo? e io le spiego che purtroppo non può più tornare, ma che ci vede e ci guarda da lassù ed è contento di vedere che lei è brava e sta diventando grande…
Avrei bisogno di un libretto che rinforzi questi concetti, pensi che monday potrebbe far al caso mio?
Bilingue Per Gioco says
Silvia,
non ho consigli da dare, ma mi spiace davvero tanto per te e la tua bambina, e ti ammiro per come ti fai forza per lei.
Ti auguro tanto di superare il dolore, e forse guarda in realtà un consiglio ce l’ho, quello di trovare spazio anche per il tuo di dolore, perchè tanto non è che siccome uno si fa forza allora non deve farci i conti. I conti prima o poi si fanno, ed è meglio farli subito.
Ciao,
L.
silva says
Sì è vero ke i conti bisogna farli e subito, per fortuna le mie colleghe di lavoro e amiche si sono strette tutte intorno a me e alla mia bimba e mi hanno aiutato molto…e ho capito che a volte bisogna lasciarsi aiutare perchè è dura venirne a capo da soli…
Ho capito anche che nella vita dovremmo tutti essere un po’ meno egoisti e stare più attenti al prossimo, a volte anche una sola telefonata può rivelarsi un “ricostituente” per la mente rapita da pensieri tristi.
Arianna says
Ciao, sì sicuramente la lettura di un libro come questo aiuta a rinforzare i concetti di cui parli; in particolare il fatto che ci sia un luogo dove le persone che muoiono vanno, in cui hanno delle cose da fare e da cui possono tenersi in contatto con il nostro mondo (Monday, con la sua inseparabile casetta, non è più con i suoi amici ma è certo da qualche parte, lo sentiamo: con le dita, toccando la pagina, e con il cuore ). A detta della psicologa della scuola di mia figlia, il concetto di un luogo dove si va è molto importante per i bimbi piccoli, non importa come questo luogo sia o si chiami, a quale credo appartenga: loro hanno bisogno di sapere che c’è un posto in cui fra tanto tanto tempo andremo tutti e potremo rincontrare le persone che non ci sono più e da cui, forse, tutti veniamo. Queste sono cose dette dai bambini della classe, tra i 3 e i 6 anni; come diceva Eleonora, il nichilismo lo possiamo lasciare semmai all’adolescenza.
Un abbraccio a te e alla tua bimba
Lucia says
Ciao Silva,
vuoi provare a vedere la recensione di:
Il mare del cielo,di Cosetta Zanotti, illustrazioni di Cristiana Cerretti, Edizioni San Paolo (“Parole per dirlo”), p.32, ISBN 88-2155081-8 ?
la trovi in questo link:
http://www.alicenelpaesedeibambini.it/alice/rubriche/19_lettera_PCM.htm
è un libro illustrato che vede protagonisti dei pesciolini, non ho avuto modo di sfogliarlo ma dalla recensione mi pare che il contenuto sia garbato e adatto ai più piccoli e le illustrazioni sembrano belle.
un sincero augurio di superare con la maggiore serenità possibile questo momento difficile
Lucia
Eleonora says
Ciao, Silva. Mi unisco all‘ ammirazione per la tua forza. Credo che l‘ idea di una storia scritta da te per aiutare la tua bambina sia meravigliosa utile oggi per affrontare la situazione con l‘ intimità esclusiva del ‘‘vostro,, linguaggio, ed utile domani per ricordarle in modo tangibile e profondo il tuo amore.
Questa notte ho navigato a lungo per scoprire come la bibliografia per bambini in età pre-scolare affronta il tema in Svezia, Spagna, Italia nella speranza di scoprire qualche titolo interessante da proporti, oltre al bellissimo libro consigliato da Arianna. È stato interessante vedere la differenza d‘ approccio nelle diverse culture e devo dire, non ho trovato nessun libro delicato, religiosamente ‘‘neutrale,, e confortante come ‘‘Monday,,.
Nel caso di un‘ educazione di stampo cattolico, invece, ho trovato molto ben illustrato (trattandosi diillustrazione funzionale), adattissimo all‘ identificazione, positivo e delicato un libro di Daniel Grippo che racconta la perdita del papà da parte di una mamma e una bimba di una famiglia ‘‘folletti,,. Purtroppo l‘ ho trovato solo in spagnolo, inglese:
http://www.amazon.com/CUANDO-FALTAN-MAMA-Spanish-Edition/dp/8428535019
http://www.amazon.it/When-Mom-Dad-Dies-Comfort/dp/0870294156/ref=sr_1_16?ie=UTF8&qid=1338968352&sr=8-16
Ma magari può essere d‘ ispirazione per la tua storia, anche solo visivamente.
