Ho una bambina di 7 anni che sta crescendo bilingue (inglese-italiano). Io e mio marito siamo entrambi italiani ma il desiderio fortissimo di fare questo “regalo” a nostra figlia e cioè di poter “naturalmente” apprendere l’inglese insieme all’italiano sin dalla nascita ci ha visti quasi inconsapevolmente immersi in una realtà, in principio estremamente giocosa ma poi divenuta sempre più complessa e, aggiungerei, anche “onerosa” col passare degli anni.
Non sto a raccontarti tutti i passaggi, sette anni sono un lungo periodo di tempo….ma quello che vorrei sottolineare più di ogni altra cosa è che man mano che gli anni passano tutto si fa più difficile e, ciò che è peggio, ci si ritrova travolti da mille dubbi da cui spesso, per forza di cose, non si riesce a venirne a capo. Cerco di spiegarmi meglio.
Il nostro immenso amore per i viaggi e, soprattutto, per gli States ha fatto innamorare me e mio marito dell’inglese americano. Quando è nata nostra figlia è nato in noi questo desiderio di voler realizzare questo sogno “regalando a lei” la possibilità di poter parlare due lingue in modo naturale e spontaneo. La motivazione a ritornare negli US si è fatta quindi ancora più forte e tutto l’ingranaggio “viaggi all’estero – campus estivi – babysitter americane (sia in america ma anche qui in italia)” si è innescato! Era divertente e lo è stato per un bel po’…le soddisfazioni e le emozioni nel vederla talmente sicura di sé nei rapporti con gli altri bambini, con amici piccoli e adulti, sono state incredibili.
Dall’età di quasi 4 anni mi sono trovata costretta ad iscriverla ad una scuola privata internazionale in lingua inglese perché, al ritorno da una vacanza estiva di quasi 3 mesi negli States, la bambina si rifiutava di parlare in italiano e, percependo che se avesse parlato in inglese gli altri bambini non l’avrebbero capita, preferiva starsene in silenzio ad osservare. Per cui, dopo aver confermato l’iscrizione allo stesso gruppo di gioco (italiano) a cui aveva preso parte già da due anni, dopo solo una settimana di frequenza, mia figlia mi comunicò esplicitamente (in inglese) di non volere più andare e io mi trovai costretta a decidere con mio marito in un solo weekend se iscriverla alla scuola internazionale o no. Decidemmo di si e…il primo giorno, all’accoglienza, trovammo una insegnante madrelingua inglese di una dolcezza infinita, sembrava una bambolina.
Bastò un solo saluto da parte sua (in ENGLISH!) e gli occhi di mia figlia, anzi tutto il suo volto, si illuminò di una gioia immensa (non dimenticherò mai più quella scena)…mia figlia le rispose, le sorrise e non la mollò più un attimo per l’intera giornata! Splendido, dirai. Si, ti rispondo.
Conobbi a quel punto il tuo blog e lessi tanto, qualunque cosa potesse essere anche lontanamente pertinente al mio “caso”, sebbene avevo sempre la sensazione che la mia posizione era un po’ svantaggiata perché quasi tutti, te compresa, avevate figli più piccoli della mia e, riconoscendo le sensazioni e i passaggi che stavano caratterizzando il vostro percorso di crescita (mamma-figlio/a) “insieme” nel bilinguismo, io quelle cose le avevo già vissute ed adesso mi servivano altre risposte che sfortunatamente voi non avreste potuto ancora darmi. Nel frattempo continuavo a documentarmi mediante libri e sul resto del web per evitare soprattutto di commettere errori irreversibili…e con tutta la passione che avevo dentro ho portato avanti questo progetto.
Il mio livello di inglese andava bene, è migliorato sempre più negli anni, la mia pronuncia si è affinata, il mio vocabolario si è ampliato enormemente, ho continuato a studiare e, riconoscendone l’importanza, ho da sempre letto a mia figlia storie in inglese, le ho fatto vedere programmi e cartoni (non tantissimi non ritenendo che il tempo trascorso davanti alla TV sia un tempo ben speso, soprattutto quando era più piccola) rigorosamente in lingua originale, cantando con lei, giocando con lei cercando di assecondare la sua “immensa gioia” nel comunicare in inglese. Fino a….fino a quando mi sono accorta che qualcosa cominciava a non funzionare più come prima.
Mi sono accorta che il suo italiano non era chiarissimo (lei cominciava a scrivere a scuola nella sua ora di italiano giornaliera), avevo la sensazione che altri bambini coetanei compagni di scuola, stessa scuola internazionale, lo parlassero in modo più spedito e consapevole: l’inglese di mia figlia era anni luce rispetto al loro, ma di contro mia figlia commetteva strafalcioni in italiano che gli altri coetanei avevano già superato! Contemporaneamente la crescita linguistica in inglese di mia figlia mi ha fatto rendere conto che io “non le bastavo più”, il mio inglese andava bene, ma non riuscivo più ad aggiungere qualcosa di nuovo nei nostri dialoghi. Lei cominciava a correggermi, nella pronuncia, nella costruzione di alcune frasi e io a volte, mi sono trovata a suggerirle, insegnarle alcune cose che, ti giuro, ero convinta fossero corrette…per poi accorgermi solo dopo che non lo erano affatto. Allora mi sono fermata.
L’ingranaggio aveva cominciato a funzionare a singhiozzi: la presenza di una babysitter madrelingua americana 3 pomeriggi a settimana mi è sempre pesata perché purtroppo strappava a me il tempo che avrei potuto trascorrere con mia figlia; la scuola internazionale essendo purtroppo formata per il 95% da bambini italiani non produceva su di lei grossi risultati in termini di crescita linguistica…e mi riferisco “esclusivamente” alla velocità di crescita linguistica attesa, chiaramente! La scuola è un’ottima scuola per tutto il resto! Ma mia figlia era già bilingue quando è entrata e durante i mesi scolastici si limitava a “mantenere” o “consolidare” quanto aveva appreso nel corso dei due-tre mesi estivi di full immersion negli States!
