Torniamo un momento sulla domanda “Come insegno a leggere e scrivere in Inglese a mio figlio?“.
Ne ha parlato di recente Elisa, menzionando però un’esperienza scolastica, e una lettrice mi ha tirato le orecchie dicendomi “avevi promesso che ne avresti parlato e invece niente”, e ha ragione.
Per saltare subito alle conclusioni la mia scelta è stata “Io non insegno a leggere e scrivere in Inglese a mio figlio“. Punto.
Il vero punto ovviamente però sta nel perchè….
Facciamo una premessa: “Come insegno a leggere e scrivere in Inglese a mio figlio” è una domanda diversa rispetto a “Come insegno a leggere e scrivere nella mia lingua a mio figlio”. Per un semplice motivo, che a leggere e scrivere in Inglese tanto lo impareranno tutti, in Turco (tanto per menzionare una lingua a caso) non necessariamente.
Parliamo dell’Inglese quindi. E in maniera ancora più specifica parliamo della mia esperienza personale, non essendoci regole buone per tutti posso solo condividere i miei ragionamenti.
Inizialmente ho pensato anche io di alfabetizzare A. prima in Inglese. Come sapete lui è bilingue, gli parlo sempre in Inglese, leggiamo sempre in Inglese, l’Italiano è la sua lingua dominante ma l’Inglese non sta per niente male. E poi diversi esperti consigliano un’alfabetizzazione sequenziale, cioè prima in una lingua e poi nell’altra, ma non contemporaneamente. Ho detto a mia mamma (maestra) di non fare nulla con l’Italiano, ghe pensi mi.
Già ma come?
Si fa presto a dire, ma a farlo…
1) per ogni lingua ci sono diverse metodologia applicabili per insegnare ai bambini a leggere e e scrivere, metodologia radicalmente diverse, e per partire bisogna sceglierne una
2) le modalità per insegnare a leggere e scrivere in Inglese e in Italiano sono diversissime. L’Inglese come sappiamo è una lingua opacissima (la relazione tra quello che leggo e quello che scrivo è persa nei meandri del tempo e va in genere imparata a memoria), l’Italiano è una lingua trasparentissima (so sempre come leggere ciò che vedo scritto).
Bene, allora cosa fa la mamma motivata che non vuole perdere l’opportunità di dare questo “regalo” a suo figlio?
Si informa ovviamente.
Scarica da internet tutti i report possibili e immagibili sulla lettoscrittura. Documenti ministeriali (di vari paesi), ricerche scientifiche e meta analisi.
Compra libri, libri per docenti e libri per genitori, manuali e attività preparate (incluso quello dell’immagine).
Ci passa su un’estate intera (l’estate scorsa), e poi dice:
“WTF!” (scusate, ma quando ci vuole ci vuole, se non sapete cosa significa meglio per voi)
Ma perchè dovrei fare questa cosa?
So leggere in Inglese io che ho fatto le scuole pubbliche con insegnanti di Inglese talmente medie che manco me le ricordo e per di più ho fatto il classico e ho finito di fare Inglese a scuola al ginnasio?
Cavoli se so leggere in Inglese! E molto velocemente anche (in generale sono una lettrice veloce).
Esiste il rischio che mio figlio non impari a leggere e scrivere in Inglese?
No.
Esiste il rischio che io mi ritrovi a fare da maestra a mio figlio?
Sì.
Ho voglia di perdere ore e ore solo per capire COME insegnargli a leggere?
No.
Il gioco vale la candela?
No.
Libri e report sono stati messi da parte e dimenticati.
C’è ben altro da fare con un bambino di 4 o 5 anni. Che peraltro ha libri in abbondanza, e li chiede, e sappiamo bene che la lettura, essere esposti alla lettura è il primo e più importante passo che si possa fare per avvicinare un bambino al leggere.
Se fossi in vena di consigli direi a tutti lo stesso, rilassatevi e lasciate che siano le maestre ad occuparsene. Ma siccome non mi va di dare consigli mi limito a chiedervi, e voi, cosa ne pensate?
P.S. 1
Ad un certo punto poi ho anche incontrato un’insegnante elementare Inglese che usa i Jolly Phonics di cui parla Elisa e mi ha mostrato come funzionano, mi sono bastati 10 secondi per rendermi conto che è una metodologia professionale, che va imparata e utilizzata professionalmente, non uno strumento per mamme-che-non-vogliono-diventare-la-maestra-del-proprio-figlio.
P.S. 2
Ovviamente ne consegue che A. verrà alfabetizzato prima in Italiano e poi in Inglese.
Immagine: The reading lesson, su amazon IT
Agi says
La vedo completamente uguale a te!
E, ad essere sincera, sono (stata) una di quelle mamme che si informavano e che, quando la mia primogenita era piccola, si illudeva che sarebbe stato bello e FACILE fare un po’ da maestra a mia figlia.
Ecco, nel nostro caso, proprio no: una cosa sono i figli degli altri, una cosa i miei.
Ho imparato che con i miei figli (mia figlia in particolare) devo aspettare che lei chieda: se chiede, io rispondo, se non chiede la lascio in pace a seguire le sue mille altre idee.
Insegnarle a leggere e scrivere in Italiano (Grillina va ad una scuola in lingua inglese): c’e’ tempo.
Sicuramente con mia figlia se io, adesso, le facessi una sorta di scuola di italiano, adesso sicuramente non funzionerebbe. Lei e’ curiosa e prova a leggere e a scrivere in italiano, con errori eh, ma per ora la lascio tranquilla. Ogni tanto mi aiuta a scrivere la lista della spesa e scrive (senza che io detti le lettere, dico solo le parole) “pane, late, karne macinata, akua, ciliege”. Ovvero, scrive queste cose (sbagliate, ma che denotano di avere afferrato il meccanismo) senza che io le abbia mai insegnato nulla. Le ha dedotte dall’informazione che l’italiano si legge come si scrive, e dal sapere leggere e scrivere (non perfettamente, ma bene per la sua eta’) nella lingua del padre (lingua che si legge come si scrive ancor piu’ dell’italiano!).