Se decidi di prenderlo e hai bisogno di una traduzione dallo spagnolo sono qui.
Lo stesso se hai bisogno di illustrazioni per la tua storia (non sono una professionista, ma sono sicura che si riuscirebbe a fare qualcosa di carino :-)).
Un abbraccio a te e alla bimba
Eleonora
Arianna says
Ciao Eleonora, a proposito molto interessamte è il progetto Alfin libros http://www.alfinlibros.com/cas/index.php?op=2&pg=quiSom
libreria online catalana specializzata su questi temi; ha anche altre lingue (spagnolo castigliano, inglese, francese, tedesco) e una sezione dedicata ai libri per bambini
un caro saluto,
a
Matilde says
Cara Silva, anch’io sono una mamma che, purtroppo, si è trovata a dover affrontare, col mio bambino di 2 anni e mezzo, la morte di mio marito/suo padre, recentissimamente.
Inizialmente il mio bambino non ha menzionato il padre per 3 giorni, in una sorta di autocensura…poi sono stata io ad affrontare il discorso, raccontandogli di un lungo viaggio (sì, ho usato proprio questo racconto) che il padre aveva dovuto fare, per andare su una stella, dove ora si trova e da dove lo guarda e fa sentire la sua presenza e calore. E da dove, purtroppo, non tornerà più.
Io credo che il suggerimento della Dolto “si muore quando si è finito di vivere” sia molto suggestivo ma anche molto difficile da comprendere per un bambino così piccolo. E credo anche, come dice Eleonora (?), che sia importante per un bambino sapere che c’è un posto dove la persona amata è andata, perchè possa visualizzarlo con gli occhi della fantasia e arricchirlo dei dettagli che solo la poesia di un bambino può trovare. Credo che la morte vada affrontata nei termini e nei modi giusti a seconda dell’età del bambino…non si può generalizzare, condannando alcuni espedienti ed esaltandone altri…ogni bambino è a sè e ogni mamma conosce, seguendo il proprio istinto e il proprio cuore, le parole che deve usare.
Ciò che invece credo vada assolutamente evitato è l’esclusione del dolore, la censura, perchè per un bambino può essere lacerante percepire che le persone (soprattutto quelle più amate) possono sparire all’improvviso dalla loro vita, senza che nessuno ne parli più.
Matilde says
volevo anche aggiungere, per Silva, che l’idea di fare tu un libretto per la tua bambina mi sembra bellissima
Agi says
Care Silvia e Matilde, non ho consigli da darvi, la perdita di una persona cara (genitore, marito, …) e’ sempre un dolore immenso. Se riuscite a parlarne con i vostri figli e’ sicuramente positivo. Non lenira’ il dolore ma aprira’ la strada all’accettazione (processo lungo, non solo per un bambino).
Da figlia (ad un’eta’ molto maggiore di quella dei vostri bambini) ho apprezzato le parole di mia madre quando mio padre e’ venuto a mancare. Non sono state molte, ma le ricordo perfettamente, non hanno affatto lenito il dolore mio e di chi restava, ma erano quello che mia madre si era sentita di dire per noi.
Parlate col cuore e con tutto il vostro amore, io credo che i vostri figli capiranno.
E spero che qualcuno stia vicino anche a voi.
Francesca says
Ho riletto tutti i commenti a questo post e mi sono commossa. Grazie davvero a tutte voi per aver condiviso le vostre storie. La cosa che accomuna tutti i commenti è la delicatezza delle parole usate, delicatezza che penso sia fondamentale per affrontare discorsi così duri con i nostri amatissimi nanerottoli.
fiorelena says
Volevo raccontarvi un episodio che mi è tornato alla mente leggendo i vostri commenti: avevo sedici anni e venne a mancare un mio carissimo zio che lasciava moglie ed un figlio di appena 20 mesi. Indelebile è l’immagine di questo pargolo che, nei giorni successivi alla perdita del padre, seppur in braccio alla madre chiedeva disperatamente: “Mamma,prendimi in braccio”. Semplicemente non sapeva come esprimere il suo vuoto, il suo sgomento, la sua perdita e voleva un contatto ancora più stretto con la madre, chiedeva maggiore protezione e non sapeva come altro esprimersi.
Anni dopo io ho perso mio padre. I vuoti non si colmano. Il dolore, quello lacerante, è inevitabile. Ognuno ha il suo personale “tempo di maturazione del dolore”: per alcuni è lungo, per altri lunghissimo. Sforziamoci di tentare di preparare i nostri figli a qualcosa cui, purtroppo, si risulta sempre impreparati.
Camomilla says
Un abbraccio a tutte voi, Matilde e Sivia, davvero.