E’ stato allora che ho deciso di ospitare una ragazza (che per altro già conoscevamo essendo stata la babysitter di nostra figlia nei mesi estivi negli States) nel ruolo di ragazza au-pair per l’intero anno scolastico scorso per “finalmente” potere rilassarmi e parlare con mia figlia esclusivamente (tranne nei momenti condivisi con la ragazza) nella MIA vera lingua, quella che mi consente più di ogni altra cosa di farle sentire e percepire tutte le emozioni che sono radicate nel profondo del mio cuore….e così ho fatto. Per un anno intero, mi sono sentita LIBERA! L’esperienza vissuta con una ragazza dentro casa è stata stravolgente per molti versi: la privacy era ridotta ai minimi termini, l’ingerenza o le prese di posizione in alcune situazioni talvolta mi indisponeva non poco….l’esperienza con una ragazza alla pari non è per tutti, lo confermo per esperienza personale….ma ho stretto i denti e sorriso sino alla fine, convinta che fosse tutto per una giusta causa! E i risultati ci sono stati.
Ho però contemporaneamente deciso (per ragioni di equilibrio mentale) che non avrei più ripetuto quella esperienza. Quest’anno mia figlia sarebbe stata più grande e avrebbe potuto camminare sulle sue gambe da sola: pensavo che la scuola le sarebbe bastata. Lei oggi sa leggere piuttosto fluentemente, guarda sempre la TV in lingua originale, ma sin dall’inizio dell’anno scolastico mi sono resa conto di quanto lei manifestasse una certa insofferenza. Quando le sono ritornata a parlare io in inglese non le bastavo. Questa consapevolezza mi rendeva ancora più debole con il risultato che mi sono ritrovata spesso a balbettare o a pasticciare roba a tal punto da arrivare a sorprendere me stessa! Allora ho deciso che mia figlia “aveva bisogno” di una valvola di sfogo. Quando gioca lei gioca ancora oggi esclusivamente in inglese, con le bambole, con gli animali di peluche, quando si traveste….i personaggi del suo mondo parlano solo in inglese! E io non sapevo più farlo….non al livello da lei implicitamente richiesto, quantomeno. Ed è così che ho avuto la fortuna di trovare una madrelingua americana che trascorre un pomeriggio a settimana qui con lei e…ti dico solo che il primo giorno che è arrivata, mia figlia l’ha letteralmente TRAVOLTA di parole!!! Non si è fermata un attimo: parlava, parlava e parlava!!! Si è sfogata…ed è questo il senso di questo appuntamento settimanale: è la sua valvola di sfogo, con le attenzioni della ragazza rivolte esclusivamente a lei…e lei può istintivamente far venire fuori tutta la sua voglia-necessità di continuare a divertirsi giocando in inglese con qualcuno che “sente” più competente di lei…e da cui talvolta pende dalle labbra quando le spiega qualcosa di nuovo, un’espressione che non aveva mai sentito, un concetto che si può dire in altri 5 modi diversi da quello che c’è scritto nel libro mentre leggono insieme, ecc…
Qual’è il senso di tutto questo? Il senso è che mia figlia ha da poco compiuto 7 anni ed io sento che lei ogni giorno mi chiede di più (come è giusto e naturale che sia)…ma pur ritenendo di starle offrendo il meglio che posso (nel giusto) per tutto il resto….con l’inglese non è più così…a volte mentre mi espone un concetto in inglese (per esempio quando stiamo leggendo insieme o stiamo commentando qualcosa che vediamo in TV) ho la sensazione che vorrebbe avere da me la conferma di fare bene o che vorrebbe che l’aiutassi a suggerirle la parola giusta, la più pertinente per esprimere quel determinato concetto, quella emozione…ma sa che io non ci sono…non più sempre come succedeva prima….lo stesso accade quando a volte fa i suoi homework, e vorrebbe scrivere in una forma più elaborata un concetto, utilizzando un vocabolario meno bambinesco o semplicemente meno “comune e scontato” per come le viene richiesto dall’insegnante… o quando si legge ed è così paziente ad aspettarmi mentre sto lì con il mio iphone/dictionary in mano cercando di comprendere se il significato della parola chiave del paragrafo letto da lei intuito corrisponde a verità….
E’ dura….il percorso si fa sempre più duro…non è un gioco….nasce come un gioco, ma diventa ben altro. E quel che più mi spaventa adesso è quello che verrà. Ho paura che si verifichi quello che più temo: che mia figlia “rallenti”….che, nonostante tutti gli sforzi fatti, la realtà delle cose che la circondano la freneranno….e a quel punto? Non sarà più “né carne né pesce?” Quello che invece so è che io ci sarò SEMPRE, ma ci vuole un’energia ed una carica motivazionale infinite per portare avanti un progetto talmente grande e importante. E se si considera che in tutto questo non ho quasi fatto cenno all’aspetto economico….
Un abbraccio a te Letizia, e grazie infinite.
Smurfette
Ciao, ti do due risposte, non una. La mia e quella di Elisabetta, la cui opinione tengo in grande stima in generale, e nello specifico quando si tratta di bambini in età scolare in scuole bilingui/internazionali, cosa di cui lei ha esperienza diretta e io no.
LETIZIA
Bisogna saper porre chiaramente i propri limiti e contestualizzare tutto, per sè e per i bambini. L’Italiano è la tua lingua, punto. Questo deve essere molto chiaro a tua figlia, come le deve essere chiaro che deve ringraziarti ogni mattina quando si sveglia perchè se lei sa l’Inglese è solo merito tuo (vostro), tu hai fatto tutto quello che potevi e da qui in avanti lei deve cavarsela da sola. Non credo che 7 anni siano troppo pochi per capire questo concetto. Anzi credo che sia una splendida opportunità per aiutare la bambina a responsabilizzarsi.
