Cara Letizia, sono un assiduo lettore di bilingue per gioco e proprio perchè ti stimo vorrei farti una domanda che prende spunto da una delle tue risposte ai commenti. Hai espresso, come augurio per il tuo figliolo, di imparare l’italiano in modo perfetto, l’inglese meglio che si può.
Rispetto profondamente la scelta tua, come quella di chiunque altro, ma poco dopo ho avuto occasione di leggere un documento spaventoso, il rapporto di Save the children sulla povertà infantile… non nel terzo mondo, ma in Italia. Lo puo trovare al link
http://www.allarmeinfanzia.it/wp-content/uploads/2013/05/dossier.pdf
Ecco, mi aspettavo il peggio, ma avevo torto. E’ peggio ancora, nel senso che per i bimbi di oggi qui, semplicemente, non c’è futuro. E mi pare significativo che il blog apparentemente progressista del Corriere della Sera, la 27 ora, che
pure seguo, finora non abbia dedicato una riga all’argomento. A questo punto, temo che, non per scelta culturale, ma per necessità, la tua frase dovrebbe paradossalmente essere ribaltata: inglese perfetto, italiano come si può, perchè in futuro è assai più probabile che serva il primo che il secondo.
Non vorrei che molti leggendoti credessero adeguato un livello di conoscenza del tipo “ze buk…” eccetera, che è purtroppo la media italiana.
Tu che ne pensi?
Francesco
Ciao Francesco,
ho letto il documento, ma lo scenario che descrive e che mi racconti non modifica affatto le mie idee.
Ti spiego perchè.
Io so che l’Inglese il meglio possibile può essere un ottimo Inglese. Personalmente ritengo che nessuna professione, se non quella di giornalista, mi sarebbe oggi preclusa a priori per limiti linguistici relativi all’ Inglese. Lo dico a ragion veduta avendo lavorato all’estero.
Per mio figlio il mio livello attuale di Inglese dovrebbe essere un punto di partenza, non un punto di arrivo, essendo lui cresciuto bilingue.
Non mi preoccupa quindi che mio figlio non abbia accesso a opportunità per limiti linguistici.
Secondariamente, non ritengo che un bambino italiano che cresce in Italia potrebbe sviluppare competenze linguistiche in Inglese da madrelingua. L’Inglese impeccabile. Non c’è niente da fare, non è madrelingua, può aspirare ad un ottimo Inglese, ma non a essere madrelingua.
Invece ritengo fondamentale un altro aspetto. Quello di poter possedere una lingua completamente, nei più piccoli dettagli. Solo chi possiede uno strumento linguistico impeccabile è in grado di formulare pensieri altamenti complessi,e ha la sicurezza di essere in grado di esprimersi pienamente. Questa è una competenza di base sulla quale, ritengo senza poter citare ricerche, si basa la concezione stessa dell’io.
Personalmente sono perfettamente in grado di funzionare in maniera anche molto sofisticata in Inglese. Ma alla fine la lingua che resiste a tutte le emergenze, la lingua in cui si ha il dominio di tutte le sfumature, la lingua di cui io sento il controllo totale, è la madrelingua. Questa sensazione di controllo totale è per me fondamentale, non posso immaginare una persona che non senta controllo totale di almeno una lingua. Su questa consapevolezza e fiducia si fonda anche il coraggio di avventurarsi in lingue nuove.
Io la penso così. Ad un livello, te lo concedo, più intuitivo che razionale.
Voglio aggiungere un’altra considerazione, sempre a livello molto personale, ma come ho già detto ognuno vede la vita attraverso la lente della propria esperienza.
Ho letto il report e ho pensato, nulla di nuovo. Nel senso che io educo mio figlio con un‘idea di sopravvivenza.
Non allarmarti, non lo metto al freddo spogliato come fanno alcuni genitori giapponesi… Però il pensiero quotidiano con cui convivo è non possiamo dare nulla per scontato, potremmo perdere tutto domani, e se così fosse avremmo solo una cosa su cui fare affidamento: le nostre capacità e il nostro coraggio.