Tornando su una nota piu’ spensierata, come spesso, per fortuna, e’ la vita, ieri abbiamo partecipato alla Family Art Fair alla Tate Britain e dopo una bellissima giornata fatta di musica, laboratori artistici e tante risate siamo tornate a casa con…Monday!
Ora e’ li sul divano, da ieri l’ho sfogliato e sfogliato di nuovo, toccato e annusato.
Spero di trovare presto il coraggio per leggerlo alla mia piccola e tentare di spiegarle il perche’ c’e’ sempre un nonno che manca all’appello nei nostri “riassunti del chi vgliamo bene a…”
Grazie per il post, lo avevo gia detto vero?
Camomilla says
Scusa, Silvia, queste tastiere touch sono un disastro!
Arianna says
…Tate Britain, che bella! Conto di portarci le ragazze ad Agosto, spero la visitino volentieri come è stato alla Tate Modern…a voi un abbraccio e buona lettura
fiorelena says
Camomilla, perchè non ci racconti qualcosa in più circa la vostra giornata alla Tate Britain?
Camomilla says
Certo,
questo e’ l’evento a cui abbiamo partecipato:
http://www.tate.org.uk/whats-on/tate-britain/special-event/bp-saturdays-tate-together
Le varie attivita’ erano disposte nelle varie sale della Tate e questa secondo me e’ stata la parte piu’ suggestiva.
Abbiamo iniziato la mattinata con un “editor experience”, molto semplicemente era stata allestita una una libreria su cui erano stati posizionati, libri, giornali, dischi, oggetti di vario tipo; le bimbe/i potevano prendere dalla libreria tutti gli oggetti che volevano per poi farne un collage di immagini passandoli alla fotocopiatrice.
Ogni ora poi, si poteva passare a ritirare l’atricolo stilato e stampato con le immagini scelte.
Siamo poi passati al laboratorio musicale dove una chitarra elettrica ed un contrabbasso venivano suonati da due musicisti ma i kids potevano toccare le corde, muovere il pedale della chitarra elettrica, interporre tra le corde degli strumenti vari oggetti per cambiare e distorcere i suoni.
Mia figlia e’ impazzita in questa sala, ha dato letteralmente il martirio al povero malcapitato con la chitarra elettrica e s’e fatta troppe risate ogni volta che pigiava il pedale e partiva la schitarrata!
In un’altra sala ancora erano stati posizionati varie forme geometriche di legno leggero, triangoli, scale, cubi, quadrati e i kids potevano salirci sopra, formare torri, comporre palazzi.
Mia figlia non e’ palesemente portata per l’architettura, questa sala l’ha saltata a pie’ pari.
Ogni ora venivano effettuati dei tour guidati della Tate durante i quali l’accompagnatore registrava i suoni, tutti i suoni della galleria. Alla fine del tour, che durava circa 15 min, si entrava in una sala insonorizzata e l’accompagnatore riproduceva i suoni raccolti.
Avreste dovuto vedere la faccia della piccoletta, e’ uscita dalla sala ripetendo: Wow, oh dear, wow, oh dear!
Infine ci siamo spostate di fronte all’entrata dove erano stati allestiti due laboratori di scultura, nel primo i kids potevano immergere il cotone nel gesso e contribuire ad una scultura diciamo cosi “random growing”, nel secondo era stati messi a disposizioni dei busti di cavallo realizzati con vari materiali, marmo, gesso, etc e i bimbi/e potevano cercare di inciderli con dei piccoli scalpellini.
Lascio alla vostra immaginazione lo stato dei nostri vestiti, mani, capelli e scarpe dopo trenta minuti di lavoro con acqua e gesso!
In piu’ in varie sale era possibile assistere al lavoro di creazione di sculture e dipinti di giovani artisti.
Bella giornata, veramente, quando si dice una immersione nell’arte in tutte le sue forme!
fiorelena says
Camomilla,grazie per aver dettagliatamente descritto e condiviso con noi quest’esperienza tanto costruttiva: è come se ci fossimo stati!
fiorelena says
Ah,dimenticavo, è arrivato a casa nostra Monday. Trovo che l’idea di trasmettere il concetto della “mancanza” di qualcuno a noi caro sia stato messo a punto in maniera,oserei dire, quasi geniale; le pagine finali in cui Monday si vede sempre meno ma si può percepire al tatto sono straordinarie. Non viene detto nulla ma si comprende perfettamente.
Il libro è triste ovviamente ma esplicativo quindi prezioso. Per ora non lo leggerò a mia figlia:è troppo sensibile. Al momento opportuno ci sarà Monday a darci una mano.
Grazie ancora.
Arianna says
Grazie a te e buona lettura,
a