Non sei tenuta a saperne quanto una madrelingua, glielo puoi dire con un grande sorriso. Puoi aiutarla a trovare la risposta, ma sei tu che aiuti lei, non tu che sei in difficoltà. In altre parole vado a sensazione, ma la mia sensazione è che il nodo della questione sia la tua insicurezza (o il fatto che TU chiedi troppo te stessa) piuttosto che le aspettative della bambina.
Se l’Inglese di tua figlia sta superando il tuo, accettalo, accettatelo, dalle questa responsabilità, ma al tempo stesso riprenditi il tuo ruolo di mamma in italiano, la tua lingua. Per l’Inglese c’è la scuola, la baby sitter, i video, le vacanze, etc etc.
Ci tengo ad aggiungere un commento anche per quanti si trovino a decidere ora il percorso scolastico dei figli, tra mille dubbi, tanto i mille dubbi ce li abbiamo tutti. Bisogna evitare di trovarsi in questa situazione? E se sì come?
A mio parere, ma qui ovviamente siamo nella sfera dei pareri e delle opinioni…, il segreto sta nel fare il passo con la gamba. Se l’Inglese del genitore non è near native, non sbilanciamoci quando il bambino è piccolo, perchè giustamente i nodi prima o poi verranno al pettine, nè diamoci l’aspettativa di crescere un bambino bilingue “perfetto” (cioè bilanciato in linguaggio tecnico).
Mio figlio, nonostante tutto il can can che sto facendo di blog etc è un bambino bilingue normale, cioè con una lingua dominante che guardacaso è la lingua locale, l’Italiano.
La scuola internazionale per noi non è mai stata un’opzione, principalmente perchè l’unica opzione nella nostra città è un’opzione che non voglio nemmeno prendere in considerazione, a prescindere da qualsiasi valutazione. Ma potrebbe anche essere perchè personalmente non sono affatto convinta che una scuola internazionale sia la scelta più valida (perchè appunto priva il bambino della possibilità di dominare la propria lingua madre in maniera impeccabile, cosa che io personalmente considero imprescindibile) oppure per un discorso prettamente economico. Poco importa.
Se la scuola internazionale non è un’opzione non lo è, e il bambino deve crescere sapendo che la sua lingua madre è l’Italiano, ma ha la fortuna di capire e parlare anche l’Inglese.
In sostanza, questo è un invito a prendere la seconda lingua veramente come un gioco, un di più, un regalo. Ma i regali si fanno, non si esigono. Nel momento in cui un genitore non sente di poter decidere in piena auonomia, in base alle proprie valutazioni da adulto, della vita e del percorso scolastico del bambino, a quel punto vuol dire che non è più un gioco, che la lingua è stata caricata di valenze e poteri troppo importanti, e potenzialmente dannosi per la famiglia stessa.
Letizia
ELISABETTA
Cara
il tuo mi sembra un caso cui si applica bene il detto che ‘non esistono situazioni disperate ma solo persone che hanno perso la speranza di risolverle’.
Detto in altre parole, la situazione non è così drammatica!
Ho figli in buona parte più grandi della tua e ti dico che, a sette anni, c’è ancora tempo per fare e disfare tante cose.
Una cosa che però certamente non si dovrebbe fare è lasciare che una bambina decida automamente della sua vita (a 4 anni ti sei trovata ‘costretta’ ad iscriverla ad una scuola internazionale???). Io da bambina sono stata portata su e giù tra Italia e Stati Uniti. A 5 anni, in California per 6 mesi, parlavo a me stessa in italiano per sentirmi meno sola. A 12, dopo 4 mesi di permanenza, dovendo tornare in Italia, piangevo dovendo abbandonare la scuola americana, i miei nuovi amici e la nuova lingua che amavo tanto (e ho ripianto a 17, dopo altri 6 mesi negli USA…) I miei mi hanno portato in California che ero neonata e poi ripetutamente negli anni; non hanno mai chiesto il mio parere ma oggi non sono nè autistica, nè traumatizzata, solo…….bilingue e sono grata ai miei genitori per questa opportunità.
Tornando a te, cosa fare? Scusa intanto se sono molto diretta, ma è la mia educazione anglo saxon…
Sotto il profilo psicologico, penso che dovresti scindere la tua auto-valutazione del ruolo materno dalla questione della lingua. Non sei mica una (buona) mamma perchè cresci tua figlia bilingue, sei una (buona) mamma perchè hai una figlia e le vuoi bene. Chi se ne frega del tuo accento! Ho la sensazione che più che sull’inglese qui occorre lavorare sull’autostima.
Sotto il profilo pratico, io farei in sequenza queste cose:
– userei l’italiano con la bambina, usando l’inglese solo quando ti sembra (a te, non a lei!!!!) che l’italiano non sia altrettanto efficace a convogliare un concetto. Se tua figlia ti corregge fatti una risata: dille che è per questo momento che hai investito tanto su di lei!
– smetterei con au pair e baby sitter inglesi, nel tuo caso non c’è bisogno ed è inutile fare una cosa che ti fa star male (le sopporti a malapena, ti tolgono il tuo ruolo affettivo o almeno tu le vivi così ora)
– se pensi che sia meglio per tua figlia, programmerei un rientro nella scuola italiana per le medie. Non glielo devi comunicare oggi, la bambina ha solo 7 anni, siete voi genitori a decidere per lei. Io lascerei per ora che i pomeriggi passino tra mamma, amichetti (di tutte le lingue), compiti e sport per almeno un paio d’anni e poi a 9 anni prenderei una brava maestra italiana una volta a settimana per compensare la scuola internazionale
– a lungo termine, se tua figlia starà nella scuola italiana, potrai ricominciare a compensare con più inglese durante l’estate (camps). Se dovesse invece restare nella scuola internazionale, cercherei di colmare la conoscenza della lingua e della cultura italiana
Infine, per quanto sia ostinata tua figlia, bambini e adolescenti sono in eterno cambiamento. Quello che ti sembra un dogma oggi (il suo rifiuto dell’italiano in generale) non lo sarà domani.
