Dalla Danimarca arriva “il bambino che chiamavano Vitello”, entrando a buon diritto nel club dei “monelli” della letteratura, che annovera personaggi estrosi e pieni di inventiva, dal classico Tom Sawyer di Mark Twain al “vicino di casa” svedese Emil da Lönneberga di Astrid Lindgren, fino al nostrano Gian Burrasca di Vamba.
Vitello, che vive da solo con la mamma in una villetta a schiera vicino alla tangenziale e deve il suo nome al fatto di essere stato concepito durante un viaggio della madre in Italia, è stato creato dai danesi Kim Fupz Aakeson (autore dei testi) e Niels Bo Bojesen (illustratore). Kim Fupz Aakeson, artista prolifico e poliedrico, è illustratore, scrittore per bambini e per adulti, nonché sceneggiatore cinematografico: di lui abbiamo già parlato in un post precedente, a proposito della serie rivolta ai più piccoli della “monella” Lili, che potrebbe benissimo essere un’ideale sorella minore di Vitello.
Vitello è stato definito dal suo autore un “sopravvissuto”: le sue trovate lo portano spesso a combinarne di tutti i colori, ma alla fine la scampa sempre con un sorriso. Vitello vorrebbe un papà, uno che lava la macchina fischiettando (“Vitello vil have en far”, “Vitello wants a Dad”). Il suo padre biologico è un “buono a nulla”, dice la madre, e non c’è speranza di vederlo. Quindi il ragazzino decide di andare al centro commerciale per cercare un padre in prestito, giusto per mostrarlo agli amici. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, Vitello trova un escamotage per accontentare gli amici – e poi non ne hanno parlato più. Dietro la storia un po’ stramba c’è il tema importante della famiglia, delle famiglie che non sono tutte uguali e va bene così.
Quando Vitello è stanco dei suoi antipatici amici del vicinato, finalmente arriva una nuova famiglia che si trasferisce lì accanto, ma la speranza di avere un nuovo amico maschio e “cool” svanisce presto e Vitello si ritrova “costretto” a giocare a mamma e papà con una bambina (“Vitello får en klam kæreste”, “Vitello Gets a Yucky Girlfriend”). Ruoli di genere e pressioni sociali, ancora un tema forte da affrontare con un sorriso. “E il papà mangiò un sacco di dolcetti e bevve succo di frutta e fece un grosso rutto. ‘E brandiva un coltello’, propose Vitello. ‘No’, rispose Kamma. ‘Potava la siepe’. ‘E sparava con un fucile ad aria compressa’, disse Vitello. ‘No, aiutava la mamma a passare l’aspirapolvere e poi diceva: Ora vado a fare la spesa per cena, tesoro”. E alla fine Vitello è costretto ad ammettere che non è così male giocare con una bambina, se proprio non si ha nient’altro da fare…
La serie dei libri di Vitello, che conta 13 volumi usciti tra il 2008 e il 2012, si può solo amare oppure odiare: impossibile restare indifferenti. La storia è raccontata da un narratore esterno che rispecchia il punto di vista del bambino protagonista: l’ironia è il suo condimento principale, il linguaggio è brioso e poco o per niente politically correct, i dialoghi sono scoppiettanti e degni di un bravo sceneggiatore cinematografico quale è l’autore, la bizzarria e il paradosso la fanno da padroni.
La fascia d’età indicata è di 5-9 anni. Di certo a qualcuno sembrerà presto leggere le storie di Vitello ad un cinquenne, e probabilmente alcuni livelli del testo non saranno facili da cogliere a quell’età, ma sono sicura che, se noi adulti ci rilassiamo un po’ e lo leggiamo insieme ai nostri bambini, ci godremo il racconto tra risate e risatine e troveremo innumerevoli spunti di discussione sulla vita e sulle tante domande senza risposta che essa ci pone.
I libri di Vitello sono tradotti in svedese e in inglese (cinque titoli finora pubblicati, disponibili qui su amazon.it).
Immagine: “Vitello Gets a Yucky Girlfriend”
Bilingue Per Gioco says
Però una cosa la devo dire, non riesco a tenermela.
Non esiste giustificazione per il fatto di chiamare un bambino Vitello.
Qualcosa mi dice che non sarà tradotto in italiano…
Però siccome l’ironia vera è merce rara, darò a Vitello (sic) una chance.
Grazie Eva!
Letizia
Francesco S. says
Ho fatto qualche ricerca in rete, e su Kim Fupz Aakeson, autore del Nostro, c’è solo materiale in danese. A questo punto, la mia preghiera va ad Eva: lei che il danese lo sa, ci traduce, a beneficio nostro e di tutto il web, almeno la pagina della Wikipedia? così magari capiamo qualcosa di più sulle ragioni che hanno spinto a scegliere un nome così strano. Assonanza con qualche parola danese? Caso? Non lo so, ma mi piacerebbe saperlo. Grazie anticipate.
Raffaela says
Ma povero…. Non c’erano altri nomi carini in Italiano? Persino Pizza sarebbe stato più carino
Eva says
Che dirvi? L’unica cosa che ho trovato è che il nome di Vitello è legato al viaggio della madre in Italia e al fatto di essere stato concepito presumibilmente con un italiano… Penso che all’orecchio di un danese il nome non abbia alcuna risonanza particolare, a parte il suono italiano e forse un po’ buffo della parola. Io poi, da quando ho letto tempo fa che il cestista Kobe Bryant è stato chiamato come una bistecca di un ristorante giapponese, be’, non mi stupisco più di niente… (fonte Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Kobe_Bryant) 😉