Insomma, se un bambino e’ curioso, va coltivata la curiosita’ e dati gli input giusti in modo da metterlo in condizione di fare il salto per la lettura e scrittura al momento opportuno: mica e’ una gara, a pretendere troppo si rischia di rovinare l’interesse, che e’ molto peggio.
Questo per quanto riguarda noi e l’italiano.
Come dici tu, non c’e’ modo che tuo figlio non venga a imparare a leggere e scrivere in Inglese!
Barbara says
Sono perfettamente d’accordo con la tua valutazione e con quella di Letizia! In base alla mia esperienza personale di bimba nata e cresciuta in Germania come monolingue tedesca da genitori italiani e diventata bilingue italiano-tedesco soltanto dopo i 10 anni, quando ci siamo trasferiti in Italia, credo che la cosa peggiore che si possa fare è “forzare” la lingua minoritaria. Come ho spiegato sono nata e cresciuta monolingue tedesca in Germania da genitori italiani. Fino all’età di dieci anni capivo bene l’italiano dato che i miei mi parlavano in italiano in casa e dato che quattro-sei settimane all’anno venivamo in ferie in Italia. Ma per il resto parlavo soltanto tedesco con tutti, cugini, compagni di scuola, al doposcuola e con tutto l’ambiente esterno. In casa mi rifiutavo di parlare italiano perchè era a tutti gli effetti una lingua straniera per me, per cui i miei genitori alternavano con me l’italiano e il tedesco in base al contesto e all’umore mentre io rispondevo esclusivamente in tedesco. Oltretutto ricordo che quando mi toccava parlare italiano mi vergognavo perchè lo parlavo poco e con fortissimo accento tedesco e soprattutto perchè non lo sentivo affatto mio. Figurarsi scriverlo. Soltanto un paio di mesi prima di trasferirci in Italia i miei mi hanno mandato a scuola d’italiano per imparare a leggerlo e scriverlo almeno un pò. Con gli anni e gli studi e naturalmente vivendo in Italia dai dieci anni in poi la mia lingue primaria è diventata l’italiano mentre il tedesco l’ho sempre conservato, studiato e coltivato come seconda lingua innanzitutto con la lettura grazie ai miei zii italo-tedeschi che d’estate mi portavano libri in quantità. Poi con gli studi al liceo linguistico e all’università di lingue e infine avendo cercato e trovato un lavoro che mi permettesse di usarlo quotidianamente e, fino alla nascita di mio figlio, di tornarci spesso per lavoro. Tutto ciò per dire che a mio parere sono la necessità e comunque l’interesse personale, la curiosità, la volontà e la passione personale per le lingue che col tempo portano a completare un persorso linguistico. Senza di questi ritengo che qualsiasi intervento esterno abbia forti probabilità di andare a vuoto o comunque poi perduto col tempo. Con mio figlio Elia di due anni e mezzo ho intrapreso il percorso del bilinguismo tedesco e non credo che adotterò alcuna tecnica in più rispetto al metodo OPOL alla Letizia (che ho scoperto coincidere moltissimo con il mio…) se non quella di dargli tutti gli strumenti possibili, sempre se lo vorrà, per studiarlo e coltivarlo negli anni.
Eleonora says
Concordo: consultare report ansiogeni e ascoltare gli esperti va bene fino a un certo punto. La teoria dell‘ alfabetizzazione sequenziale va a farsi friggere quasi subito se il bambino è esposto a più di due lingue ed è mediamente sveglio e curioso.
Per esperienza personale i metodi standard lasciano un po‘ il tempo che trovano (ho provato con il metodo Doman ma la fascinazione per le singole lettere ha avuto la meglio).
Se il bambino ha interesse -ma diciamocelo: anche questo non è che piova del tutto dal cielo!- grandi fogli bianchi, un bel pennello a punta tonda e acquarello nero (o un bel pennarellone atossico!) sono il ‘‘metodo,, più economico (anche in termini di tempo ;-P), accessibile ed efficace per avvicinare i bambini al piacere della gestualità segnica e dell‘ estetica grafica che rappresenta il suono (in ogni lingua!) della scrittura e -quindi- della lettura. Danza, calligrafia e canto: come dicevano i giapponesi (vedi Shodo).
Certo partire già da subito con le letterine stilizzate, i puntini della prescrittura da unire, la tristissima grafite o la bic, gli spazi ridotti magari quadrettati, fa passar la voglia sia al bambino sia alla mamma-maestrina. Soprattutto priva del principio fondamentale e simbolico della scrittura (immensa fonte di piacere): ‘‘prima nulla poi tutto, ed io decido,, … non solo dal punto di vista grafico 😉
materetlabora says
Concordo anch’io. Mi sono inforata ho letto ho cercato di capire ma alla fine ho deciso che è come dice Letizia il gioco non vale la candela. E’ troppo complicato per impiegarci del tempo che posso passare con lui in altre attività e soprattutto temo di fare dei danni. Ci saranno brave insegnanti a scuola o in altre strutture che lo faranno. Per il momento la lettura e l’ascolto degli audiolibri che lui letteralmente adora mi sembrano abbastanza. Però a questo proposito farei una domanda a Letizia visto che siamo in argomento. Quando comincerà a leggere e scrivere in italiano a scuola o come a volte succede ora all’ultimo anno di asilo come ci porremo noi mamme opol? Che cosa è opportuno fare continuare a leggere libri esclusivamente in inglese oppure aiutarlo con l’italiano in questo delicato passaggio? Grazie 🙂
Bilingue Per Gioco says
Non lo so, ve ne parlerò quando arriverò alla fase dei compiti.
Così a naso però direi che loro sanno benissimo che parliamo l’Italiano quindi possiamo anche aiutarli con l’Italiano pur continuando a parlare Inglese. Ma è un’idea, non so che effetto farà.
Se vogliamo dirla proprio tutta, la vera verità è che con una nonna maestra io mi preoccupo poco…
L.