L’importante è continuare a stare bene insieme!
Elisabetta C.
Immagine: How to choose the perfect school, amazon IT e amazon UK
Chiara says
Io sostituirei l’espressione “ne’ carne, ne’ pesce” con “bilingue” e tutto acquista un senso diverso…da negativo diviene positivo…
Eleonora says
Mi riconosco per certi aspetti con il tuo racconto, pur vivendo una situazione linguisticamente e culturalmente completamente diversa. Ancora oggi a volte sentirei il bisogno di confrontarmi (dal vivo!!!) con qualcuno con figli grandi, qualcuno che che ci è già passato (e qui in CH ce ne sono davvero molti :-)) ma a parte il fatto che ogni situazione è una storia a sé , semplicemente chi ci è già passato, giustamente, non è più interessato al tema (per esempio io stessa non leggo mai qui i post sui bambini molto piccoli) o tende a sminuire la situazione (la risposta di Elisabetta ne è un esempio perfetto).
Non sono né psicologa infantile, né linguista, né insegnante, non conosco te e la tua bambina, quindi non sono in grado di darti consigli, ma da umile mamma comune e corrente ti dico come sto facendo io (le esperienze dirette sono in grado di ispirare direttamente o indirettamente più di mille giudizi e consigli… parer mio).
Ho cercato di trasformare creativamente la frustrazione del ‘‘non essere più linguisticamente utile,, alla mia bambina e la paura da ‘‘farle da freno,, investendola in corsi avanzati e intensivi della lingua in questione (basati sulla conversazione, con obbiettivi a lungo termine importanti ma realistici e con insegnanti doc!) una lingua è SEMPRE migliorabile e anche se siamo adulti possiamo/DOBBIAMO continuare a formarci e imparare… sono certa che nel giro di tre anni queste paure saranno completamente disintegrate!
Anche l‘ italiano scritto di mia figlia è piuttosto indietro rispetto ai suoi coetanei italiani, ma con un‘ ora e mezza di insegnamento alla settimana l‘ ho vista fare miracoli con lo svedese in un solo anno (ora ne ha 9). Da Agosto (tagli alla cultura permettendo!!!) sto prendendo seriamente in considerazione di iscriverla ad uno di questi corsi di lingua madre per espatriati anche in italiano.
E confermo: anche secondo me, se si vuole raggiungere un buon livello con una seconda/terza… lingua (là dove con buon livello intendo qualcosa in più di un livello scolastico apprendibile nel normale percorso scolastico) dopo una certa età non può più essere un gioco.
barbara says
Carissima Smurfette,
la tua testimonianza mi ha molto colpita perché credo che incarni i timori più reconditi di tutte noi convinte del bilinguismo “forzato”. E dico forzato nel senso che è frutto di un nostro intimo desiderio piuttosto che di un’esigenza reale e concreta (per es. famiglia plurilingue e/o trapiantata). E nel gruppo mi ci metto anch’io che mi definisco madrelingua tedesca anche se il mio livello di tedesco non è sicuramente quello dell’italiano.
Anch’io ho deciso di trasmettere a mio figlio l’amore per una lingua e una cultura diversa da quella del paese in cui vivo sperando di dargli una maggiore apertura mentale e di farlo diventare cittadino del mondo.
Credo però che capiti che dimentichiamo che insieme alla lingua si veicola una cultura diversa. Ci sentiamo parte di quella cultura? Fino a che punto? E il senso di diversità che si crea può pesare? Può arrivare ad allontanare? Perché credo che oltre al fattore linguistico conti anche l’identificazione di se stessi con la lingua.
Tu sei riuscita a fare a livelli altissimi quello che tutte noi cerchiamo di fare cioè trasmettere l’amore e la passione per una cultura e una lingua ai nostri figli ma forse ad un certo punto bisogna accettare e ammettere i propri limiti e soprattutto sottolineare e ribadire l’identità di tutti i partecipanti al gioco: quella italiana.
Per chi come me ha da poco intrapreso il percorso del bilinguismo forse la tua esperienza insegna l’importanza d’insegnare ai nostri figli ad amare e rispettare la nostra culturale italiana e il senso di appartenenza ad essa.
Condivido perciò pieno quello che ha scritto Letizia: non dobbiamo perdere di vista la nostra cultura e lingua di appartenenza, l’italiano, e forse tua figlia dovrebbe riavvicinarvisi un po’.
Forse è arrivata l’ora d’invertire il percorso aiutandola a non sentirsi straniera a casa sua. Da grande sicuramente ti ringrazierà anche per questo.
ciao
Barbara
Cindy says
Cara Smurfette, innanzitutto complimenti per la tenacia e costanza. Avete fatto un regalo immenso a vostra figlia, da tutti i punti di vista. Quando ho letto il tuo intervento devo ammettere che un pó mi sono un pó commossa, e vorrei aggiungere il mio contributi. Le tue parole trasudano amore e apprensione e mi hanno ricordato quanto spesso noi genitori sentiamo il dovere di ” spianare la strada ai nostri figli”, di non fargli affrontare le difficoltà e di essere “genitori perfetti”.Ti potrà sembrare banale, ma hai mai pensato che la difficoltà che tua figlia ha nel comunicare in italiano è semplicemente un opportunità di crescita che non vorrebbe dover affrontare?le hai messo a disposizione decine di strumenti per crescere con una buona cultura anglofona/ americana, ma ora le si presenta una sfida ardua, ora dipende da lei: deve accettare che in realtà vive in Italia, deve comunicare in italiano per essere compresa, per giocare, per fare sport.