Io vivo con questo pensiero, informa ogni mia scelta. Il fallimento come madre lo vivrò non se mio figlio non parlerà un Inglese impeccabile, ma se non sarà in grado di trovare in sè stesso idee, forza e risorse per affrontare qualsiasi difficoltà. E intendo qualsiasi, aggiungendo che non mi faccio illusioni sul futuro di questo paese e dell’Europa.
Ultimissimo punto su “Ze Buk”. Mi sento un po’ un’equilibrista… da un lato tramite questo blog cerco di comunicare che crescere bilingue o imparando una seconda lingua è possibile per tutti, anche per i genitori che non sono fluent in una seconda lingua, anche se ovviamente chi è fluent avrà più da offrire ai proprio figli in termini prettamente linguistici. Dall’altro però invito alla cautela, perchè non voglio incoraggiare nessuno ad abbandonare la propria lingua madre.
La vera difficoltà sta nel trovare le soluzioni intermedie, che proprio perchè non scontate sono difficili da cercare e implementare. Si fa presto a dire bianco o nero, più difficile è trovare una propria strada, il proprio compromesso (perchè sia chiaro vivere due lingue è tutta una questione di compromessi).
Ho anche fondato i gruppi di gioco in Inglese per bambini e genitori, e li sto replicando in tutta Italia, proprio perchè credo che sia indispensabile imparare una lingua fin dalla prima infanzia, per poter poi cogliere tutti gli strumenti (anche molto economici) oggi disponibili (uno per tutto film in lingua originale). Ma, concludo, il mio punto di vista è che la seconda lingua deve trovare posto accanto all’Italiano (per noi Italiani in Italia), non sostituirla.
Va da sè che l’ottica della sopravvivenza mi porta a prendere e suggerire strategie non necessariamente semplici, ma che ritengo di lungo impatto… Spero che la maggior parte dei lettori del blog abbia colto quest’aspetto, ma fai bene a ricordarmi che è bene sottlinearlo più e più volte. Grazie per questa tua lettera.
Ciao,
Letizia
Immagine: The brave cowboy amazon UK
Francesco S. says
Cara Letizia, sul supplemento culturale de “Il Sole 24 Ore” di ieri c’è un bell’articolo sulla comunità albanese di Calabria, che è bilingue da sempre e per necessità: lì l’albanese che si impara in famiglia si chiama “la lingua del cuore”; l’altra lingua che si parla, italiano, ma anche tedesco o americano, perchè l’emigrazione è frequente, si chiama “la lingua del pane”. Mi sembra renda bene la tua idea!
alessandra says
Posso essere d’accordo con Francesco che l’inglese tra 20 anni (ma anche tra 10) non sarà piu’ una seconda lingua ma avrà una categoria “a se” e una seconda lingua – iniziata a studiare con dolore, fatica e forse anche rabbia in età matura per guadagnarsi il pane – sarà forse il “mitico” cinese o l’urdu….ma per il mio progetto di compromesso di bilinguismo inglese/italiano la cosa piu’ importante è che mia figlia creda in quello che dice: “we are all different ma ci vogliamo bene di piu'”
Orietta says
Concordo pienamente con Letizia, e condivido/adoro questa sua saggezza e coerenza nei pensieri. Aggiungo solo che vivendo all’estero per me l’idendita’ di italiana e’ molto importante ma va alimentata ogni giorno, in modo particolare con la lingua, senza questa mi sentirei persa, pur sapendo comunicare con la seconda lingua.
Octavia says
Daccordo con Letizia.
Lingua fa parte dell’identità, x quello lingua madre viene prima di tutte. Uno può parlare decine di lingue, ma se non parla perfettamente la propria lingua madre anche se è nato e cresciuto lì, non posso non vederlo male.
In più, il nome di questo blog è Bilingue per Gioco…Bilingual for Fun, so let’s just have fun here, and forget about creating some short of future robots to rule the world.
j/k 😀
Francesco says
Ciao Octavia,
Una mia personale curiosità che spero avrai voglia di soddisfare: nei tuoi numerosi ed interessanti interventi in vari post ho notato un certo accento straniero nel tuo pur ottimo italiano scritto. Posso chiederti di dove sei?
Grazie
Ciao
Octavia says
Ciao FRancesco, sono indonesiana 🙂