Barbara says
Eh già, giusta domanda. Anche mio figlio a settembre inizierà l’asilo ma già ora in casa inizia a leggere le prime lettere e a contare, in italiano con mio marito e in tedesco con me. Io continuerò sicuramente a leggergli in tedesco in base alla sua età o meglio al suo livello linguistico, e introdurrò sicuramente gli audiolibri ma quando inizierà l’inserimento pre-scolastico come dovrò comportarmi difronte ai suoi primi tentativi di lettura in italiano? ignorarli e lasciarlo seguire da mio marito o dai nonni? non vorrei venire esclusa da questa fase bellissima…anche perchè varrà per tutta la sua carriera scolastica. come potrò aiutarlo a fare i compiti un domani usando OPOL in tedesco?
Grazie per i vostri consigli
Marilena says
Sono d’accordo assolutamente. Tranne che la mia esperienza e’ diversa. Io vivo in California e qui l’Italiano non si studia. Soltanto alcuni colleges offrono l’italiano come lingua straniera. Quindi quello che ho fatto io e’ questo. Ho aspettanto che mia figlia avesse imparato a leggere in inglese bene. E poi le ho proposto alcuni libri semplici in italiano. I libri di lettura che si usano il prima elementare (lei era gia’ in terza). Le ho spiegato alcune regole e il gioco e’ fatto. Ovviamente aiuta il fatto che l’italiano ha poche regole e una volta imparate quelle si legge facilmente. Ora mia figlia ha finito la seconda media e in italiano sta leggendo libri per la quarta elementare. Quindi ovviamente e’ indietro ma con il tempo recuperera’.
Anna C. says
Ciao Letizia,
Grazie per questo post.
Forse io appartengo al gruppo di mamme che vogliono essere la maestra dei propri figli.
Ci devo riflettere.
Comunque grazie perchè mi hai fatto vedere la questione da un altro punto di vista.
ciao
Anna
Elisa says
Ciao Letizia,
visto che mi hai chiamata in causa 🙂 …mi sembra giusto ribadirere quanto da te peraltro precisato nel post. Io avevo acquistato il materiale su Jolly Phonics prima che mia figlia iniziasse ad affrontarlo a scuola ma, come te, ho deciso di accantonarlo non sentendomi in grado di improvvisare su un punto così importante e delicato. Nel momento in cui l’insegnante ha introdotto il metodo, ci ha raccomandato in una prima fase di non anticiparlo a casa perchè loro hanno seguito un apposito corso per applicare JP con precisione. Quindi condivido la teoria per la quale è inutile affannarsi e voler a tutti i costi insegnare a leggere in Inglese, io ho solo “cavalcato, l’onda” nel momento in cui la scuola ha per prima proposto il metodo e si sono visti i primi frutti. Se poi i bimbi ci fanno domande o mostrano interesse in tal senso, possiamo assecondarli ma senza forzare la mano (cosa successa a mia figlia con la lettura in Italiano).
Molto interessante questa discussione, comunque.
Elisa
Chiara says
Io non ho fatto assolutamente nulla se non procurarle semplici libri in inglese non appena l’ho vista sicura nella lettura italiana. Con mia grande meraviglia ha letto con naturalezza anche l’inglese – certo davanti alla parola through si e’ fermata un attimo perplessa, ma appena gliela ho pronunciata l’ha metabolizzata. Più complesso invece prevedo sarà la scrittura.
Jessica says
Ciao, posso confermare che le capacità più ‘alte’ che governano la lettoscrittura sono in grado di passare da una lingua all’altra, seppure poi con i dovuti aggiustamenti. Cosa che abbiamo sperimentato tutti a scuola, in effetti. Per questo, ad esempio, un bambino che espatria da grande avrà tanto più bisogno di sostenere la sua lingua madre, che è quella in cui ha più competenze: questo favorisce, invece che disturbare, come in genere si pensa, l’apprendimento della nuova lingua, proprio per l’osmosi delle competenze ‘generali’, come la lettura appunto.
Amelia says
Mi sono informata sui metodi di apprendimento di lettura e scrittura della lingua inglese e con mio marito ci siamo confrontati tanto ed alla fine abbiamo fatto la stessa scelta di Letizia.
I motivi che ci hanno spinto a questo tipo di scelta sono stati i seguenti:
– non voglio sovrapporre al mio ruolo di madre il ruolo di insegnante di inglese;
– l’inglese deve continuare ad essere un bel gioco e deve essere leggero, se si inizia a sopportarlo e’ la fine;
– a scuola noi genitori abbiamo imparato a leggere e a scrivere in inglese, in anni in cui l’inglese non era cosi’ diffuso, quindi oggigiorno sara’ anche piu’ facile;
– vogliamo puntare molto sul listening e la comprehension, in quanto noi genitori in passato abbiamo avuto questo tipo di difficolta’.
Certo loro comprendono tutto cio’ che diciamo loro in inglese, io leggo molti libri per loro in inglese, ascoltiamo tante canzoncine e per il momento va bene cosi’.
Grazie per aver trattato questo argomento e per i vostri commenti, questi scambi di idee arricchiscono tanto.
Amelia
Camomilla says
Grazie ragazze, non sapete che sollievo leggere le vostre parole!
Io ho sempre pensato che il ruolo mamma-maestra proprio non era per me, sara’ che ci divertiamo cosi tanto insieme io e la piccola che il pensiero di diventare una figura “devi” mi ha sempre spaventata.
Pero’ d’altro canto gia cominciavano ad affiorare i primi sensi di colpa: staro’ facendo abbastanza per il suo italiano?
Riuscira’ mai a leggere e scrivere bene nella sua lingua minoritaria?
Ecco, leggere di esperienze come quelle di Marilena, ad esempio, mi rincuora molto e mi fa rilassare non sapete quanto!!
Io amo leggere qualsiasi cosa e spero di riuscire a coinvolgere anche mia figlia in questa mia passione. Casa nostra e’ piena di libri e libricini in italiano, in inglese, ma anche in francese, spagnolo, tedesco e pure turco (pur non parlando assolutamente queste lingue) ed anche il mio ipad ne e’ stracolmo.
