Ad un’indagine condotta dal Centro COME di Milano nel 2002 con 120 insegnanti di tre scuole elementari la definizione più frequente di intercultura è stata ‘conoscere e valorizzare le altre culture e in particolare le culture dei paesi dell’altro‘. Questa, in realtà, secondo gli esperti che hanno lavorato sul campo e che su questa riflettono con respiro ideale, è una definizione parziale. E non è nemmeno la migliore, sebbene sia forse la più diffusa in generale. Proviamo a vedere perchè.
Innanzitutto, concepire la cultura come un elenco di aspetti che si possono conoscere, è una visione statica e molto rigida di cosa è la cultura. Seguendo questa idea, le pratiche di intercultura rischiano di ridursi ad una descrizione folclorica di usi e costumi tradizionali.
In secondo luogo, ogni individuo ha esperienze diverse e quindi non appartiene del tutto e soltanto ad una cultura nazionale: ogni individuo ha una sua propria storia di vissuti, visioni, migrazioni, contaminazioni, evoluzioni da raccontare e non può essere identificato in modo semplicistico con la cultura del suo paese di provenienza. (si parla per questo di super-diversità)
Quale definzione alternativa può essere proposta e, in particolare, quale definizione può alimentare una pedagogia interculturale adeguata alla nuova cittadinanza globale?
Le pratiche più recenti in atto nelle scuole parlano già di un modello più complesso, in cui gli aspetti cognitivi affiancano quelli affettivi e relazionali, un modello che mette al centro il singolo e le appartenenze plurali, che utilizza strategie educative attive e creative. Gli esperti sintetizzano questa complessità parlando di intercultura come metodo e non come argomento, disciplina. Intercultura come metodo significa diverse cose, per la società in generale e per la pedagogia in particolare: significa innanzitutto che l’intercultura deve trovare le sue pratiche in funzione dei diversi contesti nei quali gli scambi si manifestano, dalla scuola alla sanità al mondo del lavoro; significa quindi che l’intercultura riguarda tutti e non solo gli stranieri; significa, infine, arricchire gli aspetti informativi sull’altro con gli aspetti affettivi e e relazionali, di reale incontro con l’altro. Si legge, infatti, che “è importante che accanto alla dimensione cognitiva si sviluppino le capacità di approssimarsi agli altri, di apertura e mantenimento dei contatti, la capacità di gestire negoziazioni e conflitti, di tollerare l’incertezza, mettendosi per un po’ nei panni degli altri, per cercare di vedere le cose da punti di vista differenti” (fonte).
In quest’ottica, il percorso di accoglienza scolastico specifico dei bambini stranieri inizia dall’insegnamento della lingua del paese di arrivo, ma prevede anche il consolidamento delle lingue di origine e può diventare per tutti un momento di apprendimento attraverso la riflessione sulle lingue dell’altro e sulle lingue del mondo (ad esempio, il Progetto Meridium). I progetti scolastici hanno così modo di svilupparsi fino ad accogliere nella sua complessità la definizione di intercultura e modularsi secondo le esigenze specifiche dei territori e dell’età degli studenti (“Le scuole multiculturali e plurilingui” INDIRE). Ma non solo. Per le famiglie e la scuola, l’intercultura è situata nell’attenzione alle diverse modalità di cura dei piccoli e nell’esplorazione emotiva dei luoghi e delle identità dell’altro attraverso la narrazione di storie prima e la letteratura poi. La conoscenza degli altri prevede anche l’approfondimento delle differenze, da quelle somatiche a quelle culturali, cercando di elaborare insieme la complessità senza ridurla a semplificazioni e creando, attraverso la relazione e l’empatia, un percorso di crescita che riduca lo spazio di permeabilità al pregiudizio e al razzismo.
In sintesi, nel nostro tempo globale, la pedagogia interculturale è parte integrante della missione culturale della scuola e dell’educazione stesse, al fine di dare ai nuovi cittadini “una cultura che permettea di distinguere, contestualizzare, gobalizzare, affrontare i problemi multidimesnionali; preparare le menti di fronte alle incertezze, scommettendo per un mondo migliore; insegnare la cittadinanza terrestre nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali” (E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro).
Ho scritto su questo tema anche qui: Introduzione alla comunicazione interculturale
Fonti del post e letture suggerite:
Ideology: A Multidisciplinary Approach, in italiano: Ideologie
raffa says
post molto, molto interessante, me lo salvo e rileggo poi con calma.
io in questi giorni di feste di fine anno riflettevo sull’intercultura di noi genitori, e del perché in tante occasioni le famiglie “venute da lontano” non ci sono. carichi di lavoro che lo impediscono? ma allora i genitori messi meglio potrebbero offrirsi di portarsidietro i pargoli altrui, però nella corsa ci dimentichiamo di parlarne con i nostri colleghi genitori. costi eccessivi se si moltiplica la pizza per tutti i figli a scuola? di questi tempi, almeno nella mia città, altamente possibile. incapacità dei genitori italiani a vedere che le modalità di festeggiamenti proposte non vanno bene a tutti? pure possibile. concludendo, che tristezza se alla fine della seconda elementare rimancano i bambini e i genitori che anche l’anno scorso non c’erano
un link per un’inziativa molto bellina nella mia città, il sito è aggiornato al 2011 ma anche quest’anno a febbraio si è fatto di tutto di più
http://www.comune.torino.it/servizieducativi/lemielingue/index.html
Jessica says
Ciao Raffaella, grazie. Il tuo racconto fa nascere davvero molte riflessioni e domande anche perchè di solito, almeno nelle scuole con cui ho collaborato, sono proprio le feste le occasioni più sfruttate per valorizzare le differenze e incontrarsi… mi chiedo se non dipenda dall’assenza di questa dimensione, specialmente durante l’anno scolastico. Ci sono iniziative specificamente dedicate all’accoglienza e allo scambio nella vostra scuola? Quella che segnali è bellissima! A Torino è attiva anche questa se non ricordo male: http://www.lingueinpiazza.eu/
Dagli altri paesi ci sono testimonianze?
raffa says
Ciao Jessica, rispetto alla politica generale della scuola hai colto nel segno, l’unica festa comune è il mercatino di Natale, moltissimo affollato, ci mancano le feste in cortile. e probabilmente – anche per questo – poi mancano i riscontri a livello di feste di classe. certo che a livello di classe noi genitori potremmo essere più attenti, vediamo come va con la pizzata della figlia
Jessica says
La pizza è internazionale, speriamo che riesca a coinvolgere tutti, poi ci raccontaci come va!