È facile comunicare nella lingua che si sente propria, perchè sforzarsi ad apprenderne un’altra? È bravissima in inglese, bene! potrà migliorare ed ancora migliorerà, anche senza che tu le parli in inglese se non te la senti più. Ma tra le righe leggo che il desiderio c’è ancora.
Tu e tuo marito le avete messo le ali, ora deve imparare a gestirle… e a volare. Lei è cresciuta, TU sei cresciuta, come donna, come madre, e se ora ti senti di tornare all’italiano, segui il tuo cuore. Lei lo capirà. Lei potrà continuare a risponderti in inglese, no? Ho letto due testi sul bilinguismo che partono da analisi in contesti differenti. Se non li conosci già ti invio i titoli, potrebbero esserti di aiuto. Il primo è curato da una psicologa S. Contento, Crescere nel bilinguismo, Carocci editore. In questo libro vengono sviscerate varie problematiche, che in teoria esulano dalla scelta specifica che avete fatto, ma credo che in alcuni contesti e difficoltà potresti riconoscerti e trovare degli spunti di riflessione. S.C si concentra sugli aspetti psicologici , i mutamenti, i periodi di resistenza, gli alti ed i bassi legati alle lingue. Il secondo: Barbara Abdelilah-Bauer, Il bambino bilingue, Raffaello Cortina Editore, mi sembra più pertinente e sviscera la questione “identità”, che credo esser un punto sul quale gravita la questione di tua figlia. Non sono un esperta, ti sto solo dando idee!
Non mollare, e ricorda, se senti di aver “sbagliato” vuol dire che sei cresciuta, come dice una mia cara amica inglese: ti sei evoluta! Se hai tempo,e voglia, ci sono anche alcuni video TED che ti potrebbero essere di supporto nel capire “dove ti trovi”. http://www.ted.com/talks/brene_brown_on_vulnerability.html
E ancora, credo sia in parte “applicabile” l’esperienza aziendale di Richard St. John: “Il successo è un viaggio costante”. “pensiamo che il successo sia una via a senso unico.(Passione-Lavoro-Attenzione-Spinta-Idee-Migliorare-Servire-Persistere-SUCCESSO) Quindi facciamo tutto ciò che ci porta al successo.Ma quando ci arriviamo immaginiamo di avercela fatta,ci sediamo nella nostra zona di benessere,e alla fine smettiamo di fare qualsiasi cosa ci abbia portati al successo.E non ci vuole molto per crollare.E posso confermarvi che ciò accade.Perchè è accaduto a me. ” e poi è ripartito da zero contivando e giocando con una serie di elementi “Passione-Lavoro-Attenzione-Spinta-Idee-Migliorare-Servire-Persistere-SUCCESSO”.
Io sono convinta che i problemi siano opportunità che la vita ci presenta per farci crescere.
Vale anche per i bambini. E chiudo con quello che mi ricorda tutti i giorni mio marito, e che rammento ai nostri bimbi quando mi dicono”MA E’ DIFFICILE!!!??!!”.
DIFFICULT IS NOT IMPOSSIBLE !!! 🙂
Jessica says
Ciao Smurfette, il tuo post tocca temi molto profondi, il punto di vista dei bambini (che secondo me è fondamentale), il senso di appartenenza e identità, l’impegno nel tempo che richiede una scelta linguistica (perché altrimenti si rischia di perdere quanto appreso). Leggendoti, mi sono venute in mente alcune domande, che vedo condivise dalle altre mamme: quanto la richiesta della bimba all’inizio era un’esigenza più psicologica che prettamente linguistica? Pensi che ci siano dei piani B (sostitutivi o aggiuntivi) che potreste ancora intraprendere per non sentirvi ingabbiati nelle scelte fatte, pur continuando questa avventura?
Smurfette says
Cara Letizia,
Ti ringrazio per la solerzia con cui hai pubblicato il mio post. La mia risposta ti giunge, ahimè, un po’ in ritardo.
Vorrei, innanzitutto, chiarire un paio di punti – MALINTESI – che mi stanno fortemente a cuore.
1. IL TITOLO che hai scelto per il mio post: io e mio marito ci siamo trovati “costretti” a scegliere una scuola internazionale.
In verità la scuola internazionale in questione era (e lo è ancora!), senza ombra di dubbio, L’UNICA scuola che avremmo voluto che nostra figlia frequentasse nella nostra città. Probabilmente io non sono stata molto chiara, e me ne scuso, ma già avevamo avuto modo di conoscere questa scuola dall’esterno, partecipando a diverse riunioni in cui avevamo posto tante domande e da cui avevamo ottenuto tante risposte. La loro filosofia didattico-pedagogica, l’importanza e il rispetto assoluto dati all’individualità del bambino, il loro approccio non nozionistico ma incentrato sullo stimolo della sua curiosità, l’impostazione internazionale nell’approccio alle unità d’indagine trattate, l’enfasi data ai lavori di gruppo, al movimento, agli esperimenti, il rispetto dei sentimenti, delle passioni e dei credi di ciascuno di loro…tutte queste cose (e moltissime altre) sposavano esattamente la nostra idea di “scuola”! Ti dirò di più: se la stessa scuola fosse stata in lingua italiana, la nostra scelta sarebbe ancora ricaduta indiscutibilmente su di essa per i valori da noi condivisi come famiglia! Il fatto che fosse in inglese rappresentava un valore aggiunto che si sposava bene con il percorso che avevamo deciso di intraprendere e risultava, chiaramente, coerente con lo spirito internazionale secondo il quale la stessa scuola era nata.