Sperem!!!
romina says
Non concordo. Non con tutto, per lo meno. E se non fosse che il mio disaccordo ha origini ben più nobili della mia artigianalità di mamma bilingue, mi sarei allarmata, devo dire, perchè è proprio di questi giorni la consegna di materiale vario su jolly phonics, sight words, etc. Il mio bimbo ha tre anni, quindi mi sono detta: ho tempo un anno circa per prepararmi ad alfabetizzarlo in inglese. Già, perchè se è vero che alcune cose la scuola le fa, è anche vero che io l’inglese non l’ho imparato dai miei genitori ma nella scuola pubblica italiana, poi all’università e poi all’estero, lavorando per poterci vivere in Inghilterra. Voglio dire, io non sono certo arrivata all’asilo già conoscendo l’inglese. Mi spiegate perchè se tanto facciamo perchè l’inglese lo capiscano, lo parlino presto, precocemente, dobbiamo lasciare che alla lettura/scrittura si applichi la regola “non mi preoccupo, tanto ci pensa la scuola?”. E’ la stessa cosa imparare a leggere a 7 – 8 anni piuttosto che 4 -5, come iniziano a fare i bimbi inglesi? Già, perchè il 1st grade, non lo dobbiamo dimenticare, inizia a 5 anni e già lì i bimbi inglesi iniziano le attività propedeutiche alla lettura che, peraltro, tutte sappiamo, in inglese è un percorso più lungo, per cui bisogna seminare tanto, tanto e a lungo. Il fatto che l’età a cui si impara a fare una cosa conti, e tanto, credo tutti lo possiamo intuire, ma la fonte di cui parlavo all’inizio, mia recente passione, è la Montessori che parlava di “età sensibili”, leggi età d’oro, in cui il bimbo mostra segnali inequivocabili, all’osservatore attento, di voler/avere il bisogno di/desiderare, proprio, imparare una data cosa: c’è l’età dell’equilibrio, delle forme, dei colori, dei numeri … e delle lettere. La Montessori sosteneva che se un bimbo è stato ben esposto alla lettura, ben coinvolto nelle conversazioni, ha un linguaggio ben sviluppato ed è NATURALMENTE curioso, ha bisogno verso i 3 anni CHIEDE di riconoscere i numeri, e parimenti, da lì a breve, verso i 4-5 anni, le lettere, le parole. La Montessori svelava i codici, offriva materiali in risposta ad una precisa, esplicita dimostrazione di interesse da parte del bimbo, mai mettendosi ad imporre alcunchè. Fiduciosa dell’enorme potenziale del bimbo, sapeva che un ambiente adatto, materiali adatti ed una disponibilità genuina, al momento opportuno (leggi, quando il bambino sente dentro di sè una spinta enorme, improvvisa e fortissima a sviluppare una capacità), si sarebbero tradotte nel terreno fertile all’apprendimento. Mi ritengo, in prima persona, avvisata: la Montessori diceva essere una mancanza il non rispondere ad un bisogno del bambino: come un bimbo affamato cerca il cibo e non si placa finchè non l’ha trovato, così il bimbo in età sensibile non si placa finchè non trova cibo per il suo appetito. Aspettare troppo (troppo significa TARDI rispetto al bisogno del bimbo) significa farli arrivare ad un età in cui vorrebbero avere accesso a dei contenuti e non possono perchè il codice linguistico, di cui avrebbero già voluto/potuto avere le chiavi, si presenta come un ostacolo. Mi spiace, ma stavolta, vado avanti da sola.
sonia says
io sono una mamma adepta alla filosofia finchè hanno la possibilità solo di giocare, lasciamoli giocare.
non condivido l’insegnare a leggere e a scrivere sempre più precocemente, non lo condivido nella lingua madre, figuriamoci nella lingua secondaria. certo se un bimbo è particolarmente curioso è giusto soddisfare la sua sete di conoscenza, ma a parer mio quelli più assetati di far conoscere ai nostri bambini sempre più cose e prima siamo noi genitori…il mio discorso è ben diverso dal solo parlare in inglese.
Bilingue Per Gioco says
Romina,
posto che ognuno fa come crede, ci tengo a risponderti su un punto: “perchè se tanto facciamo perchè l’inglese lo capiscano, lo parlino presto, precocemente, dobbiamo lasciare che alla lettura/scrittura si applichi la regola “non mi preoccupo, tanto ci pensa la scuola?”
Perchè questo approccio segue per la seconda lingua lo stesso percorso della prima lingua, cioè:
– la lingua familiare è lingua di comunicazione e di affettività, la didattica viene lasciata alla scuola
– prima imparo a parlare una lingua molto molto bene poi imparo a leggere e scrivere, dal momento che la lingua minoritaria è più debole ha senso che la letto scrittura in questa lingua venga introdotta dopo
Inoltre:
– molti esperti consigliano come dicevo nel post di alfabetizzare il bambino prima in una lingua e poi nell’altra, il bambino avvertirà anche l’esigenza di imparare a leggere, ma non necessariamente di farlo in due lingue… Come diceva Jessica sopra, una volta che ho capito il meccanismo della lettura è automatico trasferire questa competenza ad un altro codice, e questo secondo me esclude che si possa perdere la finestra giusta, non stiamo parlando di non alfabetizzare i bambini, ma di farlo in modo sequenziale
Alla fine nell’educazione in generale e nell’educazione plurilingue in particolare siamo sempre di fronte a delle scelte di compromesso, e ognuno di noi deve decidere autonomamente che peso dare ad ogni pro e ogni contro.
L.
Agi says
Romina: appunto, il bambino deve essere curioso in tal senso. [Il compito del genitore e’ anche suscitare e tener vivo l’interesse verso una gran quantita’ di cose].
