Never too early, never too late.
Uno dei nodi critici più discussi sull’apprendimento di una seconda lingua è l’età. Ci si chiede cioè: quando è meglio insegnare una seconda lingua ai propri figli? Esiste un’eta critica dopo la quale sarà inevitabile che facciano degli errori e non parlino con la fluenza, l’accento e la correttezza dei nativi?
Si parla di periodo critico (PC) per la seconda lingua indicando quella finestra temporale entro la quale si dovrebbe inserire una seconda lingua per ottenere i risultati migliori, cioè da nativi. C’e’ un problema però: se si va a leggere tutta la bibliografia del caso, come hanno fatto Aram e colleghi nel 1997, questa soglia critica va da 1 a 12 anni. C’è dunque qualcosa di sospetto: e per questo qualcuno ha riformulato l’ipotesi del periodo critico in modo più flessibile, parlando o di decrescita graduale delle potenzialità (PC progressivo) o di età critiche diverse per le diverse abilità linguistiche (PC multiplo). Secondo quest’ultima ipotesi, ad esempio, le prime capacità che si perdono sono quelle fonetico-fonologiche, con i risultato dell’accento straniero per chi inizia ‘tardi’, cioe’ dopo i 12 anni. Tra Le altre capacità, la sintassi ad esempio, potrebbe arrivare ad ottimi livelli se appresa entro i 15 anni.
Non c’è poi accordo nemmeno sulle cause che potrebbero determinare le differenze di apprendimento tra adulti e bambini. Per riassumere, vengono chiamati in causa fattori neurobiologici (almeno sei diversi, dalla lateralizzazione alla mielinizzazione), fattori psicologici (per cui ad esempio cambiano le strategie di apprendimento che con l’età si fanno meno implicite e automatiche) e fattori affettivi (come la teoria dell’ego linguistico per cui gli adulti tendono a identificarsi con una certa lingua e a opporre resistenza ad una nuova).
Se dovessimo riassumere tutti gli studi sul periodo critico in un’unica formula suonerebbe così: “‘per un qualche motivo, la capacità di imparare una lingua, o anche solo qualche aspetto di una lingua, è operativo solo per un periodo di tempo che termina ad un certo punto tra la nascita e la pubertà” (vedi anche qui).
Dal punto di vista pratico questo quadro ci appare poco confortante. In realtà, il problema ha origine nel fatto che tendiamo ad analizzare solo il fattore dell’età, in isolamento dagli altri. Questo accade perchè ci sono una serie di fattori che si coalizzano con l’età, facendo ottenere, in media, risultati migliori ai più giovani. Tuttavia, sono noti anche casi di adulti, tra i 20 e i 70 anni, che raggiungono risultati ottimi, da nativi o quasi-nativi.
Scorporare i diversi fattori, a livello scientifico, non è semplice: però è importante conoscere il fenomeno dell’apprendimento linguistico nella sua complessità, per evitare semplificazioni che possono portare ad errori, ad esempio, nelle scelte educative: pensando che ‘ormai è troppo tardi’ oppure che ‘tanto è piccolo impara facilmente’. Quello che si può dire è che ogni età ha dei vantaggi e degli svantaggi, rispetto all’apprendimento di un’altra lingua.
E’ stato valutato, ad esempio, che i bambini che iniziano una seconda lingua alle elementari, in un contesto formale, non hanno grossi vantaggi rispetto a chi inizia alle scuole secondarie. Invece, risulta efficace un insegnamento precoce che sia anche intensivo e che riproduca alcune caratteristiche di un’esperienza in immersione. In caso contrario, si sostiene perfino che possa essere rischioso e controproducente iniziare da piccoli, perchè esperienze negative possono far nascere nei bambini atteggiamenti di rifiuto verso quella lingua o l’apprendimento delle lingue in generale. I bambini, inoltre, non sembrano impegnarsi per uno scopo, quale ad esempio la consocenza di una lingua per il futuro lavoro o per l’integrazione: il loro interesse è guidato principalmente dal piacere del gioco da piccoli e da quello dell’apprendimento da più grandi. In sintesi, l’apprendimento precoce ha tra i suoi vantaggi:
– una maggiore facilità ad acquisire un’ottima competenza nella pronuncia e nell’intonazione
– minori livelli di ansia linguistica e quindi più facilità a tentare e sperimentare
– lo sviluppo precoce della capacità di riflettere sulla lingua (consapevolezza fonologica), con vantaggi sull’apprendimento della lettura
– la possibilità di sviluppare un’identità multilinguistica e interculturale.
Chi inizia ad un’età più avanzata, può avere vantaggi di altro tipo. Sarebbe importante che i bambini che continuano l’appredimento di una lingua venissero aiutati a ristrutturare il loro atteggiamento in modo da mettere in pratica i vantaggi dell’età adulta, che sono:
– facilità nell’acquisire il nuovo lessico, sulla base di quello già noto
– esperienza nella conversazione e nella collaborazione con gli altri, anche di fronte a difficoltà comunicative
– conoscenza di strategie di apprendimento, dalla lettura all’uso di materiale integrativo
– consapevolezza che si ha uno scopo, un motivo verso il quale impegnarsi nello studio della nuova lingua
Per massimizzare il potenziale e le risorse di ogni età, è necessario che ci sia un contesto sensibile e adeguato ai diversi bisognie al diverso modo in cui bambini e adulti si trovano, nei diversi contesti, ad affrontare la sfida di conoscere una nuova lingua per entrare in relazione con nuove realtà.