La “costrizione” cui facevo riferimento è stata, quindi, di carattere esclusivamente temporale, nel senso che, a quei tempi, pensavamo fosse opportuno attendere un anno in più (e difatti l’avevamo già iscritta alla scuola precedente, pagando retta e tutto) così che lei potesse fare il suo ingresso all’internazionale al primo anno delle elementari e non un anno prima, com’è successo. La circostanza che si è venuta a creare (l’esplicita manifestazione del disagio di mia figlia in un contesto che, dopo tre mesi, ritornava tutto italiano) è stata, da me e mio marito, vissuta come un piccolo traguardo – linguisticamente parlando, con gioia (alla fine nostra figlia stava manifestando il desiderio di continuare a parlare l’inglese anche qui, in Italia, dove per forza di cose l’apprendimento dell’italiano sarebbe stato il più semplice degli ostacoli qualora “eventualmente” si fosse presentato)…ma una gioia mista a uno stato di legittima confusione, direi, proprio perché non ci aspettavamo che questa richiesta sarebbe arrivata così in anticipo, costringendoci a prendere una decisione talmente importante in così poco tempo (…anche da un punto di vista economico, direi)! Negli anni precedenti, avevamo accompagnato nostra figlia nell’altro gruppo di gioco (che chiamo volutamente così, perché di questo si trattava) solo perché avevamo il piacere che lei trascorresse alcune (poche) ore del mattino con altri bambini, e non pensavamo, invece, che fosse ancora il momento (per motivazioni di natura pedagogica) di inserirla in un contesto sicuramente più strutturato e con un numero di ore giornaliere molto più lungo. Inavvertitamente e improvvisamente le circostanze ci hanno messo di fronte ad una realtà che non ci aspettavamo…abbiamo deciso di non sottovalutare la spontaneità della richiesta di nostra figlia, né tantomeno le sensazioni percepite e di assecondare, con maggiore naturalezza, i ritmi del suo processo di “evoluzione linguistica”…e solo allora eccoci… “COSTRETTI a inserirla nella scuola internazionale” bruscamente, al rientro dal nostro viaggio. Spero di aver chiarito il primo equivoco.
2. MIA FIGLIA DEVE RINGRAZIARMI OGNI MATTINA… e deve capire che deve responsabilizzarsi.
Sapessi, Letizia…lo so, è un cuore di mamma che parla, adesso… ma mia figlia è di una dolcezza, di una maturità, di una discrezione, di una tenacia, che, guarda, riuscirebbe a disarmare il più feroce dei malvagi. Quando sostengo che mia figlia “mi chiede di più… ma sa che io non ci sono” (peraltro da te sottolineato in grassetto nel mio post) intendo che non ci sono “tecnicamente e cioè linguisticamente” parlando. La sua richiesta non è esplicita, né la bambina manifesta intenzionalità nello “esigere” una risposta… sono IO che “percepisco” i miei limiti linguistici e desidererei poter ancora essere in grado di interagire con lei in inglese per come mi viene facile fare (e, chiaramente, faccio!) in italiano… Mi dispiace tanto non esserne capace (e ribadisco che mi riferisco ai livelli di una madrelingua!), ma lei, come dicevo nel post, sta messa lì, paziente, mentre io “verifico” che quel termine nuovo incontrato, e di cui lei ipotizza di aver intuito il significato dal contesto (perché, se dovesse sbagliarsi, cambierebbe completamente il senso della storia), abbia proprio quel significato! Noi due adoriamo leggere insieme (a prescindere dalla lingua, si legge sia in italiano, che in inglese!) e quel momento condiviso è magico, pieno di riflessioni e riferimenti alla nostra vita passata, attuale e futura…
Talvolta lei stessa prende il dizionario e cerca da sé… quando legge dal suo kindle, lo fa sistematicamente (che invenzione straordinaria!), ma quando legge da un libro cartaceo, spesso il nostro diventa una specie di “lavoro di squadra”… che poi non è un lavoro, mi ripeto, ma una meravigliosa porzione di tempo che ci regaliamo e condividiamo ogni qualvolta abbiamo la possibilità di farlo, idealmente ogni giorno…
Nonostante il mio “non esserci- tecnicamente parlando”, per cui ci si ritrova costretti a rallentare (anche se molto spesso il tempo a disposizione non lo permetterebbe), o a pazientare… in tutte le altre circostanze, ogni volta che mi ritrovo a essere “corretta” da lei, il piacere che provo è… immenso, nella consapevolezza che lei, oggi, fa con me quello che io facevo con lei quando era più piccola! E le risate che ci facciamo quando per due volte consecutive commetto lo stesso errore di pronuncia sono meravigliose: sa bene che voglio essere corretta quando si accorge che sbaglio e non è capitato mai che io mi sia sentita “offesa” da un qualunque suo intervento in merito! Scherziamo? Ma come mai potrei? Mi rende orgogliosa, piuttosto! E l’atmosfera? Buffa e divertente, perché i suoi modi gentili o spiritosi ma “consapevoli”, alla sola “tenera età di 7 anni”, sono di una tenerezza infinita! Noi non abbiamo nessun problema di comunicazione, né di dialogo: sempre apertissime ad affrontare qualunque argomento a qualunque livello di dettaglio e di qualsiasi natura!