Io a mia figlia se mi chiede come si scrive, come si legge, etc etc etc cerco sempre di rispondere. Non e’ che non mi impegno a insegnarle perche’ penso sia troppo presto. Semplicemente, ci si divide tra le varie attivita’ di questa eta’. Una e’ anche leggere-scrivere, ma poiche’ con mia figlia metterla seduta a scrivere con regolarita’ mezz’ora ogni giorno, ora, non funziona (insomma, non ha nemmeno sei anni, e bisogna pure tener conto della mia disponibilita’ a essere a casa con lei: i genitori che lavorano non sempre hanno tutto il tempo che vogliono a disposizione), mi limito a cogliere i momenti in cui lei mi chiede espressamente qualcosa a riguardo.
Ma, appunto, al momento non c’e’ solo lettura e scrittura, ci sono altre attivita’ manuali (disegnare-ritagliare-fare un vestito alla bambola-fare una casa alla bambola-fare le trecce alla bambola… che progetta e fa quasi tutto da sola), c’e’ l’imparare a contare e il valore delle monete: per esempio, mia figlia si e’ fissata che vuole andare a far la spesa da sola. Io le ho detto che, se impara a calcolare quanti soldi deve dare a fare una certa cifra, allora poi la mando “da sola” (ovvero, la aspetto fuori del negozietto sotto casa) con soldi e lista. Pian piano, ora riesce a mettere insieme, che ne so, 6 euro e 75 centesimi dandole a disposizione un tot di monete dei vari tipi: un bel risultato, significa che ha veramente capito il meccanismo. Ovvio che ci vuole tempo, mica ha imparato in un pomeriggio: e’ almeno due o tre settimane che l’argomento spunta almeno una volta al giorno, e allora si tira fuori le monetine, io dico una cifra e lei prova a metterla insieme.
Ora, dovrei osteggiare questo suo interesse e dirottarlo a favore di leggere e scrivere? Io preferisco cambiare il programma, ora lei e’ concentrata su questo e io questo le “insegno”/lascio fare.
Questo pero’ vale per me/noi, chi ha tempo/idee/voglia e vede che funziona bene con i propri figli (che dipende anche dall’indole di ciascun bambino) fa bene a voler curare l’aspetto leggere-scrivere (mio marito ha insegnato lui a nostra figlia (al tempo, 4 anni) a leggere e scrivere nella propria lingua, perche’ lui ha ritenuto opportuno farlo e mia figlia accettava molto volentieri la cosa. Non l’ho osteggiato nemmeno per idea, ha fatto un ottimo lavoro. Di quel lavoro nostra figlia continua a profittare anche per l’italiano.)
romina says
Un chiarimento: sono anch’io una mamma che lavora e che ha solo poche ore al giorno da dedicare in pieno ai figli. Capisco la necessità/ansia di voler fare tante cose con i propri figli per il piacere di farle, intesi. Non voglio fare un elenco puntuale di come passiamo il tempo io e Giorgio, ma vi assicuro che non lo incateno o gli impongo attività che a lui non piacciono. Non si tratta di questo, anzi. Mi faccio sempre più osservatrice e cerco proprio di consentire a Giorgio di far emergere appieno quel bisogno/desiderio di quel momento: mica gli tolgo di mano le macchinine o lo faccio uscire dalla piscinetta per una seduta di matematica/lettura, etc. Anzi, semmai, mentre è in piscinetta cerco di fargli contare le papere se so che in quella fase conterebbe anche le gocce che schizzano ad ogni splash. Non per fare la maestrina ma per cogliere opportunità. Non penso di essere maestrina, né di forzare la mano. Nel mio percorso montessoriano, ho costruito materiali che non hanno mai suscitato l’interesse di Giorgio. Bene, sono lì, sempre a portata di mano, ad attendere che lui li scelga e mi chieda di mostrargli come si usano. Non si può stimolare un interesse in un bambino, il bimbo ha il suo percorso, fisiologicamente prescritto. L’ambiente adatto (ambiente, materiali, genitori, educatori…) può solo permettergli di rivelarsi e svilupparsi piuttosto che rimanere intrappolato in considerazioni, mi si consenta l’espressione, quantomeno superficiali: se è vero che ognuno fa sacrosantamente ciò che preferisce, è anche vero che fare l’equazione “insegni, quindi, gli rubi tempo-gioco”, mi sembra una presa di posizione pari al: “Gli insegni l’inglese? Così piccolo? Poverino! E quando gioca?”. L’altro giorno il mio bimbo (normodotato, non certo un treenne genio) mi ha domandato, all’improvviso: “Ma perché a qualcuno non piace imparare?”. Se vuole stare in cucina mentre cucino, devo rispedirlo a giocare? Se vuole togliere i panni dalla lavatrice devo impedirglielo perché lo sfrutto? Certo se gli imponessi di tagliare le zucchine o di stendere i panni mentre vuole giocare con il trenino, che razza di madre sarei? Sono certa che se partiamo sempre da quello che il bimbo dimostra di voler fare/imparare/conoscere, rispettiamo e avvalliamo quel desiderio, non facciamo altro che trasformarci in trampolini, che poi è all that matters…
Agi says
Quindi non possiamo che essere d’accordo.
Per quanto riguarda la lettura-scrittura, l’alfabetizzazione “precoce” deve seguire i tempi del bambino (altrimenti si fa il doppio del lavoro, e pure di malavoglia).
Per la lingua inglese, gli inglesi scelgono di iniziare il percorso gia’ prima della scuola primaria, perche’ (immagino) nel caso dell’inglese e’ l’approccio ottimale, riferito al bambino medio inglese.
Il bambino medio inglese, ricordiamolo, e’ probabilmente monolingue e non imparera’ a leggere e a scrivere nella scuola primaria in nessun’altra lingua che padroneggi allo stesso modo dell’inglese. [Non tiratemi fuori che in ci sono molti immigrati in Gran Bretagna: ci sono, ma non sono sicuramente piu’ del 50% della popolazione. Inoltre, in Gran Bretagna l’inglese e’ la lingua ufficiale: i programmi scolastici devono essere tarati sull’inglese, non sulle seconde lingue.].