Fonti
Immagine in alto: David Michael Singleton, Lisa Ryan (2004). Language acquisition: the age factor. Su amazon UK e amazon IT
Richard Johnston(2002). Addressing ‘the age factor’: some implications for languages policy. Guide for the development of Language Education Policies in Europe From Linguistic Diversity to Plurilingual Education. Council of Europe, Strasbourg.
Chiara says
Davvero molto interessante Jessica, credo che ogni punto di quelli che hai toccato meriti una profonda riflessione e abbia anche stimolanti riflessi pratici per chi vuole accompagnare i propri figli in un percorso di bilinguismo in sintonia con le fasi evolutive della crescita psicologica, cognitiva, culturale e anche sociale di un bambino.
Elisa says
Molto interessante Jessica, grazie per questo post. In effetti io al momento mi sto interrogando sull’opportunità di introdurre anche una terza lingua (oltre all’Italiano e all’Inglese) nella vita di mia figlia di 5 anni proprio per approfittare dei vantaggi che l’apprendimento precoce puo’ dare. Sono abbastanza combattuta, da un lato mi dico “che fretta c’è, meglio concentrarsi su una lingua e portarla avanti bene che creare confusione”, dall’altro mi rendo conto che lei mostra già un buon orecchio per la terza lingua in questione (sarebbe il Francese) quando ascolta canzoncine o semplici racconti e cerca di ripetere, riproducendo i suoni in maniera molto “autentica”, nasali incluse. Tenendo presente che siamo Italiani, viviamo in Italia e non abbiamo particolari legami all’estero, si tratterebbe di “ritagliare” degli spazi ben definiti dedicati al Francese, ad esempio iscrivendola ad un gruppo di gioco una volta a settimana e cercando di parlare Francese la sera del corso oppure insegnandole alcune filastrocche. Penso potrebbe essere motivata dal fatto che io e il papà parliamo ospesso Francese tra noi, per abitudine, e lei ha voglia di inserirsi nelle conversazioni, Non ho paura che la seconda lingua (Inglese) ne risenta in quanto gli stimoli sono già molteplici e ben strutturati, rimarrebbe comunque in primo piano e il livello è già piu’ che buono. E allora mi chiedo: ne vale la pena? Cosa ne pensi?
Ciao
Elisa
Jessica says
@Chiara, grazie. In effetti, come dici, servirebbe un approfondimento, magari faremo anche una seconda puntata 🙂
@Elisa: una mia amica mi ha raccontato di aver fatto la scelta della terza lingua in una situazione simile alla tua, penso che sia un’ottima opportunità visto che sembra nascere proprio in modo molto naturale. L’importante è quello che stai già facendo: valutare giorno per giorno cosa questa avventura significa per tutti voi, ricordando che uno degli svantaggi dei piccoli è anche che dimenticano presto e quasi del tutto le lingue, quindi il progetto della terza lingua precoce non meriterebbe solo nel caso si dovesse poi interrompere o non si fosse in grado di portarlo avanti. Spero di esserti stata di aiuto!
Marilena says
Io conosco una donna di 50 anni che si e’ trasferita in USA e anche se ci ha messo molti anni ha imparato l’inglese. Ovvio fa errori di grammatica e pronuncia ma io la considererei comunque “fluent”.
Non sono sicura neanche che i bambini che imparino una seconda lingua dalla nascita diventeranno completamente bilingui. Dipende quanto tempo passano nel paese dove si parla la seconda lingua. Le mie bambine hanno imparato l’italiano da me (quindi la giusta pronuncia e grammatica) eppure quando parlano fanno molti errori grammaticali ed hanno un accento americano (nonostante i primi 3 anni della loro vita parlassero soprattutto italiano). Considero le mie figlie completamente bilingue perche’ sono anche in grado di leggere e scrivere in italiano ma gli errori ci sono. L’unica persona che conosco che e’ perfettamente bilingue e’ una donna che ha vissuto in USA fino all’eta’ di 12 anni e si e’ poi trasferita in Italia per altri 14 anni per poi ritornare negli USA. Eppure anche lei mi dice sempre che la lingua che lei sente piu’ sua e’ l’inglese.
Comunque sia da quello che so io un bambino puo’ imparare 3 lingue allo stesso momento dalla nascita se e’ esposto ad entrambe le lingue per abbastanza tempo. Non vedo nessun problema ad introdurre una terza lingua, l’importatnte e’ essere costanti in quando si usa e non mischiare le lingue.
Elisa says
Marilena, Jessica, grazie per i vostri consigli. Da settembre, allora, mi metto all’opera con il Francese senza troppo stress e vediamo come va.
Elisa