Il mio ruolo di mamma “in italiano” me lo sono ripreso a tutto tondo lo scorso anno, quando ho delegato il compito di prendersi cura dell’inglese alla ragazza au-pair. I progressi con l’italiano sono stati straordinari: in casa si parla nella “lingua familiare” dominante che è l’italiano, eccetto che nei momenti in cui si sta svolgendo un’attività che implica necessariamente l’utilizzo dell’inglese, per es. durante lo svolgimento degli homework, quando mi racconta di argomenti trattati e appresi a scuola in un ambiente tutto inglese, quando si guarda un film in inglese, alla presenza di una madrelingua inglese che non comprende l’italiano, etc. In questi casi s’innesca il “passaggio automatico” all’inglese… e ci sta, mi sembra: lo trovo logico e coerente; lei commette ancora degli strafalcioni in italiano, ma mi capita di sentirli sempre più spesso anche agli altri coetanei e oggi, rispetto a ieri, mi sento molto più sollevata. Tanto più che l’insegnante d’italiano è molto contenta dei risultati della bambina e i voti che porta a casa sono, in effetti, ineccepibili sia nella produzione scritta, sia orale. Io sono sempre convinta che mia figlia scriva e legga molto meglio in inglese (l’inglese orale non sono più all’altezza di valutarlo a questi livelli di dettaglio come invece riesco con l’esposizione orale in italiano), ma lo imputerei più di ogni altra cosa al numero maggiore di ore destinate all’inglese all’interno della scuola… e se la differenza si dovesse mantenere lieve, mi starebbe anche bene.
Ritornando all’inglese, la bambina è consapevole da un bel po’, ormai, di possedere uno strumento in più rispetto alla media dei bambini (ma anche degli adulti!), ma il merito dei risultati raggiunti non è solo mio (o di noi genitori), Letizia, mi spiace contraddirti. Lei non dovrà mai ringraziarmi di nulla perché io, nell’esatto momento in cui l’ho messa al mondo, mi sono assunta la responsabilità di accompagnarla nel suo percorso di crescita al meglio delle mie possibilità e tutto quello che oggi io, o suo padre, facciamo per lei, è di prenderle la mano e guidarla, cercando di trasmetterle i valori in cui crediamo profondamente, disposti anche a rimetterli talvolta in discussione, nel rispetto “reciproco” dell’individualità di ciascuno (tutti compresi)… per poi lasciarla, pian piano e progressivamente, sempre più andare (come succede già riguardo tanti aspetti), lasciando che se la cavi da sola (come dici tu). Ma ciò che spero, tuttavia, è di non dovermi mai trovare nella condizione di richiederle o rinfacciarle gratitudine per qualcosa che lei non ha scelto originariamente di ricevere. Permettimi di apportare una lieve modifica al tuo appunto, secondo il mio personale punto di vista, giacché noi eravamo l’oggetto dell’appunto stesso. Per me i regali si fanno senza condizioni. E se, per com’è successo sin dall’inizio (e riconosco di essere stata fortunata in questo, o forse molto attenta, o entrambe le cose), mia figlia è stata sempre naturalmente, allegramente e spontaneamente ben disposta a collaborare, non opponendosi, non facendo i capricci o, per come succede adesso, impegnandosi a scuola e facendosi amare e rispettare da insegnanti e amici, allora, aggiungo, che il merito del suo inglese non è solo mio, né solo di mio marito, ma è anche suo… perché la sua risposta al nostro “regalo” è l’espressione di gratitudine più grande che noi possiamo desiderare di ricevere da parte sua.
Puntualizzati i due punti di cui sopra, mi preme molto aggiungere un’ultima cosa: “NON c’è stato un attimo, un solo istante in cui io (o anche mio marito) mi sia pentita della scelta di fare crescere mia figlia bilingue, MAI!” Lo sfogo del mio post nasce da una consapevolezza acquisita, giorno dopo giorno, nel corso di tutti questi anni, che il cammino si fa sempre più arduo man mano che i nostri figli crescono. Aggiungo che, anche prescindendo dal fatto di fare parte della categoria di famiglia con “genitori non madrelingua inglese”, tutto ciò che va affrontato “tecnicamente” “raddoppia”: i compiti vanno fatti in italiano (grammatica, arricchimento del vocabolario, capacità lettura, di espressione orale e scritta!) “e” in inglese (stesse identiche cose!). Il tempo deve per forza di cose essere ripartito e questi bambini sono straordinari: la loro velocità di apprendimento, la loro capacità di stare al passo con le aspettative attese da un coetaneo monolingue sono strabilianti! Nello stesso tempo, le gratificazioni e l’immensa gioia nel vedere nostra figlia talmente sicura di sé, non solo linguisticamente, ma anche (forse soprattutto, oserei dire!) “culturalmente e caratterialmente” parlando (e mi riferisco alla “maturità” culturale e caratteriale!) quando interagisce con adulti e bambini sia qui in Italia, come nel resto del mondo (perché lei “può” farlo!), ci inorgoglisce a tal punto da permetterci di superare tutte le paure, le insicurezze (che per forza di cose emergono: siamo degli esseri umani, anzi, ancora di più, dei “genitori”, non delle macchine!), di ricaricarci e di renderci sempre pronti ad affrontare sfide nuove il giorno seguente. E la sua identità? La cosa che più mi sorprende è che, nonostante la sua tenerissima età, già oggi, sembrerebbe avere tutte le carte in regola per essere davvero definita “una piccola cittadina del mondo!” Onestamente non so se questo sia un bene in senso assoluto… dovrebbe… si parla talmente tanto di globalizzazione… mi chiedo, però, come questa essenza emergente riesca poi a sposarsi con l’importanza dell’identificazione nelle proprie origini culturali… (ma questo è un altro lungo discorso, richiederebbe un’analisi a sé stante!)