In questa situazione, convengo anch’io che cominciare a 4 o 5 anni non e’ questa tragedia, anzi e’ sicuramente la cosa migliore da fare per ottimalizzare il tutto. Il sistema scolastico si prende carico di questo, come e’ giusto che sia.
Per un bambino in Italia che cresce bilingue (perche’, per esempio, un genitore gli parla sempre nella propria madrelingua), bisogna tener conto che in ogni caso usufruira’ del programma italiano per l’alfabetizzazione (tarato sulla lingua italiana). Il genitore deve appunto ponderare l’opportunita’ o meno di introdurre l’alfabetizzazione precoce nella propria lingua: qui non viene assolutamente detto di non farlo, pero’ ci possono essere motivi per non farlo e aspettare dopo.
Ogni scelta e’ ugualmente dignitosa, chi ritiene di doverlo fare ha sicuramente i propri motivi validi, chi ritiene di non doverlo fare (ovvero: che non sia in cima alla lista delle cose da fare) altrettanto.
Barbara says
Ciao, mia figlia ha solo 13 mesi quindi ho ancora un po’ di tempo per pormi il problema ‘alfabetizzazione’ in termini pratici, ma essendo una mamma e – prima di tutto – una persona che ama informarsi ed essere sempre preparata, leggendo i post precedenti ho temuto che fosse già arrivato il momento di cominciare a capirci qualcosa di più.
Eppure quello che istintivamente ho pensato da subito è stato: ma è proprio necessario? E se per una volta mi discosto da quello che fanno gli/le altri/e (che leggo qui), e seguo solo le richieste che arrivano e arriveranno via via da mia figlia?
E guarda caso è arrivato quest’ultimo post di Letizia che mi ha rinfrancata. Concordo per quanto riguarda tutti gli aspetti trattati (perfino per il fatto che anche io ho una mamma maestra a cui fare riferimento, ma questo è un altro discorso!), anche se capisco il punto di vista di Romina perchè sono decisioni per le quali il ‘perdere il treno’ del momento giusto mette in gioco una posta molto alta.
Ciò non toglie che tra diventare la mamma-maestra e il fregarsene ci sono mille sfumature e mille attività, occasioni e spunti personali che ciascuna di noi saprà sicuramente cogliere ed utilizzare al momento giusto e che metteranno i nostri figli nelle condizioni di imparare a leggere e scrivere nella seconda lingua al momento opportuno.
Inoltre mi chiedo spesso una cosa: non è che se insisto troppo a casa sull’aspetto ‘razionale’ del bilinguismo finisco poi per far ruotare la vita e le scelte di mia figlia solo su quello? Cioè: se porto la sua vita a ruotare troppo intorno alla conoscenza (anche tecnica, sintattica) di una seconda lingua non è che poi la avvio verso strade che percorrerà solo per questa sua capacità un po’ superiore alla media italiana? E quindi studierà lingue? Lavorerà con le lingue? O magari è più giusto che rimanga uno skill in secondo piano e che lei segua le sue ‘vere’ passioni diventando poi un’ingegnere, un’erborista, una fumettista o chissà, ma con una marcia in più e maggiori opportunità grazie al fatto che sa molto molto bene l’inglese?
Barbara says
Ciao mia cara omonima ,
ti posso assicurare che per influenzare in maniera tanto determinante la vita di una persona ci vuole ben altro che il biliguismo! Nella mia esperienza personale anche di persone che ho conosciuto si può essere bilingue alla nascita o anche fino ad una ceta età e poi perdere questa capacità se viene abbandonata. La lingua è una cosa viva che va alimentata e che si evolve con la vita e arricchita con l’esperienza. In genere chi ama le lingue ama viaggiare, confrontarsi con altre culture. Credo che anche per questo motivo in genere chi è bilingue parli più di due lingue, perchè le studia , anche da autodidatta , sfuttanto sicuramente una predisposizione naturale. Pertanto mi sento di rassicurarti che al momento opportuno sarà tua figlia (così come mio figlio di due anni e mezzo) a decidere se parlare attivamente la senconda lingua e poi se portarla avanti e coltivarla magari fino a farne una professione. Tu le avrai dato l’opportunità di farlo ma poi sarà comunque sempre lei a scegliere.
un saluto
Barbara
Alice says
E’ un dilemma interessante… Anch’io me lo chiedo spesso e anch’io ho deciso di aspettare. Mia figlia é in reception (scuola materna?? dai 4 ai 5 anni) e giá “scrive” e legge (usando i Synthetic phonics e non i jolly phonics) abbastanza bene in inglese. L’inglese é la parte piú difficile quindi sono contenta che la scuola stia facendo il lavoro piú grosso. 😉
L’italiano per ora non l’ho inserito perché secondo me confonde troppo. Se non avevo dubbi ad introdurre fin dall’inizio due lingue parlate, nello scritto mi sono fermata. E poi l’italiano é molto piú facile quindi non credo avrá bisogno di aiuto. Esempio, l’altro giorno eravamo in un negozio di vestiti e mi chiede “Perché mamma c’e scritto ovunque SALE? Qui non vendono il sale! Solo vestiti!” 🙂 La lettura in italiano é decisamente piú facile che in inglese!
L’altro problema sorge con il metodo OPOL quando si fanno i compiti. Lí secondo me bisogna alternare. Il discorso principale é in italiano ma viene mescolato/alternato con l’inglese. Solitamente uso i termini in entrambe le lingue cosí sa di cosa parlo (usando i termini che usano a scuola) ma sa anche come si dice in italiano.
fiorelena says
E’ bello potersi confrontare e a questo punto potrebbe essere interessante per me e per voi sentire la mia esperienza che mi ha portata a fare scelte “pesanti” per mia figlia.
Vi spiego: mia figlia ha ora 28 mesi. A 16 mesi conosceva tutte le lettere dell’alfabeto, i numeri da 1 a 9 e cominciava a leggere le prime parole in stampatello (ne conosceva una trentina). Probabilmente le forme l’avevano attirata a tal punto da indurla a cercarle ovunque, anche sulle targhe delle auto parcheggiate lungo le strade che percorrevamo. Aveva una capacità manuale mostruosa per cui già a quell’età componeva puzzle da 9 pezzi in pochissimi secondi; la pediatra ci disse che avrebbe voluto riprenderla e portare il filmato ad un congresso perchè le sue capacità erano decisamente fuori dal comune e che in tanti anni di esperienza non aveva mai visto nulla di simile. Non vi nego che io e mio marito eravamo decisamente turbati.Vi prego, non pensate tutti la cosa più scontata cioè: “eh bè, non eri contenta?”
Credete,per esperienza diretta, che qualsiasi “diversità” viene vissuta come una diversità,anche nel bene. Per qualche mese mi sono interrogata sul come affrontare presente e futuro; sapevo di essere completamente responsabile per la mia creatura, nel bene e nel male. Qualcuno di voi vorrebbe un figlio così diverso dagli altri? Magari rischiare di trovarlo, come mi disse la pediatra, “laureato a 10 anni ” piuttosto che a 23-25?O magari vederlo completamente escluso dai suoi coetanei perchè troppo superiore a loro?
Premesso che sono convinta che il tempo la porterà dove è destino che vada, ho deviato la sua attenzione sulla seconda lingua e dai 20 mesi abbiamo intrapreso un percorso completamente diverso. Dopo 4 mesi parlava benissimo l’inglese (certo, il suo vocabolario non è ancora completo… e meno male!); ora è perfettamente bilingue (italiano-inglese) ma continua a conoscere solo ciò che ha imparato fino a 16 mesi in termini di lettura perchè adesso non ne è più attratta come allora.
Ora scatteranno mille critiche sulla mia scelta del tutto singolare. Vi ho raccontato tutto questo perchè proprio in questo periodo mi stavo chiedendo se e quando riprendere il discorso lettura ed eventualmente in quale lingua. Accetto sani consigli perchè in queste situazioni è sempre difficile scegliere per qualcun altro. Aggiungo un’ultima cosa: quando ho scelto per mia figlia ho pensato prima di tutto alla sua serenita. Il risultato per ora? Eccellente, non esiste bambina più gioiosa!
Grazie a tutti di aver ascoltato.
Bilingue Per Gioco says
Fiorelena,
io ti capisco, e anche io al posto tuo sarei stata turbata. Dirò di più, ti apprezzo per questo tuo turbamento, per il non esserti crogiolata nel “signora mia vedesse mia figlia cosa fa” ed esserti invece domandata se questo è veramente un bene. Non so cosa farei al posto tuo, sicuramente però conoscendomi comincerei a cercare informazioni varie sui bambini dotati, per capire, se possibile, come aiutarla ad essere sè stessa ed essere felice.
Ciao e in bocca al lupo,
Letizia
fiorelena says
Grazie Letizia per le parole comprensive che hai avuto nei miei confronti. Ti terrò aggiornata.
Elisabetta C. says
Aggiungo solo un commento-lampo all’articolato e interessante dibattito. Le mie prime due figlie hanno imparato a leggere e scrivere contemporaneamente in italiano e in inglese (entrambi a scuola) e non hanno avuto nessun problema. Il che vuol dire che se una mamma opol vuole insegnare a leggere e scrivere nella lingua minoritaria a casa lo può fare tranquillamente, salvo sospendere se il bambino/a ne ha abbastanza.
Tuttavia penso che se uno la lingua minoritaria già la parla tutti i giorni e non ha voglia di mettersi a “fare la maestra” perchè non è nel suo “stile parentale” va benissimo così.
Se la lingua è parlata in famiglia, la literacy può benissimo aspettare e senza danni.
Elisabetta
Sabina says
Penso che ogni bambino e ogni famiglia siano diversi. È difficile generalizzare. Capisco chi decide di non fare da “maestra” al proprio figlio, ma capisco anche chi ha tanta voglia di fare un po’ di homeschooling pomeridiano – per così dire. E poi ci sono tutte le sfaccettature in between 🙂
Io sono cresciuta in un ambiente bilingue dove tutti imparavano a leggere e a scrivere in italiano e in tedesco. Questo non vuol dire che tutti siano diventati bilingui allo stesso modo e che abbiano imparato a leggere/scrivere bene. Tuttavia, chi poi nella vita ha avuto bisogno di entrambe le lingue ed ha continuato a coltivarle, ha potuto utilizzare quel bel bagaglio. Ma un bagaglio altrettanto bello se lo sono fatti quei monolingui che a 17 anni hanno deciso di fare un anno all’estero, acquistando un’ottima padronanza della lingua parlata, letta e scritta.
Concludo con un commento riguardo ai compiti: l’autrice di un libro che ho letto con piacere e di cui vi parlerò più avanti, dice che se lo si desidera si può dare quel po’ di assistenza necessaria allo svolgimento dei compiti nell’altra lingua (cioè quella minoritaria). Perché no? Dice anche che è una scelta molto personale, come tutto l’approccio al bi- e multilinguismo.
E di questo sono convinta anch’io.
Pierluigi says
Ho due gemelli Leone e Viola di 17 mesi con cui parlo in inglese da 8 mesi e che sembra riconoscano più la lingua inglese che quella italiana. Alle mie domande where is the moon? Where is the spider? The cat? The car? Etc. mi rispondono con cognizione indicando i vari oggetti. Anche con le loro parti del corpo tipo , the nose, head e belly sono molto attivi. Leone mi chiede di andare in macchina dicendo “caaar” mentre Viola dice “denghiu” come biscardi, e tutti e due sanno how the lion goes e how the ducks go. La mia domanda è: dovrò parlare loro sempre in inglese? O c’è una deadline? La lettura e alfabetizzazione come dici tu verrà da sola di conseguenza oppure dovrò attivarmi anche in quel senso? Grazie
Bilingue Per Gioco says
Pierluigi,
dovere è la parola sbagliata, non DEVI fare nulla. Hai diverse opzioni tra cui scegliere quella che ti e vi si addice meglio. In generale io sconsiglio di abbandonare la propria lingua per parlare solo la seconda lingua, pur essendo questa la mia scelta personale è una scelta estrema, e che comunque richiede competenze altissime nella seconda lingua. Se non sei sicuro che questa sia la tua strada puoi optare per un approccio più soft, trovare dei tmpi e modi specifici per l’Inglese.