Si, condivido: il progetto di un percorso di crescita bilingue deve essere sempre contestualizzato anche temporalmente e, se si hanno degli obiettivi a lungo termine, si riesce a trovare la forza per superare “le fatiche” che, si voglia o no, esistono realmente e crescono con il passare degli anni. Il nostro, nel medio lungo periodo, è, nello specifico, quello di trasferirci tutti negli Stati Uniti, altro progetto importante. Tendenzialmente e idealmente desidereremmo che nostra figlia completasse il suo percorso di studi lì… ma, pur non perdendo di vista l’obiettivo, ci rendiamo conto che siamo solo una parte di un ingranaggio in evoluzione, come qualunque realtà al mondo: in altre parole, cosa succederà, come saremo, cosa penseremo domani non possiamo prevederlo… mi riferisco sia a noi come famiglia, sia a ciascuno di noi (nostra figlia compresa), preso individualmente.
Detto questo, ti ringrazio tanto, Letizia: è stato meraviglioso poter leggere i commenti di tutti: sto già processando e interiorizzando preziose considerazioni che mi hanno profondamente colpito. Sembrerà scontato, ma è davvero molto confortante e illuminante leggere le esperienze dirette di chi ha figli più grandi e in età scolare: si traggono tanti spunti di riflessione molto interessanti… mentre, a volte, un giudizio o un consiglio può dare luogo a malintesi che potrebbero anche disarmare, se non ferire, chi ha deciso di raccontare e di dichiarare apertamente una personale condizione di legittima stanchezza, sensazioni di disagio o momenti d’insicurezza, più o meno altalenanti, in un percorso in cui tutto è nuovo e, verosimilmente, a carattere puramente “sperimentale”.
Facendo riferimento alla tua ultima considerazione, la valenza che abbiamo attribuito alla lingua inglese è grande, in effetti… ma, volendo contestualizzare, anche il progetto a lungo termine è importante e ambizioso… e forse è da lì che nasce la mia “… illusoria?” aspettativa di raggiungere un livello di bilinguismo “bilanciato”… mi dispiace dover ammettere razionalmente che nel tempo dovrò rassegnarmi, e riconoscere che quest’equilibrio ideale tra le due lingue andrà sempre più indebolendosi… ma, per adesso, la volontà è di attenermi a uno dei miei più favoriti motti, di cui ho spesso fatto tesoro nell’espletamento di diversi impegni e il raggiungimento di tanti piccoli e grandi traguardi nella mia vita. Quando studiavo per sostenere un esame mi dicevo sempre: “se punto al massimo (30 e lode) il peggio che mi potrà capitare sarà di prendere un 28 o un 27… e il risultato sarà “comunque” un successo, lasciandomi felice e pienamente gratificata!”
Bilingue Per Gioco says
Un fiume in piena!
Il punto è che ovviamente la comunicazione scritta tra sconosciuti ha i suoi limiti, può essere benissimo che il messaggio non sia passato correttamente, ed è indiscutibile che io non conosco nè te, nè la tua bambina, nè la tua famiglia. Ma nel tuo primo messaggio la nota che io ho colto è stata la fatica, magari il momento, lo sfogo, ma io ho risposto a questa sensazione, perchè secondo me il bilinguismo è davvero per gioco, io almeno lo vivo così. La vita è già abbastanza difficile…
Comunque se così non è meglio, e se comunque lo scambio è stato fonte di spunti interessanti meglio ancora.
Ciao,
L.
Cindy says
Grazie Smurfette :-).
a proposito del “regalo”, mia figlia ad es. non è stata in grado di metabolizzare il contesto tedesco e, complici vari fattori, abbiamo dovuto abbandonare il progetto. Evidentemente la pedagogia di riferimento non era adatta al suo sviluppo personale. Ma a chi come me ha dovuto “cambiare strada” e continuare a “giocare in inglese”, vedendo comunque notevoli miglioramenti (che nel mio caso non chiamerei vero bilinguismo!) dico che comunque, grazie all’esposizione avuta ad altre lingue, questi bambini sviluppano capacità cognitive logico matematiche eccezionali!
Aggiungo anche che spesso mi trovo a leggere post di “gli unici”, o così mi è sembrato.
Io ne ho due, e vi assicuro che la fatica è doppia.Ogni figlio è unico e bisogna riuscire a capirlo e a scegliere, inizialmente “per lui” l’approccio migliore, se non sembre è lo stesso adottato con il primo figlio.
Il mio più piccolo, di 3 aa, entrerà tra poco in un contesto dove il gioco si sviluppa in cinese, portoghese ed in inglese… chissà dove ci porterà, dove lo porterà….
Un’ultima domanda: hai/avete “forse” letto “Fuoriclasse. Storia naturale del successo” di
Malcolm Gladwell ?
Buon continuo a tutti.
Smurfette says
Gentilissima Cindy,
Ho appena letto la descrizione ed alcune recensioni del libro Di Malcolm Gladwell da te citato. No, non l’ho letto… ma mi ha incuriosita parecchio. L’ho appena ordinato! Grazie a te, mia cara 🙂
Cindy says
Dopo Goleman, ritengo che Gladwel debba e possa essere un ottimo spunto di riflessione per i genitori :-).
Smurfette says
Ritorno sempre a rileggere/consultare le pagine dei libri di David Goleman…quasi fossero “Manuali”: in differenti stadi di “crescita” (la mia!) emergono spunti di riflessione sempre nuovi. 😉
alessandra says
un saluto a tutte e a te Elisabette. avrei bisogno di alcuni chiarimenti se vi e’ possibile rispondetemi sto’ impazzendo grazie.
Allora io e mi marito lui piu di me stiamo pensando di iscrivere nostro figlio ad una scuola internazionale a napoi, la mia preoccupazione e’ questa: quale iter formativo seguire???
proseguire con le medie e le superiori pubbliche o internazionali? ci potrebbero essere problemi nel passaggio? e poi eventualmente siamo sicuri che il bambino potrebbe accedere a qualsiasi tipo di universita? vi prego rispondete.
Credo di aver scritto questo post anche da qualche altra parte del sito mi dispiace ancora non ho dimestichezza con il sito