Quello che ti posso dire con certezza invece è che non c’è una deadline, la lingua ve tenuta viva se no la dimenticano…
Ciao,
L.
Melanie says
Vorrei solo aggiungere un’altra opinione… Io sono di madrelingua inglese e sto insegnando alla mia piu’ grande di 5 anni a leggere in inglese perche’ non voglio che la bimba impara a scuola “attraverso” l’italiano”, cioe’ da un’insegnante italiano che gli parla in italiano. Non voglio che utilizza l’italiano per imparare l’inglese. Pero’ mi rendo conto che sono molto rigida per queste cose.
Poi noi viviamo in Trentino dove in prima elementare i bambini fanno il tedesco, cominciano in terza con l’inglese, quindi arriverebbe a quasi 10 anni prima di leggere in inglese. A quel punto non potrei definire mia figlia “madrelingua inglese”. Per non parlare dell’imbarazzo della bimba nei confronti dei cugini e amici inglese se non sa ancora leggere a 10 anni.
Io ho usato i Bob Books per imparare phonics per poi passare ai Key Words di Ladybird per imparare a leggere i sight words. E ho aspettato l’eta del reception class, cioe quasi 5 anni.
Bilingue Per Gioco says
Melanie,
la tua situazione è molto diversa, perchè l’Inglese è la tua lingua madre. Quindi tu hai le idee molto più chiare su come si insegna a leggere e scrivere in Inglese, cosa che noi non native invece dovremmo imparare, e per la tua bambina è oggettivamente più importante imparare presto a leggere e scrivere nella lingua della mamma. Come sempre, non ci sono regole valide per tutti, ci sono tanti compromessi possibili, e sinceramente penso che vadano tutti bene finchè dietro una scelta c’è un ragionamento e una consapevolezza.
Thanks for sharing your experience,
L.
Alessia says
In primis, grazie a letizia per questo interessantissimo post e spunto di riflessione, ma anche a voi per i vostri utilissimi contributi. Il mio G. ha “solo” diciassette mesi (solo o di già? non pensiamoci) e per me è ancora “presto” per parlare di literacy. Però è un argomento che mi interessa molto.
Vorrei rispondere a Sonia, che dice “lasciamoli giocare finchè possono”, e mi permetto di dissentire, nel senso che io personalmente vedo la lettura non come un’attività pesante e noiosa, che sottrae tempo ad esperienze divertenti e formative come il gioco ed il divertimento, anzi, la vedo come un potenziamento, un’ulteriore fondamentale risorsa ed arricchimento, non tanto nel senso puramente formativo, quanto proprio nell’ottica di entertainment.
Sarà che leggo da quando ho tre anni, in inglese d quando ne ho tredici o quattordici, sarà che i lbri sono indispensabili per me, ho quattromila titoli solo nel tablet, in cui la maggioranza è in lingua originale (inglese, ma anche tedesco e spagnolo), ma per me “avere qualcosa da leggere” è di fondamentale importanza, e lo è stato da sempre.
G. per ora ha i suoi libretti, che gli leggo io, che sfogliamo sieme ripetendo (o provandoci) i nomi delle cosCree, persone ed animali sulle pagine colorate, con lui che spesso prende un libro dal suo personale ripiano in soggiorno e mi indica col ditino il divano, sulle mie ginocchia ed aspetta di ascoltare, esplorare e sfogliare con me. Mi aspetto che sia lui a chiedermi di imparare a leggere, perchè ha già cominciato ad amare la magia che comincia non appena liberiamo mente e e ci prepariamo ai fantastici viaggi che solo un libro ci sa regalare.
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Credo che questo sia anche e soprattutto merito mio, perché in modo del tutto spontaneo, senza forzature, sono riuscita, almeno per ora, a trasmettergli il mio amore per la lettura, proprio come attraverso un bilinguismo sostanzialmente OPOL (ma in relax, l’italiano si evita ma se scivola amen) sto condividendo con lui il mio amore per lingua e cultura anglosassoni. Fermo restando che sono profondamente convinta dell’estrema importanza della lettura come fondamentale strumento formativo (l’impressionante ignoranza diffusa in merito a regole e funzionamento dellla nostra lingua madre è spesso diretta conseguenza del fatto che non leggiamo abbastanza, IMHO), sono altrettanto persuasa del fatto che si impara soprattutto divertendosi, quindi ancora una volta spetta a noi genitori, molto prima che alle istituzioni, fare quanto è possibile affinché i nostri figli AMINO imparare e traggano gioia da ciò.
Ribadisco, dobbiamo essere noi a mostrare loro la bellezza ed il lato divertente, ma senza finzioni: liberi di giocare, sempre,ma anche liberi di leggere!
Alessia says
Ps scusate, aggiungo “liberi di leggere” anche in una lingua straniera, se per noi è facile e piacevole fornire loro gli strumenti, di base o avanzati, per imparare a farlo.
romina says
Non posso che concordare e siccome mi è passata sotto il noso questa – illuminante – frase della Montessori, la aggiungo al dibattito, ahimè tardivamente: “Il bambino è la più grande e confortante meraviglia della natura, non un essere senza forza, quasi un recipiente vuoto da riempire della nostra saggezza, ma il costruttore della sua intelligenza, l’essere che, guidato da un maestro interiore, lavora INFATICABILMENTE CON GIOIA E FELICITA’, secondo un preciso programma, alla costruzione di quella meraviglia della natura che è l’Uomo.
Noi insegnanti possiamo soltanto aiutare l’opera già compiuta”
romina says
…SOTTO IL NASO, ovviamente.